Corriere della Sera, 26 novembre 2023
Filippo in cella, guardato a vista
Consegnato all’Italia in manette e le catene ai piedi, come usa fare con i terroristi, Filippo in volo non ha detto una parola. In cella è guardato a vista.
Dall’alto sfiora Vigonovo, dove viveva Giulia e dove l’ha colpita per la prima volta. Lambisce l’area industriale di Fossò, dove l’ha inseguita mentre cercava disperata di salvarsi. Vede le strade che ha percorso di notte, puntando verso il confine. Fuggendo con il corpo di Giulia, quando ormai «il bravo ragazzo» di Torreglia era diventato un assassino. Torna nella Giornata contro la violenza sulle donne, Filippo Turetta. Arriva due settimane dopo l’uccisione dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin e dopo sette giorni di carcere in Germania. Lo riporta un Falcon 900 dell’Aeronautica militare con gli agenti dello Scip, il Servizio di cooperazione internazionale, e i carabinieri di Venezia che lo guardano a vista. Per la prima volta occhi negli occhi.
Il primo contatto con l’Italia è ancora in terra tedesca, nell’aeroporto di Francoforte sul Meno dove le autorità consegnano Turetta ammanettato mani e piedi. Come un terrorista. Gli investigatori italiani sfilano le manette, non c’è bisogno. Non può più scappare. In aereo parla poco, gli spiegano cosa succederà arrivato al Marco Polo di Venezia, la notifica dell’ordine di custodia in carcere per omicidio e sequestro di persona, il fotosegnalamento, il prelievo del Dna. Burocrazia giudiziaria. Lui non chiede altro, guarda nel vuoto e osserva i carabinieri davanti a lui.
All’arrivo in carcere a Verona ci sono alcuni curiosi: «maiale», sussurra qualcuno. Turetta indossa una tuta, scarpe da ginnastica e un piumino blu. La barba è incolta, lo sguardo «provato». Lo stesso che il suo legale Giovanni Caruso descriverà molte ore più tardi, quando ormai è buio, all’uscita dal penitenziario: «È molto, molto provato, disorientato, anche se con lui sono riuscito ad avere un’interlocuzione accettabile». Il legale dice di averlo visto per poco tempo, perché oltre agli esami del sangue, alla visita psicologica, è stato sottoposto subito a un consulto psichiatrico per valutare il rischio di gesti autolesivi. Pericolo confermato. Per questo, almeno fino all’interrogatorio di garanzia di martedì davanti al gip Benedetta Vitolo, resterà sorvegliato a vista.
Una cautela prevista per la prevenzione dei suicidi di tutti i «nuovi giunti» con rischi per la loro incolumità, spiega la direttrice del carcere Francesca Gioieni. Un monitoraggio stretto, 24 ore su 24. L’avvocato Caruso non parla di strategia difensiva («troppo presto»), di perizie psichiatriche, della volontà o meno di rispondere nell’interrogatorio. Nel frattempo però Emanuele Compagno, legale iniziale della famiglia Turetta, ha rinunciato al mandato dopo essere stato travolto dalle polemiche sui post sessisti: «Decisione già prevista dall’inizio del mandato». In carcere martedì ci sarà il pm titolare dell’inchiesta Andrea Petroni, anche lui per la prima volta faccia a faccia con il 22enne.
Il punto centrale per gli inquirenti è capire come il ragazzo potrà giustificare il possesso di una serie di oggetti che potrebbero portare alla contestazione dell’aggravante della premeditazione. Quella che vale l’ergastolo. Il nastro adesivo con cui avrebbe legato le mani e tappato la bocca a Giulia, acquistato un paio di giorni prima online, ma anche i sacchi neri con cui ha coperto il corpo nel dirupo di Piancavallo, oltre ai due coltelli: uno trovato spezzato nel parcheggio di Vigonovo dove c’è stata la prima fase dell’aggressione, l’altro sequestrato in auto quando era in Germania. Procura e carabinieri aspettano l’autopsia anche per valutare l’aggravante della crudeltà (legata alla successione delle coltellate), così come quella dei «motivi futili e abietti» invocata dal legale della famiglia Cecchettin, Nicodemo Gentile. Tutte contestazioni che potranno essere mosse dai pm in una seconda fase dell’inchiesta, senza fretta. Prima ogni tessera dovrà trovare il giusto spazio, dovranno arrivare gli esiti delle analisi scientifiche, di quelle informatiche – fondamentali per vedere ricerche e acquisti del 22enne nei giorni precedenti al delitto – e di quelle sui reperti trovati dai carabinieri di Pordenone nella scarpata: gli abiti di Giulia, un mocassino sinistro nero, fazzoletti intrisi di sangue e l’intero rotolo dei sacchi neri usati per coprire il cadavere. Ma anche un libro, un volume di favole per bambini a fumetti. Lo hanno trovato accanto al cadavere. Si intitola «Anche i mostri si lavano i denti», è scritto da Jessica Martinello. Giulia amava i libri a fumetti, forse il giorno della scomparsa lo aveva nella sua borsa. O forse era un regalo comprato, poche ore prima di essere uccisa.