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 2023  novembre 23 Giovedì calendario

LA “MANINA” DEL MOSSAD DIETRO A UN MISTERO ITALIANO LUNGO 50 ANNI – IL 23 NOVEMBRE 1973 IL BIMOTORE “ARGO 16” DEI SERVIZI SEGRETI ITALIANI PRECIPITÒ A MARGHERA, E MORIRONO QUATTRO MILITARI – TRE SETTIMANE PRIMA DELLO SCHIANTO, L'AEREO AVEVA TRASPORTATO DUE TERRORISTI PALESTINESI RICONSEGNATI A TRIPOLI – IL SEGRETO DI STATO, GLADIO E LA TESI DI UN SABOTAGGIO ISRAELIANO SMENTITA DAI GIUDICI - L’EX CAPO DEL CONTROSPIONAGGIO, AMBROGIO VIVIANI, PARLÒ DI “UN CONSIGLIO UN PO’ CRUENTO PER DIRCI DI SMETTERLA CON GHEDDAFI E IL TERRORISMO ARABO-PALESTINESE”. ANCHE COSSIGA AVEVA SOSTENUTO LA TESI DELL’ATTENTATO, SALVO POI... -

Ogni fine settimana a Marghera decine di giovani ballano sotto le casse di Argo 16. Si chiama così un locale che ospita musica dal vivo tra le fabbriche deserte. Difficile capire quanti dei ragazzi che lo frequentano sappiano che quel nome non è casuale: apparteneva a un aereo dei servizi segreti italiani caduto su quella zona industriale 50 anni fa. Il punto dello schianto è segnato da un cippo fatto con un frammento d’ala - “sciagura aerea”, recita la scritta a qualche chilometro dal club.

È l’unico segno di un mistero italiano dimenticato: ci sono voluti decenni per collocare quel bimotore al centro di un intrigo che lega l’esercito clandestino Gladio, il conflitto tra israeliani e palestinesi al tempo della Guerra Fredda e l’ombra di un attentato del Mossad, poi smentito da una sentenza che non è bastata a trovare la verità.

Ma questo gli operai che la mattina del 23 novembre 1973 si videro sfiorare dalla carlinga di un bimotore Dakota C53 non potevano saperlo. Mentre le sirene davano il via al turno del mattino nel formicaio industriale di Porto Marghera, poco dopo le 7.30, un ruggito di motori coprì ogni rumore.

L’aereo bucò la foschia in picchiata, urtò contro la palazzina del centro di calcolo della Montefibre, azienda della plastica, ed esplose a terra lasciando una scia di fuoco e lamiere. «Avevo appena assegnato i lavori agli operai», ricorda Lando Arbizzani (nella foto a sinistra), tra i primi ad arrivare sul posto: «C’erano duecento metri di rottami in fiamme assieme ai resti dell’equipaggio».

Le vittime Uniche vittime, il pilota Anano Borreo e il secondo Mario Grande, il marconista - cioè l'addetto alle comunicazioni radio - Francesco Bernardini e il motorista Aldo Schiavone. Evitarono gli uffici pieni di impiegati per un soffio. Il portinaio ebbe un infarto. «

[…]  Indenni i serbatoi di fosgene, gas tossico usato dall’industria, che sorgevano non lontano da lì: all'epoca si parò di un miracolo. L’area si riempì di militari. […]

Quel giorno due ufficiali bussarono alla porta di Luigi Borreo, studente ventenne. Lui aveva già intuito perché. Suo padre Anano, pluridecorato nella Seconda guerra mondiale, era il colonnello ai comandi di Argo 16. «Nel mio cuore mio padre è sempre vivo, ricordo il suo eroismo: mi diceva “sai, chi ha il comando deve essere pronto a dare la vita”», ricorda. Oggi fa il dentista. A cinquant’anni di distanza non sa cosa abbia fatto cadere quel Dakota. Negli ultimi tempi il padre si raccomandava: «Non dire mai, Luigi, quando parli con gli amici, dove vado”. “Perché?”. “Sai, ‘sti attentati...».

Le dichiarazioni dello 007 L’aereo, diretto ad Aviano, era caduto pochi minuti dopo il decollo da Venezia. Per l’Aeronautica militare avvenne per “causa imprecisata”. La magistratura archiviò quasi subito di conseguenza. Antonio Bernardini, ingegnere in pensione, si chiede da 50 anni come fosse possibile schiantarsi per un equipaggio così esperto.

Suo padre Francesco era marconista sull’Argo 16. «Ha volato ogni settimana per 32 anni – riflette – quanto è probabile che proprio quel 23 novembre sia capitato un incidente?». Le probabilità crollarono nel 1986: l’ex capo del controspionaggio Ambrogio Viviani in un’intervista a Panorama definì la fine di Argo 16 «un avvertimento del Mossad, un consiglio un po’ cruento per dirci di smetterla con Gheddafi e il terrorismo arabo-palestinese».

