La Lettura, 25 novembre 2023
Tutti quell che hanno ambientato storie sulla Luna
Quando si parla di colonizzazione della Luna, il primo nome che salta alla mente ai cultori di fantascienza è probabilmente quello di Robert A. Heinlein (1907-1988), protagonista della prima epoca d’oro della sci-fi, iniziatore della military space opera, nonché primo autore fantascientifico a scalare le classifiche dei bestseller del «New York Times». Per quanto i temi toccati da Heinlein nella sua vasta opera siano molteplici, l’autore ha legato la propria produzione anzitutto al nostro satellite, con svariati racconti ambientati su una Luna colonizzata (pensati singolarmente, a volte con discordanze narrative anche rilevanti, ma poi riallineati su una sola continuity con l’uscita della raccolta La storia futura, del 1967), la sceneggiatura di film come Project Moon Base e Uomini sulla Luna, e soprattutto il celebre romanzo La Luna è una severa maestra, vincitore del premio Hugo nel 1966, in cui si racconta una rivolta indipendentista da parte delle colonie lunari.
Chi non ha troppa confidenza con la fantascienza classica, invece, potrebbe ricordare, prima di Heinlein, le truppe del malvagio Re Vega, che nell’Ufo robot Goldrake di Go Nagai, trasmesso per la prima volta dalla Rai nel 1978, hanno eretto sulla Luna la base da cui portano continui attacchi alla Terra.
Ma che si manifesti prima alla mente Heinlein o Goldrake, in realtà la storia della fascinazione degli scrittori per il satellite caro a Diana è molto più lunga. Inevitabilmente, potremmo dire: poiché, prima dell’invenzione dei telescopi, la Luna appariva come l’unico corpo celeste in cui si potesse plausibilmente pensare di andare.
Il primo a farlo fu Luciano di Samosata, nel II secolo d.C., con ben due opere: prima nella Storia vera, prototipo del sottogenere fantastico del «viaggio immaginario», in cui una nave viene scagliata sulla Luna da un tifone e l’equipaggio scopre che non solo è abitata, ma anche in guerra col popolo del Sole per la colonizzazione di Venere (suggestioni così avanzate da tornare solo nelle opere fantascientifiche del secondo Novecento!), e l’Icaromenippo, in cui Luciano stavolta immagina che sia il filosofo cinico Menippo di Gadara ad arrivare sulla Luna, dotandosi di vere ali di sparvieri, così da non cadere nell’errore dell’Icaro mitologico.
Non resiste alla fascinazione di immaginare qualcosa sulla Luna nemmeno Dante, che però la colloca tra le sfere celesti, facendola abitare non da popoli o coloni ma dagli «spiriti difettivi»; bisogna aspettare Ludovico Ariosto per uscire dalla teologia e tornare al fantastico e all’avventuroso, ovviamente con la spedizione di Astolfo, a dorso d’Ippogrifo, atta a recuperare il senno perduto da Orlando, che si trova sulla Luna perché sarebbe lì – secondo il worldbuilding ariostesco – che finiscono tutte le cose smarrite sulla Terra.
Siamo ancora su una Luna disegnata per lo più con la fantasia, fin quando, nel Seicento, la diffusione del cannocchiale permette di arrivare alla certezza circa la sua natura di «pianeta». Lo stesso Johannes Kepler pubblica nel 1634 il Somnium, in cui il viaggio lunare è pretesto narrativo per esporre le proprie teorie; gli fanno seguito il vescovo inglese Francis Godwin, padrino di ogni autore di fantascienza, con L’uomo sulla Luna di quattro anni successivo (il mezzo di trasporto, qui, è una non scientificissima biga trainata da oche), e Cyrano de Bergerac, che nell’Altro mondo, o Gli stati e gl’imperi della Luna, del 1657, spedisce il protagonista suo omonimo sulla superficie lunare grazie a un enorme fuoco d’artificio. Non può certo mancare, in questo filone proto-fantastico, Daniel Defoe (con The Consolidator or, Memoirs of Sundry Transactions from the World in the Moon, del 1705), prima dell’incontro con il Barone di Münchhausen del tedesco Rudolf Erich Raspe, le cui spedizioni lunari, del 1786, restano note anche al pubblico contemporaneo grazie agli adattamenti cinematografici.
Gli abitanti della Luna cominciano a mettere gli occhi sulla Terra con La conquista della Luna di Washington Irving (1809), che era in realtà un’allegoria del trattamento dei nativi da parte dei coloni inglesi; non è allegorico invece il breve momento lunare di Edgar Allan Poe, che nell’Incomparabile avventura di un certo Hans Pfaal, del 1835, racconta una spedizione (completa di abitanti sul satellite) tramite pallone aerostatico. Si arriva così a Jules Verne, col suo celeberrimo Dalla Terra alla Luna, uscito nel 1865, in cui il mezzo scelto è una capsula-proiettile sparata da un cannone. Forse non troppo realistico, ma è proprio in questo romanzo che si iniziano ad affrontare questioni reali circa la missione: e se la navicella restasse a sua volta in orbita attorno alla Luna?
