La Lettura, 25 novembre 2023
Storia della collaborazione nternazionale sui vaggi nello spazo
Fly me to the Moon, cantava Frank Sinatra nel 1964, dieci anni dopo la prima performance di Kaye Ballard. Dalla versione artistica alla realtà, il passo fu breve. Solo 5 anni dopo, infatti, gli Stati Uniti compirono un’impresa storica, ancora non uguagliata da nessun altro Paese: fare allunare due esseri umani sulla superficie del satellite. Era il 20 luglio 1969. Avere raggiunto quest’obiettivo poteva essere considerato motivo di grande orgoglio per gli Usa, che pure avevano perso la sfida già diverse volte nei confronti dell’Unione Sovietica. Fu sovietico il primo satellite artificiale – lo Sputnik, il 4 ottobre 1957 – e fu sovietico il primo uomo nello spazio – Yuri Gagarin, il 12 aprile 1961 – così come la prima sonda sulla Luna – Luna 9 – che allunò il 3 febbraio 1966 a Oceanus Procellarum.
Competizione o collaborazione?Guardata al microscopio, tuttavia, questa gara spaziale mostra quanto i due Paesi abbiano poi collaborato, anche se non tutti i tentativi andarono a buon fine. Una speciale menzione merita il fatto che mentre John Fitzgerald Kennedy si impegnava a fondo in un’operazione di aggregazione degli sforzi e delle intelligenze americane su un obiettivo difficile e allo stesso tempo stimolante, per avviare il programma Apollo in tempi stretti ed evitare in questo caso di trovarsi con l’Urss di nuovo avanti (programma che fu ben delineato nel suo famoso discorso alla Rice University il 12 settembre 1962), fece altresì in parallelo una operazione di altissima diplomazia. Era il 20 settembre 1963, due mesi prima di essere ucciso a Dallas. Scena: la bellissima sala in cui si riunisce l’Assemblea generale dell’Onu a New York. JFK presenta la posizione degli Usa, e inizia con questa frase: «Ci incontriamo nuovamente per cercare la pace». E poi compie un atto di apertura senza precedenti verso l’Unione Sovietica. Queste le sue parole: «Infine, in un settore in cui gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno una notevole capacità, quello dello spazio, c’è posto per una nuova cooperazione, per ulteriori sforzi congiunti nella regolamentazione e nell’esplorazione dello spazio. Tra queste possibilità includo una spedizione congiunta sulla Luna. Lo spazio non offre problemi di sovranità; con una risoluzione di questa Assemblea, i membri delle Nazioni Unite hanno rinunciato a qualsiasi rivendicazione di diritti territoriali nello spazio cosmico o sui corpi celesti, e hanno dichiarato che si applicheranno il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite. Perché, dunque, il primo volo dell’uomo sulla Luna dovrebbe essere una questione di competizione nazionale? Perché gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, nel preparare tali spedizioni, dovrebbero duplicare gli sforzi di ricerca e sviluppo e dei costi associati? Sicuramente dovremmo valutare se gli scienziati e gli astronauti dei due Paesi, anzi di tutto il mondo, non possano lavorare assieme alla conquista dello spazio, inviando un giorno sulla Luna, in questo decennio, non i rappresentanti di una singola nazione, ma i rappresentanti di tutti i Paesi».
Qualunque sia stata all’epoca la reazione dei sovietici, le cose cambiarono drasticamente, e non solo nel settore spaziale, a causa della morte del presidente americano il 22 novembre 1963. In ogni caso, in piena guerra fredda, fu, quello di JFK all’Onu, un atto di coraggio, lungimiranza e grande diplomazia. Diplomazia nello spazio che prendeva forma attraverso una serie di azioni nell’ambito delle Nazioni Unite, espressione del multilateralismo per eccellenza, con 193 Stati membri. In realtà, come ci stava indicando JFK, e come vedremo da eventi successivi, la diplomazia spaziale si estrinseca non solo in ambito Onu – una piattaforma di colloquio unica – ma anche attraverso importanti collaborazioni bilaterali o multilaterali usando piattaforme diverse, per esempio accordi tra molteplici Stati membri o forme di collaborazione come quelle messe in campo dalle organizzazioni intergovernative (Igo), una per tutte l’Agenzia spaziale europea (Esa), che oggi conta 22 Stati membri.
La «space diplomacy»Capire che cos’è e come funziona la diplomazia spaziale (space diplomacy) può essere utile oggi in un mondo di nuovo violentemente conflittuale (con un’altra guerra in Europa e una situazione esplosiva in Medio Oriente). La diplomazia spaziale infatti è quell’insieme di azioni di tipo collaborativo che vengono messe in campo nelle attività spaziali (anche tra Paesi che sulla Terra hanno qualche più o meno grave divergenza) che quindi consente di avere un approccio nello spazio basato sulla cooperazione e non sulla competizione non costruttiva. La diplomazia spaziale costituisce anche uno strumento per allargare la base collaborativa tra Paesi quando si tratta di importanti missioni di lungo respiro, come ad esempio un’esplorazione sistematica del sistema solare. Risulta quindi un mezzo per cercare di consentire e mantenere una convivenza pacifica; e in questo l’esplorazione lunare potrebbe rappresentare un primo fulgido esempio.
