La Lettura, 25 novembre 2023
Gadda che stronca Foscolo
Che Carlo Emilio Gadda non amasse il poeta Ugo Foscolo è cosa nota. Pur rispettandone «il dolore e l’opera, nelle parti in cui merita d’essere rispettata», definiva lo scrittore dell’Ortis come «un uomo furbo e scaltro e innegabilmente commediante». Nonostante «il genio che affiora qua e là», l’ingegnere e scrittore rintraccia nei versi foscoliani «una prosopopea insopportabile e una cialtroneria da intrigante mandrillo», fino all’inappellabile giudizio finale: «il Foscolo, col Carducci, è il più grande strafalcionista del lirismo italiano ottocentesco».
Al «vispo Nicoletto», come lo apostrofò, Gadda dedicherà il suo unico testo teatrale. Anzi, una «conversazione a tre voci» composta nel 1958 e trasmessa il 5 dicembre di quell’anno sul terzo programma radiofonico della Rai, prima di essere pubblicata nel 1967 col titolo Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo (Adelphi). Un piccolo gioiello di satira politico-culturale, ora prodotto da Fondazione Teatro Due di Parma (dove debutterà in prima nazionale dal 6 al 19 dicembre) che, racconta il regista Giacomo Giuntini, conduce il pubblico «nel salotto gozzaniano di Donna Quirina Frinelli (Francesca Tripaldi) per una saporosa soirée letteraria con il Prof. Manfredo Bodoni Tacchi (Massimiliano Sbarsi) e l’Avvocato Carlo De’ Linguagi (Davide Gagliardini). Almeno, così sembra, apparentemente...».
Gli amorazzi dell’ipertricotico Foscolo, i suoi endecasillabi «che fanno ridere i polli», le campagne bonapartiste, i «canori elefanti» castrati denunciati da Parini e adescati dalla Sovrintendenza della Scala, i monumenti funebri di Canova sono solo alcuni dei molti bersagli polemici contro cui Gadda indirizza la sua ironia abrasiva, a tratti persino crudele. «Credo che Gadda non sia mai politicamente corretto – osserva Giuntini —, sicuramente non in questo testo. E per fortuna. Questa mania d’oltreoceano mi sembra più un tentativo di appiattire venticinque secoli di grande cultura europea, attaccandone ricchezza e complessità». Fondazione Teatro Due, fa notare il regista, «ha un Ensemble Stabile di attrici e attori che permette, fra l’altro, la possibilità di aumentare la soglia di rischio culturale (oltre che di possibilità progettuali) frequentando territori drammaturgici poco battuti. Credo che il canone teatrale italiano necessiti costantemente di progressive espansioni, anche per confutare la vulgata che lo vorrebbe angusto e asfittico, per mantenere vivacità, capacità di dialogo con il presente e, soprattutto, per acuire la fantasia e la riflessione di spettatrici e spettatori, oltre che di attrici e attori. Qui abbiamo un radiodramma (peraltro pochissimo frequentato), quindi una struttura che nasce per un altro medium, di un autore che è stato definito una “invenzione sprecata dal teatro italiano”: perché perseverare nello spreco?».
