La Stampa, 25 novembre 2023
Quelle ambiguità su Israele
Le donne che a migliaia e migliaia hanno partecipato alle manifestazioni in tutta Italia – e soprattutto a quella romana organizzata da «Non una di meno» – contro la violenza di genere hanno indubbiamente dato luogo a un grande evento politico, da cui non si potrà più prescindere in futuro. E bastava guardare le manifestanti sfilare per capire che erano persone di diverse provenienze politiche e opinioni su come affrontare la «questione donna»: per dire, non tutte erano femministe militanti e non tutte erano convinte che i loro problemi si risolvano con una sorta di «rivoluzione», termine non a caso ripetuto in varie occasioni, per proporre un capovolgimento delle attuali diseguaglianze con gli uomini. Ma anche con un processo riformatore, che acceleri quanto è accaduto negli ultimi anni, decenni di conquiste importanti per il genere femminile.
Sono vere infatti entrambe le cose: la nostra è ancora una società patriarcale, ma nei Paesi occidentali e nelle democrazie consolidate è ormai affermata la parità di diritti tra uomini e donne. Alla quale però non corrisponde un effettivo esercizio paritario degli stessi diritti, delle libertà, dell’accesso alle carriere (sebbene nei vertici aziendali e istituzionali sia sempre maggiore la presenza femminile). Si tratta appunto di eliminare, non solo con gli strumenti di legge, ma dell’educazione, della cultura, gli ostacoli che non consentono la corrispondenza dei principi alla realtà.
C’è poi un’altra divisione, niente affatto secondaria, che ha attraversato le manifestazioni di ieri: quella tra chi ha condiviso cosa è stato scritto sulla piattaforma della manifestazione sul «genocidio di Israele», condiviso, secondo le organizzatrici, dallo Stato italiano, e rigettato da «Non una di meno», e chi lo ignorava, o conoscendolo non l’ha considerato un motivo sufficiente per non partecipare. In ogni caso, è stato un grave errore esprimersi così negli stessi giorni in cui davanti agli occhi di tutti passano le immagini delle prime donne-ostaggio israeliane liberate da Hamas dopo un mese e mezzo di segregazione e violenze. Volti che sembrano provenire da un al di là dal quale non è detto riusciranno a tornare definitivamente. Gente che avrebbe meritato piena solidarietà, non parole pesanti e acuminate come pietre. —