la Repubblica, 26 novembre 2023
La rabbia di Gaza
KHAN YUNIS – Al valico di Rafah si è accalcata una folla di palestinesi tra curiosi e persone che vogliono scappare in Egitto. Aspettano che passino i camion della Croce Rossa internazionale con a bordo gli ostaggi che Hamas sta liberando. «Questo ci dà un segnale di speranza, ci fa capire che la guerra sta per finire», dice una donna che viene dal Nord della Striscia e che chiede di restare anonima. Ha passato la notte in una caffetteria vicino al confine, dormendo sulle valigie insieme alle figlie e al resto della famiglia. Hanno preso accordi con le autorità del Cairo, lehanno promesso che le aiuteranno a passare il confine.
Tra le mani dei palestinesi accalcati passano i cellulari dove scorrono le immagini della Cisgiordania. Lì è in corso una festa con canti e balli in strada per la liberazione dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, come parte dell’accordo tra Israele e Hamas. «Quelli festeggiano mentre qua noi siamo rimasti sotto le bombe per settimane e continuiamo a contare i morti, è irrispettoso», si infervora la donna. «Siamo noi a pagare il prezzo di questo rilascio, ci sono anche molti prigionieri originari di Gaza nelle carceri israeliane, perché non liberano loro?».
Nel frattempo, per le strade di Khan Yunis, nel Sud, c’è un silenzio irreale. È stata una notte tranquilla, ma la maggior parte degli abitanti non è riuscita a dormire. I profughi arrivati dal Nord erano abituati ai bombardamenti, al ronzio continuo dei droni e al volo degli aerei sulle loro teste. Lo stop degli attacchi ha dato un po’ di tregua a tutti, ma gli abitanti della Striscia sono rimasti allerta, pronti a cogliere ogni minimo movimento o rumore sospetto. «Non siamo più abituati a questo silenzio», dicono le persone in fila perriempire i serbatoi di carburante.
Da un paio di giorni la situazione al Sud è migliorata, ma gli aiuti umanitari che iniziano ad arrivare sono ancora troppo pochi per soddisfare le necessità di una popolazione stremata dalla fame e fuggita dalle bombe. Da quando è avvenuto lo scambio di prigionieri si sono formate lunghissime file fuori dai distributori di gas e carburante. Le donne non vedono l’ora di poter tornare a cucinare, visto che per giorni lo hanno fatto accendendo il fuoco in strada. La benzina servirà anche per far tornare le auto in funzione e permettere alle famiglie separate per troppo tempo di riprendere gli spostamenti e ricongiungersi. Le scavatrici potranno riprendere a spalare le macerie delle case che sono crollate e tirare fuori i cadaveri. Anche questo lavoro, purtroppo, è necessario, perché i morti rimasti in strada per settimane iniziano ad andare in putrefazione, e le malattie a diffondersi.
La popolazione di Gaza è stremata, arrabbiata, esasperata dal governo di Hamas, ma non abbandona la speranza. «Tutte le notizie dicono che la tregua proseguirà per giorni, se Hamas continua a rilasciare ostaggi israeliani. Questa è una buona notizia», dice la donna in fila al valico di Rafah con le figlie. «A Hamas, però, non importa nulla di noi. Potranno anche essere contenti di essere riusciti a liberare qualche prigioniero, ma gli abitanti della Striscia sono infuriati con la leadership. Per ottenere qualche piccola vittoria i miliziani hanno praticamente accettato che Gaza venisse rasa al suolo. Diranno che è una vittoria per Hamas, ma le persone, nel frattempo, continueranno a soffrire. I cittadini comuni hanno perso, in ogni caso»