La space diplomacy nasce in ambito Onu prima con l’istituzione del Copuos (Comitato per l’uso pacifico dello spazio) e del corrispondere ufficio Unoosa (Ufficio per gli affari dello spazio extra-atmosferico), nel 1958, e successivamente con l’approvazione di cinque trattati, con atti successivi. Il primo di questi, fondamento base della legge spaziale internazionale, è proprio l’Outer Space Treaty (Ost), approvato con la risoluzione 2.222 (XXII) dell’Assemblea Generale dell’Onu del 1966 che poi divenne operativa il 10 ottobre 1967. L’Ost si basava ampiamente sulla Dichiarazione dei Principi Legali che governano le attività degli Stati nell’esplorazione e uso dello spazio, adottati dall’Assemblea generale nella risoluzione 1.962 (XVIII) del 1963. Elementi principali: lo spazio è la provincia dell’umanità e non esiste il concetto di appropriazione, la sua esplorazione e il suo uso devono essere portati avanti nell’interesse e a beneficio di tutti. Già questi principi (e molti altri) testimoniano che fin dall’inizio dell’era astronautica gli Stati avevano deciso che la collaborazione doveva essere la regola, e non l’eccezione.
Americani e sovieticiTorniamo in flashback al 1975, e precisamente al 17 luglio, per assistere alla prima missione di collaborazione tra Unione Sovietica e Stati Uniti: non sulla Luna o per la Luna, come auspicava JFK nel 1963, ma con la missione Apollo-Soyuz, quando i due veicoli s’avvicinarono in orbita e ci fu l’incontro tra il cosmonauta sovietico Alexei Leonov e l’americano Donald K. «Deke» Slayton. Tecnicamente fu un grande successo: il fatto che i due veicoli fossero stati costruiti da due diversi team in due Paesi «rivali» ha implicato un grande coordinamento perché potessero connettersi tra loro. Occorreva un sistema di aggancio standardizzato, altrimenti l’operazione sarebbe risultata impossibile. Politicamente, il messaggio fu molto potente. Si stava cercando di costruire una collaborazione nello spazio che avrebbe aiutato a mantenere la pace sulla Terra. L’anno successivo, nel 1976, si assistette alla prima collaborazione nell’ambito dell’esplorazione lunare: i due Paesi si scambiarono simbolicamente un grammo di polvere lunare che avevano riportato sulla Terra con le rispettive missioni.
Si è così arrivati a quel capolavoro che è la Stazione spaziale internazionale (Iss). Un laboratorio spaziale orbitante circa 400 chilometri sopra le nostre teste, frutto della collaborazione tra Giappone, Europa, Federazione Russa, Canada e Stati Uniti. Il primo modulo, russo, fu lanciato nel 1998 ed è ancora operante, probabilmente sino al 2030. Una collaborazione che quindi va avanti da diversi decenni e dove, forse, la ragione per la quale si continua ad andare d’accordo è l’elevato livello di interdipendenza.
In quest’ottica risultano illuminanti un paio di esempi recenti, avvenuti dopo l’avvio del conflitto in Ucraina, il 24 febbraio 2022, che non vede i Paesi coinvolti nella Iss necessariamente sulle stesse posizioni. Il 5 ottobre 2022 è partita dal Kennedy Space Center in Florida la missione Crew-5, a bordo di un Falcon 9 e di una capsula Dragon sviluppati da SpaceX. È una missione di rotazione di astronauti sulla Iss; di routine, si potrebbe dire. A bordo, due donne e due uomini in rappresentanza di tre Paesi: due americani, un giapponese e una cosmonauta russa. Partiti quindi da suolo americano, con un veicolo americano, alla volta della Iss, laboratorio internazionale. Secondo episodio. A settembre 2022, due cosmonauti russi e un astronauta americano arrivano sulla Iss grazie alla capsula Soyuz MS-22, per un periodo previsto di permanenza a bordo degli usuali sei mesi. A dicembre 2022, la capsula mostra segni di perdita del liquido di raffreddamento. Che fare? Nasa, l’agenzia americana, e Roscosmos, l’agenzia russa, discutono tecnicamente e operativamente il da farsi, stilando un piano congiunto. La capsula MS-22 viene fatta rientrare a terra senza equipaggio, viene lanciata la MS-23 sempre senza equipaggio per andare a recuperare i tre astronauti e riportarli a terra sani e salvi, cosa che è accaduta il 27 settembre 2023 con un atterraggio nel deserto kazako dopo un periodo nello spazio che, per forza di cose, è stato esteso sino a raggiungere i 371 giorni continuativi. Questi due esempi ci insegnano molte cose, tra cui la forte interdipendenza e interconnessione tra russi e americani per la gestione e le operazioni della Iss, e per assicurare la sopravvivenza degli equipaggi a bordo. Solo assieme possono far funzionare una sistema così complesso, e non c’è spazio – ci sia perdonato il bisticcio di parole – per ripensamenti. Si collabora e basta. È dunque l’espressione di una diplomazia spaziale «spinta», che ha mostrato e mostra tuttora notevoli capacità di resilienza.
