il Giornale, 23 novembre 2023
Botte, stupri, omicidi e burle feroci Quei cattivi ragazzi del Rinascimento
Firenze, tra XV e XVI secolo, fu una fucina di talenti. Artisti, architetti, scrittori, filosofi, filologi, senza dimenticare generosi committenti, misero a fuoco il Rinascimento, l’epoca più gloriosa dell’espressione geografica nota come Italia. Il sistema politico era stabile, o quasi, grazie all’egemonia dei Medici, interrotta principalmente tra il 1494 e il 1512. Machiavelli, in questo intervallo, maturava le esperienze che lo porteranno a rivoluzionare le scienze politiche con Il principe. Lorenzo il Magnifico morì giovane: se fosse stato più fortunato, forse sarebbe riuscito a federare l’Italia e a liberarla dalla funesta influenza delle potenze straniere. Marsilio Ficino rifondava la filosofia platonica e apriva uno scorcio non irrilevante sull’esoterismo in compagnia di Pico della Mirandola. Architetti, pittori e scultori inimitabili ornavano la città con le proprie opere, spinti anche dalla munificenza delle famiglie più ricche, dai Medici, ovviamente, ai Rucellai.
Il genio si accompagna spesso alla sregolatezza. Il luogo comune dimostra la sua efficacia proprio in quella Firenze al massimo dello splendore. Partiamo dalle origini del Rinascimento.
Filippo Brunelleschi (1377 1446) è forse il primo architetto moderno. Inutile elencare le sue opere immortali. Ci limitiamo a citare la cupola di Santa Maria del Fiore, che ha modificato per sempre il profilo del capoluogo toscano. Un altro grande architetto, Giovanni Michelucci, morto a Firenze nel 1990 e autore, tra le altre cose, della Stazione di Santa Maria Novella, ha scritto un saggio su Brunelleschi mago (pubblicato nel 2011 da Medusa) in cui sottolineava l’anti-classicismo di Brunelleschi, uso a ricorrere a strumenti non tradizionali. Ma Brunelleschi era anche famoso per le sue burle spietate. Una entrò nella storia della città ma anche della letteratura. Brunelleschi, insieme con altri amici, riuscì a convincere un malcapitato ebanista di essere... un’altra persona. La vicenda fu raccontata nella Novella del Grasso legnaiuolo, un capolavoro della prosa del Quattrocento e una fonte d’ispirazione per la saga cinematografica di Amici miei. La versione più famosa è quella a cura di Antonio Manetti, architetto e biografo del Brunelleschi.
Dalle origini, passiamo all’apice del Rinascimento. Michelangelo Buonarroti (1475 – 1564) era un’autentica rockstar ante litteram. La sua grandezza fu immediatamente compresa. Michelangelo era un intoccabile anche da vivo. Oddio, intoccabile. Si dice che Michelangelo avesse il naso storto a causa di una rissa con Piero Torrigiani nella chiesa del Carmine dove entrambi andavano a imparare dalla cappella del Masaccio. Michelangelo, secondo il Torrigiani, si faceva beffe di tutti i disegnatori che si trovava accanto. Il Torrigiani, un vero marcantonio, non gradì e sfondò la faccia di Michelangelo. Un giorno, se ne vanterà con la persona sbagliata: Benvenuto Cellini, scultore, malvivente e adoratore di Michelangelo. Ma ci arriveremo.
La lezione, comunque, non fu utile a Michelangelo, che rimase un provocatore e un uomo assai orgoglioso di se stesso. Dipingere in Vaticano era un onore riservato a pochi. I fortunati non potevano certo trattare il Papa, cioè il committente, come un rompiscatole. Non potevano? Beh, uno poteva: Michelangelo. Che siano leggendari o meno, ci sono aneddoti comunque significativi. Un esempio. Durante la stesura degli affreschi della Cappella Sistina, Michelangelo non volle scocciatori prima di aver concluso. Giulio II, che non era un agnellino ma un pontefice guerriero, rimase fuori dalla porta chiusa a chiave.
Vittorio Sgarbi ha appena pubblicato il suo Michelangelo. Rumore e paura (La nave di Teseo). Il libro sfata il mito dell’unicità di Michelangelo, mostrando come la ricerca dell’artista fiorentino non fosse isolata ma ben inserita nel tessuto dell’arte «contemporanea» (a Michelangelo). Ma l’arte è sempre contemporanea, in un certo senso, e Sgarbi mostra imprevedibili analogie e relazioni con opere successive di secoli a quelle michelangiolesche, dalla Origine del mondo di Gustave Courbet all’Urlo di Edvard Munch. Insomma, il Michelangelo di Sgarbi scavalca il tempo e giunge fino a noi, mediato anche da un autentico culto, mai venuto meno e rilanciato, ad esempio, da Gabriele d’Annunzio.
Michelangelo pose le basi del manierismo e del Barocco. Benvenuto Cellini (1500 – 1571) volle partire da dove il maestro aveva finito. L’abbiamo già citato poco sopra. A lui, Torrigiani raccontò di aver rotto il naso a Michelangelo. Cellini diede in escandescenze. L’autobiografia La Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze, stampata postuma a Napoli nel 1728, è un capolavoro che si dipana tra pugnali, vendette, veleni, risse, fughe, accuse di sodomia e la celebre evasione da Castel Sant’Angelo. Cellini era, a dir poco, una testa calda, meglio: rovente. Aveva appena superato i vent’anni quando dovette scappare da Firenze per una condanna a morte. Cellini aveva preso a pugnalate un orafo suo rivale e già che c’era anche un terzo uomo intervenuto nella lite. La Vita è un «romanzo» picaresco tra i più divertenti mai scritti in lingua italiana o meglio volgare. L’editore Neri Pozza manda in libreria in questi giorni una frizzante Vita maledetta di Benvenuto Cellini scritta da Alessandro Masi, storico dell’arte. Ve la consigliamo anche se avete il coraggio di affrontare direttamente il volgare del 1500.
Infine, un caso diverso da quelli esposti fino a qui. Spostiamoci a Roma e prendiamo in esame la vicenda di Artemisia Gentileschi (1593 – circa 1652). Pittrice di valore, studiò con Agostino Tassi «lo Smargiasso», virtuoso della prospettiva. Tassi stuprò Artemisia. Il caso fu denunciato dal padre di Artemisia quando tramontò ogni speranza che il Tassi sposasse la ragazza. Lo Smargiasso fu condannato al termine di un lungo processo, estremamente umiliante per Artemisia. Tassi prese cinque anni di carcere commutabili in esilio perpetuo da Roma. Scelse la seconda strada e se ne andò. Di recente, gli Oscar Mondadori hanno ripubblicato il romanzo Artemisia (1944) di Anna Banti (1895 – 1985). È il libro che ha fondato il mito di Artemisia. L’autrice, Anna Banti, era scrittrice e critica d’arte. Moglie di Roberto Longhi, maestro della critica d’arte e «inventore» di Caravaggio, ne condivise gli interessi e le iniziative, dirigendo, ad esempio, l’importante rivista Paragone, palestra di più generazioni di scrittori (Bassani, Testori, Pasolini e moltissimi altri) ed esperti d’arte.
Non c’è bisogno di spiegare l’attualità di Artemisia, motivo per cui la ristampa è doppiamente importante: perché ricorda la Gentileschi, simbolo della violenza sulle donne; perché celebra Anna Banti, una grande intellettuale.