Corriere della Sera, 24 novembre 2023
Intervista a Alessandro Haber
«Ho trascorso l’infanzia in Israele e poi sono tornato in Italia. Carmelo Bene mi dava 70 schiaffi a sera, sul palco. Il bacio a Lucia Lavia? Un caos per niente»
«Questa è un’altra storia, vabbé...». La vita di Alessandro Haber sono tanti racconti insieme. E lui, così emotivo, istintivo, sensibile, selvaggio, è il maestro della digressione. Apre la porta di casa, ha la stampella, non più la sedia a rotelle, dopo l’intervento andato male per un’operazione alla schiena.
Anzitutto come sta?
«Meglio, della stampella non so se potrò liberarmi, ho 76 anni, i fisioterapisti mi hanno detto: non pensavamo di vederla in piedi. Per un anno e mezzo ho fatto tutti i giorni piscina e fisioterapia. È stata dura. Ero depresso. Una notte ho sognato di essere Tarzan che salva i migranti».
Cominciamo dalla sua infanzia in Israele?
«Mio papà, un ebreo aperto, lasciò la Romania, dov’era nato, e con mia madre, cattolica, e qualche parente decise nel 1947, poco dopo la mia nascita a Bologna, di andare in Israele, prima che nascesse lo Stato ebraico. Erano due mondi diversi. Si adattarono a fare lavori umili, lei la domestica, lui il muratore, il tassista... Ho vissuto i miei primi 9 anni a Tel Aviv. Andavo in una scuola di Jaffa frequentata da ebrei e musulmani. Non c’erano conflitti. La violenza era dei maestri che mi picchiavano col battipanni perché ero ribelle, incontenibile, svogliato e non studiavo. Volevo far l’attore fin da piccolo».
Com’era Tel Aviv?
«Arrivava gente da tutto il mondo. Io vivevo per strada, scalzo, a petto nudo. C’erano due bande che si fronteggiavano, tipo I ragazzi della via Pal. Non c’entrava la religione. Costruivamo fucili con pezzi di legno e ce le davamo. Ricordo un campo a conca, quando pioveva e si riempiva d’acqua giocavamo ai pirati; ricordo i soldati inglesi, in attesa di rimpatriare, nelle tende, con le lampade a olio. Il conflitto di oggi? Tutto mi sembra assurdo, impensabile. Sogno un mondo alla John Lennon. I palestinesi non stanno con Hamas. Se fossi Netanyahu non mi vendicherei, sorprenderei il mondo».
E poi?
«Quando papà trovò un lavoro migliore, andammo in Italia, a Verona. Mi ritrovai in quinta elementare in classe con Gigliola Cinquetti».
Com’era?
«Graziosa, intelligente, carina. Però la sorella era più bella di lei. La reincontrai a Roma, in piazza di Spagna, l’anno che vinse a Sanremo con Non ho l’età. Anni dopo mi presentò Mimmo Locasciulli, anch’io ogni tanto cantavo: Paoli, Tenco. Mi presentò De Gregori, che mi stimava. Gli chiesi un brano e scrisse per me La valigia dell’attore».
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Haber, Avati, Abatantuono
Ha fatto 150 film.
«Con Bellocchio, La Cina è vicina, il mio debutto, avevo 18 anni. Pupi Avati mi diede il primo ruolo da protagonista, poi Monicelli, Nanni Loy, Nuti, il mio amico Veronesi... Con chi tornerei subito tra Pieraccioni e Moretti? Con Nanni. Lo amo. Mi ha voluto in Sogni d’oro. Faceva cinquanta ciak per una scena. Era venuto a vedermi a teatro in Dialogo di Natalia Ginzburg. Mi disse: ceniamo insieme, solo noi due, e non parliamo di donne e di calcio. Ho sofferto che non mi abbia più richiamato. Ha preso spesso Silvio Orlando, attore che adoro. Un giorno Nanni, quando gli ho detto ma perché non mi hai più chiamato, ha bofonchiato qualcosa che non ho capito. Passo per rompiscatole. Io le dico le cose. Poi torno, mi scuso, si ricomincia, mi piace inventare, mettermi in discussione. Si sparse ’sta voce perché sono esuberante. Sono un emotivo costruttivo, come avrei potuto fare 150 film e tanto teatro?».