Segue la stessa linea ipotetico-scientifica anche Sulla Luna, pubblicato nel 1893 dal pioniere dell’astronautica Konstantin Ciolkovskij, tra i primi a valutare in modo serio la possibilità di un allunaggio; più fantasioso H.G. Wells, che nei Primi uomini sulla Luna (1901) si inventa la «cavorite», minerale dal sapore supereroistico capace di annullare la forza di gravità.
Il primo ciclo di romanzi lunari arriva tra il 1903 e il 1911, con la Trilogia lunare del polacco Jerzy Zuławski, dove assistiamo a viaggio, colonizzazione, distanziamento della cultura lunare da quella terrestre, e ritorno di alcuni «seleniti» sul pianeta-madre. L’ultimo grande nome del periodo anteguerra è quello del padre di Tarzan, Edgar Rice Burroughs, che nel Popolo della Luna, del 1926, immagina il satellite popolato da mostri, resti di antiche civiltà e, secondo il suo stile, anche brutali energumeni e ragazze succinte.
La questione lunare in letteratura si fa più seria dopo la guerra, con l’arrivo di Arthur C. Clarke – altro titano, come Heinlein, della sci-fi classica – che dedica al satellite almeno cinque lavori: La sentinella, del 1948, dove immagina una colonizzazione umana già dal 1996; Preludio allo spazio, del ’51, dove invece la stima di Clarke sulle capacità umane è al ribasso, dato che prefigura il primo allunaggio nel 1978, nove anni dopo quello effettivo; Ombre sulla Luna, del 1955, in cui la Luna, colonizzata da tempo, si trova nelle mire delle colonie su Marte e Venere, fattesi autonome; e ancora Polvere di Luna (1961), in cui le colonie lunari sono divenute destinazioni turistiche; fino al ciclo di Odissea nello spazio (1968-1997, nato in contemporanea al film di Kubrick, di cui Clarke era sceneggiatore), in cui la Luna ospita il ben noto «monolito nero»; e per quanto non siano centrali alla vicenda, anche nel Ciclo di Rama (1972-1993) Clarke presenta varie colonie lunari.
L’arrivo effettivo dell’uomo sulla Luna raffredda un po’ gli entusiasmi degli scrittori, anche se fanno capolino sul satellite almeno altri due giganti: Ursula K. Le Guin, nel 1971, con le basi lunari della Falce dei cieli, costrette a difendersi da un attacco alieno che non è quel che sembra; e Isaac Asimov, che nel 1973 ambienta sulle colonie lunari Neanche gli dei, e alla fine del ciclo della Fondazione, nel 1986, ipotizza antichi insediamenti terrestri su una Luna riscoperta in un remoto futuro in cui, dopo millenni di conquiste spaziali, anche la stessa esistenza della Terra è considerata leggenda.
Si entra nella piena contemporaneità con opere lunari per lo più minori: del 1990 è Zero assoluto di Greg Bear, dove le colonie hanno dato vita a potenti dinastie; l’anno successivo troviamo una Luna colonizzata ma anche custode di un segreto arcano (come in Odissea nello spazio) nell’Anello di Caronte di Roger McBride Allen; altre strutture misteriose sono al centro di Assemblers of Infinity (1993), di Anderson & Beason. Sempre del ’93 è la guida turistica alla Luna dell’olandese Carl Koppeschaar, mentre riappare un «ciclo lunare» tra il 1996 e il 1997, col dittico Moonrise e Moonwar di Ben Bova: qua le colonie selenite, secondo la sensibilità cyberpunk del periodo, non sono state fondate da nazioni ma da megacorporazioni; nel 2002 le colonie vengono invece immaginate rette da un regime matriarcale – siamo nel racconto Storie da uomini di John Kessel, dall’«Urania» n°1.500, intitolato Tutta un’altra cosa — e troviamo un clima ancor più cyberpunk nella tetralogia Ware di Rudy Rucker, conclusasi nel 2000, dove una nuova stirpe di robot dotati di coscienza s’installa sul satellite e non esclude, dal secondo romanzo in poi, la possibilità di prendersi la Terra.
Poca luce lunare nella fantascienza anni Zero e Dieci, almeno fino alla trilogia Luna di Ian McDonald (2015-2019), interamente incentrata sulla società satellitare, sui suoi conflitti con quella terrestre, e sulle feroci lotte relative alla spartizione del territorio; ma ormai la fantascienza tende a guardare altrove, e come chi non seguiva la hard sci-fi mezzo secolo fa aveva più confidenza con le basi lunari di Goldrake che con l’opera di Robert A. Heinlein, non è da escludere che al lettore ipercontemporaneo, prima della Luna di McDonald, pur ripubblicata in un bel volume degli Oscar Fantastica, vengano alla mente il regno lunare Silver Millennium dell’anime Sailor Moon, le genesi aliena della Luna in Neon Genesis Evangelion o, ancora, le colonie lunari orbitanti (e immancabilmente ostili verso la Terra, almeno la «Side 3») di Mobile Suit Gundam… E forse la soluzione più prudente risulterà quella ipotizzata dal fumetto bonelliano Nathan Never, in cui l’umanità si è limitata a costruire sulla Luna una colonia penale e qualche stazione mineraria.