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 2023  novembre 26 Domenica calendario

Biografia di Antona S. Byatt

Se ancora oggi l’Ottocento inglese continua ad esercitare un certo fascino su di noi, è in parte anche grazie a Possessione, il romanzo insignito del Booker Prize che nel 1990 portò alla fama globale Antonia Susan “A.S.” Byatt, nata a Sheffield nel 1936 e scomparsa il 16 novembre scorso all’età di 87 anni. Con un’opera che era al tempo stesso «detective story, biografia, romanzo in versi medievale e moderno romanzo romantico, (…) campus novel e romanzo epistolare», per usare le parole dell’autrice (On Histories and Stories), Byatt appassionò i lettori alla vicenda di due accademici che scoprono la storia d’amore tra i poeti vittoriani Randolph Ash e Christabel LaMotte, rispettivamente ispirati a Robert Browning e Christina Rossetti. La capacità “ventriloqua” rivendicata da Byatt, la quale sin da bambina aveva ben presente in testa «i ritmi di Tennyson e Browning, Rossetti e Keats», è alla base di un’opera in grado di ricreare letteralmente l’atmosfera ottocentesca, con le sue parole e le sue cadenze poetiche, senza per questo rinunciare a un punto di vista contemporaneo. Insomma, di resuscitare la storia attraverso la letteratura, di renderla viva, di illuminare la presenza del passato e insieme la sua distanza da noi.
Il successo di Possessione non nasceva dal nulla. Byatt, che aveva studiato letteratura inglese a Cambridge, e che l’aveva insegnata dal 1962 al 1984 in diverse università londinesi, rifletteva da tempo sul rapporto tra la storia e il romanzo, su ciò che il romanzo riesce a dire da quando si è creato un divario «tra la critica letteraria e le parole di cui, in un certo senso, essa tratta» (On Histories and Stories). Nel 2001 raccolse le sue riflessioni in On Histories and Stories, volumetto di saggi oggi prezioso per lo sguardo lucido che getta sul panorama letterario del secondo novecento. Prima di Possession, e dopo i primi due romanzi – The Shadow of the Sun (1964) e The Game (1967) – nei quali si legge, nemmeno troppo in filigrana, la vicenda di progressiva emancipazione dai legami familiari (primo fra tutte quello con la sorella rivale Margaret Drabble, romanziera a cui il successo arride fin da subito), Byatt pubblicò, nel 1978, il primo volume di una tetralogia storica, che completerà nel 2002.
Nei quattro volumi – a La vergine nel giardino, del 1978, seguono Natura morta nel 1985, La Torre di Babele nel 1996 e Una donna che fischia nel 2002 – Byatt accompagnava la vita di Frederica Potter dall’adolescenza all’età adulta, su un arco temporale che va dal 1953, anno dell’incoronazione di Elisabetta II, al 1968. La tetralogia, come leggiamo nell’intervista concessa da Byatt nel 2001 alla «Paris Review» all’interno della celebre serie «The Art of Fiction», tornava al big public novel, il grande affresco storico nazionale. Ma anche al ritratto: non a caso, La vergine nel giardino si apre nel 1968 alla National Portrait Gallery, in cui uno dei protagonisti riflette «sui due termini, nazionale e ritratto, ormai svuotati della loro potenza di significato. Si riferivano, l’uno e l’altro, all’identità». Si tratta di quattro romanzi molto densi, nati dal tentativo iniziale, racconta sempre Byatt alla «Paris Review», di «scrivere il Middlemarch dei giorni nostri». Il richiamo a George Eliot non è casuale: di lei Virginia Woolf, in Una stanza tutta per sé, diceva che «tutto ciò che traboccava dalla sua ampia mente, una volta spento l’impulso creativo, era materiale da dedicare alla storia o alla biografia». E della scrittrice vittoriana Byatt (che non amava particolarmente Woolf) riprese proprio il realismo, la vis storica, grazie alla quale il romanzo si fa narrazione e a tratti riflessione filosofica.
Nella “genealogia” di Byatt troviamo, oltre a George Eliot, la romanziera e filosofa Iris Murdoch, autrice a cui Byatt dedicò buona parte della propria opera accademica. E non solo: la tetralogia dei «Frederica Potter novels» si può accostare, pur con le dovute differenze, alla pentalogia dei Figli della violenza (1952-1969) di Doris Lessing (autrice che Byatt definì «grande cronista della nostra vita di gruppo»), in cui seguiamo la vita di Martha Quest dall’adolescenza in un’immaginaria colonia africana alla morte a Londra. Sono attraversamenti storici importanti, quelli di Lessing e Byatt, che collocano il vissuto delle donne dentro un’ampia narrazione del Novecento di cui sono state entrambe testimoni e in cui hanno inscritto la propria identità di autrici, in una fitta rete artistica