Tra israeliani e palestinesi Il giudice Carlo Mastelloni di Venezia aprì un’inchiesta per strage: interrogò Viviani e lo arrestò per reticenza. Dalle indagini emerse che il 31 ottobre 1973, appena tre settimane prima del suo ultimo volo, Argo 16 era servito per la riconsegna a Tripoli di due terroristi palestinesi che avevano pianificato un attentato contro un aereo israeliano a Ostia. Presi il 5 settembre 1973 e rilasciati il 30 ottobre.

Come “ripicca”; secondo Mastelloni, gli israeliani fecero abbattere l’aereo che li aveva trasportati. La tesi era stata al centro di un’interrogazione del deputato missino Beppe Niccolai nel 1974, ma il governo aveva negato. In quegli anni di scontro tra Israeliani e palestinesi in Europa, tra massacri, omicidi sotto copertura e dirottamenti aerei, l’Italia tentava di uscirne con un “doppio gioco”, il cosiddetto Lodo Moro: fedeltà ufficiale alla Nato e a Israele e, in segreto, accordo con i palestinesi cui veniva lasciava libertà di movimento a patto che non colpissero obiettivi italiani.

[…]

L'aereo fantasma Durante le indagini gli elementi a supporto del sabotaggio vennero meno. Alcuni militari citarono un fascicolo dei servizi segreti su Argo 16 ma non fu mai trovato. Altri riferirono di una relazione dell’Aeronautica in cui si parlava di «sabotaggio tra la fusoliera e la coda» ma non fu trovata alcuna documentazione scritta. Impossibile fare una perizia: nel 1988 l’aereo era stato rottamato. Le indagini ricostruirono che i rottami rimasero alle Officine aeronavali di Tessera fino al 1976, poi vennero spostati a Treviso, venduti e distrutti. Ma le voci dicono sia rimasto a Tessera molto più a lungo. Nei documenti sullo smaltimento, scrisse il giudice, c’erano dei vuoti.

Segreto di Stato Quando Mastelloni chiese ai Servizi la documentazione sui viaggi di Argo 16 si trovò davanti a un muro: segreto di Stato. Quel segreto proteggeva Gladio, gruppo paramilitare creato negli anni ‘50 con regia Usa fuori dai limiti della Costituzione contro un’eventuale invasione sovietica. Fu rivelato da Andreotti nel 1990 dopo quasi quattro decenni di silenzio.

Argo 16 serviva a spostare uomini e armi, oltre che per operazioni di spionaggio sui cieli del blocco orientale. Portava civili dal Nord Italia in una base ad Alghero, in Sardegna, dove venivano addestrati», sottolinea l’avvocato Sebastiano Sartoretto, che assistette Luigi Borreo come parte civile. «Questo sarebbe emerso dai movimenti di quell’aereo perciò non si poteva rivelare».

La verità sugli ultimi secondi di Argo sparì con i nastri delle comunicazioni di bordo. Nel 1995 Mastelloni dispose il sequestro delle bobine ma risultarono irreperibili: l’ufficiale dell’Aeronautica che le aveva prelevate dopo l’incidente non sapeva spiegare che fine avessero fatto. Altra stranezza: quando il giudice fece perquisire la casa del capo di stato maggiore dell’Aeronautica furono sequestrati i suoi diari e l’unico mancante era quello del 1973.

Il processo Nel 1999 iniziò il processo con 22 imputati, i più importanti furono i vertici dei servizi segreti italiani e israeliani: per strage, il capo del Mossad, Zvi Zamir, e il suo referente di Roma, Asa Leven - presunto esecutore - che nel frattempo era morto; il numero uno degli 007 italiani dell’epoca Vito Miceli, per soppressione di documenti, e il numero due Gianadelio Maletti.

[…]

Tutti assolti In aula si perse il conto dei “non-so-non-ricordo-non-rispondo” dei militari ogni volta che si parlava dell’ipotesi di attentato. Nel 1999 gli imputati furono tutti assolti perché il fatto non sussiste: niente riscontri di sabotaggio, niente soppressione di documenti. La procura fece appello subito, ma poi aderì alle motivazioni dei giudici e rinunciò.

La tesi dell’attentato era stata sostenuta anche dall'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga: «Ne parlò più volte, anche in una lettera a un onorevole, in termini diretti, ma poi ritrattò pubblicamente», sintetizza Sartoretto. L’ultima spiaggia per le famiglie fu rivolgersi al presidente del Consiglio: «Scrivemmo a Prodi nel 2006 per chiedere chiarezza, non ricevemmo risposta. Ho sperato che qualcuno che conoscesse la verità, in fin di vita, decidesse di rivelarla. Ma non è avvenuto» […]