Traffico lunareGià verso il finire del 2022, con la missione Artemis I, abbiamo avuto le prime avvisaglie del fatto che non solo la corsa alla Luna sta riprendendo, ma anche che gli attori sono molteplici, sia pubblici che privati, e non solo i due giganti della prima fase, Stati Uniti e Unione Sovietica. Tanto che occorrerà seriamente pensare a come gestire il traffico.
Il 2023 è stato un susseguirsi di missioni. L’India è divenuta la quarta nazione al mondo ad allunare (senza distruggersi a seguito dell’impatto); mentre la Federazione Russa – che è ripartita da Luna 25, dopo avere abbandonato la sequenza di missioni di esplorazione lunare nel 1976 con Luna 24 – non è riuscita ad atterrare in modo morbido. Destino simile è toccato qualche mese fa alla sonda privata giapponese Hakuto, con a bordo il rover emiratino Rashid. Centinaia di missioni sono previste o prevedibili e gli insediamenti di esseri umani che vivranno e lavoreranno in modo permanente sulla Luna si allontanano dai sogni e diventano sempre più una certezza.
Ecco la CinaIn questo quadro, spicca un nuovo attore, la Cina. A velocità supersonica sta raggiungendo importanti traguardi, ha una stazione spaziale, Tiangong, operativa in orbita bassa, ha eseguito una missione sulla Luna riportando campioni a terra (Chang’e 5) e si appresta a una conquista sistematica della Luna. Per fare questo, ha stretto accordi con la Federazione Russa, alcuni altri Paesi, e anche qualche azienda. Ha anche costituito un organismo di coordinamento per l’esecuzione di questa serie di missioni, che avrà sede nella Repubblica Popolare. Gli Stati Uniti, invece, con accordi specifici, hanno aggregato sinora altri 31 Paesi attorno al programma Artemis. Due blocchi? Sembra proprio di sì. E siccome vogliono andare tutti al Polo Sud (lunare: dove ci sono acqua, materie prime e illuminazione costante) i luoghi di atterraggio non sono molti. Potrebbe questo creare potenziali conflitti? Che fare per evitarlo? Forse occorre lavorare in modo preventivo a possibili accordi o condivisione di processi? Nella pratica, occorrono azioni di diplomazia spaziale nella sua massima espressione.
Si muovono i privatiJohn Fitzgerald Kennedy, a 60 anni dalla sua scomparsa, è ancora un esempio da seguire. Aveva visione, guardava alla «Nuova Frontiera» come al modo per stringere, attorno a progetti ambiziosi e lungimiranti, non solo i propri cittadini ma quelli di tutto il mondo: lanciando anche la sfida della collaborazione, cercando non di dimenticare il passato (anzi: tenendolo bene a mente per costruire un futuro migliore). Che è poi l’essenza dei programmi spaziali, ora come allora: sfidanti tecnologicamente, capaci di aggregare competenze e, perché no, portatori di pace.
Guardiamo anche all’impegno crescente di attori privati, che sviluppano sistemi e attività commerciali nell’ambito di quella che prende il nome di space economy. Il 18 novembre Elon Musk con il suo Starship ha mosso infatti un importante altro passo avanti per lo sviluppo di un piano articolato di esplorazione della Luna. Servono però regole, e i primi ad averne bisogno, rapidamente, sono proprio coloro che in questa corsa alla Luna vedono un potenziale di sviluppo e di profitto. Attori privati, quindi, che collaborano con le istituzioni pubbliche per un obiettivo comune.
Uno sguardo al futuroQuali saranno le collaborazioni più importanti e critiche per ottenere il superamento di differenze tra Paesi e popoli sulla Terra, che ci consentano di lavorare per un mondo più giusto e, come Kennedy, non dimenticare il passato per guardare a un futuro migliore? Si potrebbe rispondere: assicurare la massima interoperabilità tra i sistemi, standardizzare il più possibile per riuscire a dialogare meglio, affrontare le sfide globali con un approccio altrettanto globale. Usare la Luna per tentare nuovi esercizi di diplomazia, con un significato diverso da attribuire alla geopolitica. E farlo senza trasferire dalla Terra allo spazio i meccanismi a cui siamo avvezzi e che vediamo chiaramente non funzionare più. Inventando quindi – tutti assieme – quelle regole che possono farci convivere oltre i confini del nostro pianeta in modo pacifico e inclusivo. Una speranza, che auspichiamo diventi certezza. Nella diplomazia spaziale abbiamo ottimi esempi. Seguiamoli anche in altri settori perché, come dimostrano le imprese del settore spaziale, avere un obiettivo collettivo funge da incentivo per tutti coloro che partecipano alla sua realizzazione. Riuscire a farlo nello spazio, dunque, ci dovrebbe aiutare a farlo anche sulla Terra.