il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2023
L’ode social alle vergini
Ed è un problema trasversale, che sta assumendo contorni simbolici: dalla sorella della vittima che viene tacciata di stregoneria come ai tempi dell’Inquisizione all’avvocato d’ufficio del femminicida (ora rimosso dall’incarico) che pubblicava post e video in cui ricordava che la violenza è sia maschile che femminile e che il sesso è irrazionale, quindi talvolta è difficile comprendere se ci sia il consenso. C’è poi l’esercito dei boomer-conduttori maschi che spiegano alle donne cosa sia la violenza di genere (li ringraziamo sentitamente) e gli editorialisti che hanno curriculum decennali di titoli, articoli, attacchi sessisti e ora piangono Giulia dicendo che però “il patriarcato non c’entra”. E se una donna prova a contestarli: “Zitta maestrina”.
Sarebbe ingiusto però circoscrivere il problema, ritenere che questo sia uno schema antico a cui aderiscono maschi involuti e donne che si sentono ormai irrimediabile emanazione del potere maschile. O meglio, è vero anche questo, ma è una lettura parziale della realtà.
Frequentando molto Instagram e TikTok, ovvero i social più utilizzati dai giovanissimi, è evidente come gli stereotipi sessisti e la mentalità machista in cui l’uomo domina la donna siano endemici. Così come è evidente come il patriarcato interiorizzato dalle ragazze sia una questione preoccupante, e lo è proprio perché i segnali incoraggianti rappresentati dal neo-femminismo ci hanno forse fatto credere che le nuove generazioni si stessero emancipando in maniera compatta.
Ci sono invece diversi fenomeni allarmanti che indicano quanto lavoro ci sia ancora da fare: il primo riguarda l’esaltazione della gelosia dei ragazzi, gelosia rappresentata come un elemento indispensabile nella coppia o come motivo d’orgoglio da parte della ragazza. In molti video caricati su TikTok le giovani mostrano fidanzati che tirano giù gonne troppo corte, che negano “il permesso” di andare in discoteca, che fanno interrogatori assillanti al telefono per sapere dove si trovino le loro fidanzate. Mostrano perfino padri gelosi di un loro abito succinto e addirittura ci sono padri che mostrano figlie piccolissime utilizzandole per creare dialoghi e sketch sulla gelosia paterna. Il ragazzo geloso è sempre definito “malessere”, ma l’appellativo è più un trend che la realtà, perché in tutti questi contenuti le ragazze mostrano un certo compiacimento nell’esibire il morboso senso del possesso del partner. La gelosia è mostrata con orgoglio, è la dimostrazione che lui è innamorato.
C’è poi un altro trend, che è quello della celebrazione della verginità. In questi video c’è sempre una ragazza che si esibisce o è esibita come un trofeo e frasi come “Quanto è bello avere una ragazza della quale nessuno può dire ‘Fra quella me la sono fatta’”. Insomma, il dominio assoluto ed esclusivo sul corpo di una donna sbandierato manco fossimo nel Medioevo. Uno dei trend più diffusi è poi, tristemente, quello dei giovanissimi e delle giovanissime che giudicano in maniera volgare e impietosa la moralità delle loro coetanee. La canzone scelta per accompagnare questo genere di video è quasi sempre quella col ritornello “Chupa Chups” che allude al rapporto orale. Il contenuto è spesso molto simile: una ragazza o anche due o più amiche, cantando “Chupa Chups”, alludono alle abitudini sessuali di un’altra ragazza. Le frasi scritte a commento dei video sono, ad esempio: “Vi siete fatte tutta Catania e provincia, almeno state zitte”, “Vogliono fare le santarelline ma io e mia sorella sappiamo quanti chupa chups hanno fatto”, “Sei solo una che non sa dare valore a se stessa”, “Te li sei passati tutti” e così via. Insomma, video aggressivi e giudicanti creati da ragazze spesso anche minorenni rivolte a ragazzine giudicate troppo facili. E, duole dirlo, sono quasi sempre contenuti pensati da donne per altre donne. E poi, soprattutto su Instagram, c’è il filone dei love coach, ovvero uomini e donne over 30 che non si limitano a rifilare fregature vendendo corsi per conquistare un partner, ma insistono sul tema della manipolazione mentale, utilizzano espressioni come “rendila schiava”, “distruggi l’ego screditandola e vedrai che si attacca come un francobollo”, “Come rendere una donna dipendente da te”. Persone con decine di migliaia di iscritti al proprio canale che guadagnano denaro promuovendo concetti tossici come le manipolazioni mentali e le dipendenze affettive.
Insomma, la cultura del patriarcato e l’esaltazione delle relazioni disfunzionali occupano gli spazi più impensabili, anche quelli che riteniamo salvi da vecchi retaggi culturali, che ci sembrano sgombri dai pregiudizi perché occupati dai più giovani. E invece no. Giulia è morta, ma a guardarsi intorno, in questi giorni, nessuno sembra essere davvero salvo.