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 2023  novembre 25 Sabato calendario

Intervista a Luciano Canfora

Il «tempo dell’effimero», come lo definisce il programma del Festival del Classico al Circolo dei lettori di Torino da giovedì a domenica, richiede un’adeguata cassetta degli attrezzi in cui non possono mancare gli insegnamenti degli antichi. Presidente onorario della manifestazione arrivata alla sesta edizione è Luciano Canfora, 81 anni, professore emerito di Filologia greca e latina all’Università di Bari.
Il tema di quest’anno è Oriente/Occidente, perché questa scelta?
«Con il linguista Ugo Cardinale ed il filologo Luciano Bossina abbiamo scelto un argomento ampio che ci consentisse di spaziare tra passato e presente. Certo quando lo abbiamo deciso non eravamo in combutta né con Xi Jinping né con Putin, così come non potevamo conoscere l’andamento delle guerre in corso. Semplicemente chi studia il mondo antico sa che Atene e Roma erano importanti, ma costituivano solo un pezzo del reale. Forse è stato proprio l’Oriente ad aver avuto un ruolo egemonico, come dice Demostene nella Quarta Filippica, in cui sostiene che per sconfiggere Filippo il Macedone bisognava allearsi con la Persia nonostante fosse considerata il regno dei barbari. I persiani secondo Demostene erano i grandi registi della politica greca perché aiutavano chi stava peggio in Grecia a vincere».
Non ci sarebbe mondo greco senza i persiani?
«Sì, come diceva lo storico tedesco Karl Julius Beloch, la storia greca è un caso particolare di quella persiana. D’altra parte gli stessi greci guardavano lontano, basti pensare a Marciano di Eraclea e al suo trattato geografico Periplo del mare esterno, che racconta di India, Cina e Asia meridionale, perché la navigazione sulla Via della Seta era nota già al tempo di Diocleziano. Insomma, il mondo antico viene considerato chiuso tra Atene e Roma, ma si allarga dall’Occidente ai regni ellenistici in cui si suddivise la Macedonia dopo la morte di Alessandro Magno, che arrivò fino all’Afghanistan».
Ancora oggi non esiste Occidente senza Oriente?
«Ricordo un libro del grande giornalista Giorgio Pini, fedelissimo del Duce, La civiltà di Mussolini fra l’Oriente e l’Occidente, che riprendeva una tesi di Coen secondo cui esiste l’Occidente come valore assoluto, ma anche l’Occidente estremo, gli Stati Uniti, che ne sono la banalizzazione. Quanto all’Oriente, Pini eredita l’idea che sia disordine. Anche gli Stati Uniti però secondo un certo punto di vista, per esempio quello di Silvio Trentin, sono il Paese dei gangster in cui la democrazia è stravolta dal denaro».
Gli Stati Uniti hanno tradito il mondo classico?
«Al massimo lo hanno comprato, a partire dai papiri e dalle opere d’arte, o lo hanno copiato con un kitsch colossale, penso al Campidoglio di Washington. Per fortuna ci sono accademici e pensatori che anche negli Stati Uniti hanno acquisito un senso storico, cosa non facile da quella parte del mondo, mentre la cultura europea è naturalmente storicistica».
Uno degli incontri a cui parteciperà al Festival del classico riguarda il crogiolo di culture dell’Ellenismo, il periodo della storia antica che segue le imprese di Alessandro e arriva fino alla nascita dell’Impero romano. Come avenne e perché è ancora importante?
«Lo storico tedesco Johann Gustav Droysen coniò la nozione di Ellenismo come conseguenza di Alessandro Magno e della mescolanza artistica e sociale che produsse la sua conquista in soli dodici anni dell’Impero persiano, un territorio immenso che si estendeva dall’Asia minore all’Egitto fino agli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale. A mezzo secolo esatto dal libro Saggezza straniera di Arnaldo Momigliano c’è l’occasione per tornare a riflettere su uno degli snodi che hanno segnato la storia. La questione è fino a che punto i greci cercarono le altre culture. Si dice che non traducessero, ma è vero in parte perché ad Alessandria lo facevano. Inoltre la religione zoroastriana ha costituito un altro esempio di saggezza straniera. Un concetto valido in qualunque epoca, perché chi non dialoga e non è curioso di andare lontano come Marco Polo alla fine deperisce».
Un altro suo incontro riguarderà la deriva dell’Occidente, siamo una civiltà al tramonto?
«Intanto dovremmo chiarire cosa significhi Occidente. Pini per esempio parlava di diversi Occidenti. Quello europeo, che si crede il sale della Terra, resta incatenato agli Stati Uniti a cui nei limiti del possibile obbedisce. Anche in America l’idea di governare il mondo è ridimensionata con forti sbandamenti prima di assestarsi. Forse proprio ora gli Stati Uniti stanno capendo che il mondo è un po’ più grande di loro. Nel 2024 5 miliardi di persone voteranno in diverse elezioni, difficile non tenerne conto».
L’Occidente non deve comunque all’Occidente estremo la libertà dal nazifascismo?
«Sì, ma non dimentichiamo che in Usa la popolarità del fascismo era alta e che fino all’ultimo si provò anche legittimamente a restare fuori dalla guerra. Il vero problema per l’America era il Pacifico, da cui il mistero dell’attacco di Pearl Harbor. In ogni caso, secondo me dovremmo essere più grati all’Inghilterra che per un anno ha resistito da sola alla Germania. Un contributo molto più importante dello sbarco in Sicilia».
In questi giorni si usa molto la parola patriarcato, che definisce una società primitiva basata sul diritto paterno, che ne pensa?
«Purtroppo il livello del dibattito è molto superficiale. Scherzosamente potrei citare l’Inno ai patriarchi di Leopardi che si rifà all’età biblica, ma se uno volesse entrare davvero nell’argomento dovrebbe porsi il problema della ginecocrazia. Insomma, trovo ridicolo parlare di patriarcato ignorando quello che per esempio la storica Eva Cantarella ha spiegato più volte e cioè che se la donna ad Atene contava poco a Sparta pesava molto e a Roma pure. E pure oggi se adottiamo un minimo di prospettiva storica non viviamo in una società patriarcale, tranne che forse in Paesi come l’Iran».
E negli anni ’50?
«Allora sì, ma per fare un discorso serio allora come oggi bisognerebbe introdurre la questione di classe. Molto dipende dai gruppi sociali di cui si parla. Tra le Ztl e le periferie, tra le metropoli e le campagne, tra il Nord e il Sud c’erano e restano grandi differenze. Analizzerei questi temi invocando lo studio insomma e non la superficialità».
I femminicidi ci sono sempre stati o sono un’emergenza?
«Non conosco i dati, ma certamente sono reati diffusi e gravi. Mi chiedo però se dipendano dal patriarcato o da ignoranza, senso di impunità ed esempi di violenza diffusi. Di certo il garantismo per cui tutti sono presunti colpevoli, i continui sconti di pena e le immagini violente d’ispirazione a menti deboli e impreparate non aiutano la società». —