La Stampa, 23 novembre 2023
Solo un ebreo capisce un ebreo
«Le amiche mi dicono: Liliana, con quel che sta accadendo starai chiusa in casa. Io rispondo: no, sono una donna libera e sono una donna di pace». Ci sono periodi in cui l’attualità fa irruzione anche nella terribile tessitura della narrazione e della memoria della Shoah. Liliana Segre è a Genova per ricevere il premio Ipazia – Eccellenza al femminile, accolta e salutata da un applauso interminabile al suo arrivo nella sala Duse del Teatro Nazionale.
È intervistata da Lucia Annunziata e l’attualità urgente della crisi tra Israele e Hamas alla conclusione dell’incontro è sul piatto. Dice Liliana Segre: «Dal 7 ottobre la cosa più orribile, quella che da nonna mi scuote nel profondo, è quel che accade ai bambini. I bambini non vanno mai toccati, di qualunque colore, di qualunque etnia, i bambini non possono essere vittime perché i genitori sono nemici tra di loro». Ricorda la maternità: «Quando finiti i dolori ti mettono in mano il neonato, tu lo guardi come un miracolo». Ma c’è anche una rivelazione: «Che nei libri di storia ci sarà solo una riga sulla Shoah lo pensavo da tempo, la guerra attuale in Israele non mi ha condizionata. Quando un ebreo incontra un altro ebreo sa che solo lui potrà capire: la mia, la nostra è una paura ancestrale».
C’è spazio, nel rifiuto della violenza, di qualunque tipo di violenza, anche per un’incursione nella tragedia del femminicidio di Giulia Cecchettin: «Penso a lei e penso anche a lui, a questo assassino. I genitori affermano che per loro era un bravo ragazzo, vedi le foto con un volto pulito e poi trovi un ragazzo qualsiasi che si trasforma». Inevitabile l’accostamento: «Sapete, anche i carcerieri dei lager spesso avevano la faccia pulita. Ne ricordo uno che aveva il volto da ragazzino. Perché qui sta il punto: il mostro in realtà non si presenta da mostro».
Prosegue Liliana Segre: «Un poveraccio, un assassino, ma un ragazzo qualsiasi che non ha mica i denti da vampiro. Eppure si trasforma. E tutti noi cerchiamo di capire perché avvenga questa trasformazione, ma non mi so dare una risposta, perché aveva dei problemi? Perché la donna era più forte di lui? Non esiste un motivo che giustifichi un massacro del genere».
Così come non c’è un motivo che possa dar giustificazione alla Shoah. «Sapete: il prototipo della banalità del male è stato Adolf Eichmann. Si è sempre difeso dicendo: ho solo obbedito agli ordini. Senza pensare ai crimini e alle persone, alle donne che aveva spogliato di ogni dignità».
Ma questo doppio registro psicologico s’insinua anche nelle pieghe della più banale quotidianità: «Magari c’è l’inquilino che abita vicino a te, che è elegantissimo, che quando ti incontra ti fa passare in ascensore ma poi si trasforma e all’assemblea del condominio per una lampadina da 5 watt potrebbe brandire un coltello».
Scavando nei ricordi Liliana Segre va a rintracciare anche le tracce del gravissimo peccato di omissione, le mani a coprire gli occhi che in Italia favorì e agevolò l’orrore contro gli ebrei. Anche in qual caso la banalità del male aveva le vesti e l’apparenza innocua di una maestra di scuola elementare: «I miei genitori la pregarono di venire a casa nostra per consolarmi, lei arrivò seccatissima perché non voleva dir di no ma alla fine della visita si accalorò e disse: ma insomma, che cosa volete, mica le ho fatte io le leggi razziali!».
Liliana spiega: ho dedicato la mia vita alla pace. Ricorda quando a 14 anni nel lager avrebbe potuto uccidere un kapò, con la pistola sottratta: «Nella mia vita ho privilegiato fare certe scelte. Io non avrei mai potuto uccidere nessuno, neppure quel nazista. Non ho mai trovato le parole per dirlo, quell’orrore. In quel momento, ho capito che non ero come lui. Ora ho 93 anni e sono quella che sono, ma le parole per dire Auschwitz non ci sono. Ho letto Primo Levi, tanti sopravvissuti di varie nazionalità. Nessuno ha trovato le parole per dirlo. Nemmeno nelle fiabe dove ci sono gli orchi». La sua conclusione: «Forse tra un secolo lo ste«rminio sarà una riga nei libri di storia, ma io credo al valore della testimonianza. Mi capita di incontrare persone che si ricordano di avermi ascoltata. E mi emoziona pensare a quel che ho ottenuto io, senza mai parlare di odio e di vendetta, ma di mitezza e di pace, anche se sono estremamente pessimista sul futuro dei prossimi cinquant’anni». —