È vera la storia dei 70 schiaffi di Carmelo Bene?
«Me ne diede anche di più. Era La cena delle beffe, c’era un altro gigante, Gigi Proietti. Avevo scoperto Carmelo nel monologo del Faust di Marlowe, parlava per cinque minuti con un manichino dicendo: è bella. Tutto qui. È bella. E finiva: è bella il cazzo. Ma questo è un genio, mi dissi. Mi allontanai da lui perché sarei diventato suo vassallo. Due anni prima di morire mi propose Sancho Panza, lui doveva interpretare Don Chisciotte. Avrei pagato io per farlo. Non ci fu tempo».
Questa cosa degli scherzi...
«Perché ci credo, ci casco. Sono un buon punching ball. Ve ne racconto uno. Squilla il telefono, risponde mia madre: ti vuole la segretaria di Luchino Visconti. Io, mai visto né conosciuto. Il maestro la vuol vedere domani per affidarle un ruolo importante, mi dice una voce femminile. Mi dà indirizzo e orario. Metto giù gongolando. Risquilla il telefono, era la mia amica attrice Antonella Squadrito. Non la faccio nemmeno parlare. Sai chi mi ha chiamato cinque minuti fa? E lei: la segretaria di Visconti».
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De Sio e Haber
Veniamo all’episodio con Lucia Lavia. Anno 2011. Otello in prova. Il bacio con la lingua, lo spintone di Lucia, lei reagisce con una sberla, poi manda un messaggio per chiarirsi col padre, Gabriele Lavia, che non le risponde. Possiamo dire un episodio «haberrante»?
«Allora, Gabriele due anni dopo mi telefonò proponendomi un film... Con Lucia provavamo Otello, che è innamorato pazzo e dopo il tradimento nello spettacolo si trasformava, diventavo scimmiesco, parlavo con un linguaggio animalesco. Alle prove a Lucia avevo chiesto: quanto posso osare? Quel giorno davanti a venti persone e non in camerino, tirai fuori mezza lingua perché era il personaggio che lo richiedeva. Lucia pianse, chiamò sua madre, Monica Guerritore. Scoppiò l’ira di Dio sul niente. Io non ho mai aggredito una donna in vita mia».
La sua ex Giuliana De Sio le fu solidale. Com’è due ansiosi insieme?
«Però lei mi calmava. E adesso anche Giuliana si è molto calmata. Ricordo che a casa provavo Strindberg, c’erano sette ruoli femminili e lei li faceva tutti e sette».
Perché la storia finì?
«Mi chiamò e disse che mi aveva tradito con un bacio a un uomo. Un giorno mi domandò: ma tu mi hai mai tradita? Sì, anche con delle tue amiche. Mi ero vendicato del bacio. Cominciò a star male. Non vorrei scendere nei particolari, sono cose brutte. Siamo rimasti amici».
In tv con Veronesi, Rubini, Papaleo, avete fatto flop con uno spettacolo colto, di nicchia, un po’ misogino, pieno di testosterone. Lei a una puntata si calò i pantaloni e rimase col sedere di fuori.
«Era un programma fuori dai canoni. A teatro Maledetti amici miei aveva avuto una risposta forte. Io ero la vittima sacrificale, mi mettevano in mezzo. Il sedere scoperto era una provocazione, l’ho vissuto come un gioco. Ci sono state cose belle e meno belle, mi piace l’imperfezione, chi non sbaglia nella vita?».
Dietro la maschera dell’ansia, chi è davvero Alessandro Haber?
«Sono un libro aperto. E non sono un ipocrita. Mi ha salvato la dedizione al lavoro e mia figlia, un miracolo che ho avuto tardi, a 55 anni. Ha 19 anni, vive con la mamma. Ci vediamo, ci amiamo».