Per avvicinarsi al mondo gaddiano e scoprire le diverse curiosità che riguardano la nascita di questo testo e l’esperienza radiofonica dell’ingegnere, che lavorò in Rai dal 1950 al 1955 come giornalista ai servizi culturali del giornale radio, il 2 dicembre è stato organizzato l’incontro «Radiogadda» con Antonio Audino, curatore degli spazi teatrali di Rai Radio3, e Claudio Vela, docente di Filologia italiana dell’Università di Pavia, presidente del Centro Studi Gadda e curatore delle nuove edizioni Adelphi delle opere dell’ingegnere. Nel ripercorre la genesi dell’opera ricorda: «Nel 1957 era uscito Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, pubblicato da Garzanti, che ha sancito la fama di Gadda e che rappresenta un punto di svolta nella sua carriera di scrittore. Nonostante avesse ormai 64 anni, questo successo lo stimola a provare qualcosa di nuovo. Lo dice in una lettera a Pietro Citati dove sottolinea di voler scrivere qualcosa di “vivo e polemico”, non un “rattoppo degli scampoli del passato”». Nella stessa lettera Gadda rivendica anche di voler fare i conti con Foscolo – e anche un po’ con Napoleone – senza curarsi della sua fama acquisita di grande poeta e letterato. L’autore non ne sopporta quell’iper esibizione dell’Io, quegli atteggiamenti «teatrati», quella falsità retorica che, assicura Vela, «erano l’esatto opposto di quello che potremmo compendiare metaforicamente con la cognizione del dolore tipica di Carlo Emilio Gadda. Il guerriero, l’amazzone, lo spirito della poesia nel verso immortale del Foscolo è l’espressione di questo rinnovamento».
Il GASP nasce per la radio, dove viene trasmesso nel dicembre del 1958 in una serie che si intitolava «Umor nero». «Il testo poi fu pubblicato da Gadda stesso l’anno successivo, nell’agosto del ’59, sulla rivista “Paragone” – sottolinea il docente —. Quando nel 1967 Garzanti volle trasformarlo in volume, la versione pubblicata fu quella del copione che era stato utilizzato dalla compagnia romana del Porcospino che lo mise in scena nel 1967 con la regia di Sandro Rossi, considerevolmente tagliato per esigenze di messa in scena. Nell’edizione Adelphi, uscita nel 2015 a mia cura (nell’ambito della ripubblicazione di tutto il corpus gaddiano a opera della casa editrice) ho riproposto il testo completo pubblicato su “Paragone” nel 1959».
Il radiodramma si scaglia contro l’esibizionismo narcisistico di una cultura ufficiale italiota vacua e asservita all’ordine costituito: Napoleone è stato il «Bonaparte liberatore», o il «Nano» esaltato despota? Foscolo il vate della Patria o il «Basettone-Moralone», un altro modo di apostrofarlo, cantore di sciocche vuotaggini? «I tre caratteri, conversatori del l inawertmülleresco titolo gaddiano – riflette Giuntini —, tradiscono singolari sintonie con un momento storico in cui “cambiare la narrazione del Paese” sembra essere il nuovo mantra per confondere la Storia con la Memoria. O, peggio, con la Nostalgia. E torniamo al ridicolo, quanto asserire che Dante è il fondatore del pensiero di destra in Italia. Il passato diventa campo di battaglia per i conflitti del presente, in una schermaglia verbale che ossifica il dibattito e il senso stesso della dialettica. E allora i campioni della libertà, Foscolo e Napoleone, diventano campane da suonare a seconda del vento che tira: ora si macchiano di basse viltà, ora assurgono al rango di miti».
Sessantacinque anni dopo, l’ingegnere sembra insomma parlare al nostro presente con straordinaria modernità. «Come i veri classici – sostiene Vela – Gadda è un nostro contemporaneo e sarà un contemporaneo anche di quelli che verranno dopo, come succede ai grandi scrittori. Quindi più che di modernità parlerei di contemporaneità. Parlando invece di eredi, Arbasino – che con una brillante definizione chiama “nipotini” – nell’Ingegnere in blu (Adelphi) dice che i giovani scrittori dell’epoca, intendendo soprattutto Testori, Pasolini e sé stesso – siamo all’inizio degli anni Sessanta – hanno trovato in Gadda un esempio molto nutritivo, molto più avanti rispetto ai valori consolidati della letteratura di allora. Anche oggi non avrebbe senso cercare autori “alla Gadda”. “Nipotini” sono quelli che hanno compreso la sua lezione: ognuno deve trovare il suo proprio modo di vedere le cose e di esprimerle, oltre le mode».