il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2023
Artisti che si liberano di tutti i gioielli
Eric la chiamava The Fool, “la Matta”. E l’amava alla follia, perché sotto le sue carezze lei sapeva dire cose struggenti. The Fool, la chitarra che Clapton aveva usato nel secondo album dei Cream, Disraeli Gears, quel richiamo da irresistibile ninfa in classici come Sunshine of your love e Strange Brew. Una Gibson SG con una “voce” inconfondibile: Eric seppe tuttavia separarsene, per un dono d’amicizia a George Harrison. I due si erano contesi in amore Patty Boyd, che alla fine aveva scelto “Slowhand” Clapton, mentre, poco dopo, The Fool sarebbe finita tra le braccia dell’ex Beatle. Alla morte di George, è cominciato il giro dei feticisti danarosi: due nuovi proprietari, uno via l’altro, finché giorni addietro la leggendaria chitarra non è stata battuta all’asta da Julien’s Auctions. Se l’è portata via un collezionista di Indianapolis, Jim Irsay, per la bellezza di 1,27 milioni di dollari.
Parte della cifra verrà destinata a un centro per la salute mentale. No, non è una svendita, anzi un primato, almeno per quanto riguarda i cimeli claptoniani. Però, ogni volta che una reliquia profana del rock finisce all’incanto, i fan si sentono smarriti, defraudati di un’eredità sentimentale, traditi dalla star. Che in questo caso, visti i ripetuti cambi di “padrone” di The Fool, può dirsi assolta. Così come, giocoforza, anche per la pratica della Fender Mustang che il buonanima Kurt Cobain suonò nell’ultimo tour della sua vita. L’aveva imbracciata pure nel concerto finale in un hangar aeroportuale a Monaco, 1° marzo 1994. Impugnava la ‘Skystang 1’ (sì, serve un nome, quando il mito si compie) per il bis dimesso doloroso su Heart Shaped Box, le dita a scivolare sulle corde, il mesto ringraziamento al pubblico, il presagio di un passaggio nell’Ombra di lì a un mese per il malinconico semidio del grunge. ‘Skystang 1’, dalla patina intatta e senza “rughe” sul corpo, una settimana fa a Nashville ha cambiato custode: qualcuno che ha pagato più di un milione di mezzo di dollari. Transazioni economiche fredde, inutile interrogarsi sullo strappo, nell’immaginario collettivo, dai musicisti che le avevano scelte e valorizzate molte pagine più indietro nel grande libro del rock. Cosa dire, però, quando è proprio lui, un Chitarrista con la C maiuscola, a disfarsi del tesoro? Diamine, questi sono oggetti sacri. Tangibili, venerabili. Robe metalliche, eppure trascendenti. Non è come pattuire con una casa discografica la cessione dei diritti d’autore: lì passi all’incasso, ti sistemi per la vecchiaia, cedi qualcosa di virtuale. E sia. Ma il “fuori tutto” sugli strumenti? Il prossimo a svuotare la sala dei propri ricordi sarà Mark Knopfler: appuntamento a gennaio 2024 da Christie’s, per un lotto di 120 pezzi, tra chitarre e amplificatori, dell’ex leader dei Dire Straits. Si parte da una base (a esemplare) di 300 mila sterline o giù di lì. Facile prevedere che prima dei tre decisivi colpi di martelletto le offerte faranno salire vertiginosamente i prezzi, soprattutto al momento di contendersi la Les Paul del 1983 con cui l’autodidatta Knopfler (oggi un 74enne “pensionato” dei tour) registrò Money for Nothing prima di sfoggiarla a Wembley nel giorno del Live Aid. L’asta (il 25 per cento del ricavato andrà in beneficenza) potrebbe avvicinare di molto, ma probabilmente non superare, il record registrato nel 2019 dal parco chitarre di David Gilmour. Nella prima sera d’estate di tre anni fa, sempre da Christie’s New York, il cento per cento degli esemplari, ben 126, trovò acquirenti: incasso totale di 21,5 milioni di dollari, una punta di quasi 4 milioni per la sola ‘Black Strat’, il Santo Graal dei Pink Floyd, la Fender con cui furono registrati The Dark Side of the Moon e The Wall. David l’aveva acquistata nel 1970 da Manny’s, il negozio sulla 48ma, Midtown Manhattan. Se ne era innamorato osservandola in vetrina: gli ricordava quella regalata dai genitori per il suo 21mo compleanno, e poi rubata da qualche disgraziato.
La Stratocaster originaria era color ruggine, quest’altra Gilmour la fece ridipingere di nero, dandole un’anima, un’identità, un’oscurità in cui immergersi per un viaggio tra psiche e cosmo. Vederla vendere è stato un colpo al cuore per i devoti della Black Strat, più che per l’uomo che ne aveva fatto una compagna di vita. Chissà. Dev’essere che invecchiando i musicisti collaudano il commiato dalle cose care e dalle memorie, mettono in atto prove tecniche di abbandono da quegli oggetti che tutti gli altri hanno visto come prolungamenti dei loro corpi, come estensione delle braccia, corridoi incantati per le dita. Chissà che avrebbe scelto di fare Jimi Hendrix, se fosse stato ancora qui.