Domenicale, 26 novembre 2023
Nazisti degenerati
Questa storia ha le trame ferali dei ragni. Parla di un aspro mondo irato sotto un cielo freddo: di marce a passo dell’oca e di roghi di libri, di guerra e di spie, di sesso e propaganda. Ma dice anche di uomini e donne ardenti in raffinatezze; di eccentricità diffuse; di stravaganze istigatrici di fasti perduti. È la storia di Arthur Kronfeld: ebreo eppure tedesco, psicologo, psichiatra, docente nel famoso ospedale universitario Charité, frequentatore dell’alta società e da questa ben ricambiato – nella frenesia della Berlino degli anni 20 e 30 del Novecento, il suo studio medico è affollato dal potere fatto carne e ossa, uomini di poche morali, straripanti di vizi e persino qualche virtù.
Se conosciamo questa storia oggi lo dobbiamo a uno studioso italiano (che giustamente ci viene invidiato un po’ ovunque), Luciano Mecacci: è lui il curatore di un libretto di Kronfeld dal titolo che in italiano suona Degenerati al potere che arriva nelle librerie moscovite in questi giorni, per le edizioni Eksmo. Il testo è arricchito da un’aurea introduzione di Aleksander Etkind e si tratta di un libro che meriterebbe di esser letto qui da noi perché non riguarda soltanto la storia del Novecento.
È un libro sui gusti sessuali e la personalità di Hitler e dei principali esponenti nazisti: queste descrizioni non hanno necessariamente un fondamento scientifico, ma sono costruite in modo tale da convincere il lettore che l’avversario conduce la guerra per motivazioni psicologiche patologiche. Abbiamo perciò in queste pagine il primo esempio di propaganda psicologica, che a tutti gli effetti è il prototipo delle recenti campagne fondate in parte su fatti veri, in parte su fake news.
Ma andiamo con ordine.
Chi era Kronfeld? Docente all’Università di Berlino, è stato uno dei fondatori dell’Istituto di Sessuologia. La città era infatti il luogo più dissoluto e divertente del tempo dove si respirava un’infatuazione collettiva per il sesso. Nell’Istituto questa cornucopia di curiosità erotiche veniva apparecchiata con noncuranza: ricchi, soprattutto, che onoravano parcelle favolose per curare segretamente i loro scabrosi vizietti – ma c’erano anche i poveri, ai quali le stesse prestazioni erano elargite per il bene della nuova scienza.
Kronfeld, occhi limpidi come un addio, emanava un’innata propensione alla fiducia. Eroe della Prima guerra mondiale, modi affinati, tendente all’ascolto: la somma di queste circostanze lo circonfusero di una luce che rischiarava la sua reputazione. E la sua discrezione, proverbiale. Persino Sigmund Freud, che lamentava il pessimo carattere del collega, lo rispettava al punto da considerarlo un suo pari. La fama lo portò nei tribunali come perito per i molti processi contro omosessuali – l’impero tedesco fu segnato da scandali di orge con decine di ragazzi, festini promiscui e quant’altro, che coinvolsero un’importante fetta dell’alta società, da Alfred Krupp (industriale ricchissimo, amico e socio in affari dell’imperatore Guglielmo) all’élite militare e aristocratica prussiana… Insomma, seppur bandita dalla legge, l’omosessualità era una presenza centrale nella più alta sfera pubblica tedesca. Succede perciò che Kronfeld diventa quello che erano anche altri grandi spiriti dell’epoca – Sigmund Freud, Walter Benjamin, Aby Warburg: un collezionista. Ma non di antiche statuette o libri per l’infanzia, no: Kronfeld colleziona segreti, aneddoti, pettegolezzi, gusti sessuali di quella che, di lì a poco, diverrà l’emergente leadership nazista. Vecchi e nuovi ministri, importanti funzionari delle camicie brune, funzionari di polizia, capi di partito… Il vecchio hobby del collezionare segreti tornò molto utile al nostro psichiatra quando i nazisti, saliti al potere, saccheggiarono e chiusero l’istituto, bruciandone i libri e l’archivio. Kronfeld fece le valigie, e con la moglie emigrarono a Mosca. Qui fu accolto con grande fasto: fu messo a dirigere un importante dipartimento dell’Istituto di psichiatria moscovita e in poco tempo entrò nei circoli del potere sovietico.
E qualche alto funzionario del Cremlino – secondo Etkind qualcuno di molto influente, forse lo stesso commissario del popolo per gli affari esteri Maksim Litvinov – si persuase che la collezione di segreti di Kronfeld poteva essere straordinariamente utile. Nessuno, nemmeno i servizi segreti sovietici, conosceva i nuovi quadri nazisti come lui. Ecco come nasce l’opuscolo Degenerati al potere. Una storia orale, intima, dove ritroviamo Hitler, di un «narcisismo sconfinato», spaccone e vigliacco con un una «primitività degenerata», che «non ha rapporti sessuali normali» perché «il sentimento d’amore per una donna gli è inaccessibile». Himmler è descritto come un morfinomane in sovrappeso con «la sua stupida crudeltà, la perversione e il delirio»; Goebbels come un degenerato con un desiderio sessuale ipertrofico; Ribbentrop come un contrabbandiere che ha fatto milioni con lo champagne contraffatto. Tutto questo disseminato di dettagli e formule diagnostiche a imbellettare pettegolezzi volgari.
Naturalmente l’omosessualità, vista come perversa, è dilagante in questi degenerati. Hitler stesso, sostiene Kronfeld, aveva avuto rapporti sessuali con molti dei suoi compari, tra cui Hess. L’intento evidente era screditare il nemico. Ma i nazisti erano nemici? Per Litvinov sì; ma Stalin appoggiò il suo antagonista, Molotov, che nell’agosto 1939 invitò a Mosca Ribbentrop per dividere tra Hitler e Stalin un’Europa che non apparteneva loro. «Fabbricato come un’arma segreta ed efficace nella lotta contro il nazismo, l’opuscolo di Kronfeld divenne subito inaccettabile, oltretutto pericoloso, per i più alti funzionari di Mosca», scrive Etkind. Ma quando nel giugno 1941 Hitler ordinò l’Operazione Barbarossa e l’Unione Sovietica fu attaccata, al Cremlino si ricordarono l’opuscolo, che iniziarono a stampare e ristampare in centinaia di migliaia di copie.
Qualche mese dopo, il 16 ottobre 1941, Kronfeld si suicidò dopo aver ucciso anche la moglie. Le circostanze non sono mai state chiarite, anzi: Etkind sostiene che è più facile capire il movente di un omicidio che non di un suicidio. Scrive: «Avendo trascorso vari anni a Mosca, Kronfeld sapeva tanto di Stalin e dei suoi compagni quanto degli scagnozzi di Hitler. Al momento opportuno avrebbe potuto raccontare le loro storie. Peccato che non l’abbia fatto».