il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2023
Critica alla pubblicità progresso
Scene da un mondo parallelo. Quello dell’ultimo spot del governo per la campagna contro le droghe. Il ragazzino 1, all’incirca 13 anni, incontra il ragazzino 2, che avrà un paio d’anni in più, mentre se ne sta appoggiato al muretto all’interno di un cortile in pieno giorno. Ecco il dialogo.
R1: “Che stai facendo?”
R2: “Niente”.
R1: “Come niente? Ti stai facendo una canna”.
R2: “Embè?”
R1: “Guarda che ti fa male. Poi è un attimo che passi ad altre droghe”.
R2: “See… e te che ne sai?”.
R1: “L’ho visto con i miei occhi. Tutte le droghe fanno male”.
Nel mondo reale esistono alte probabilità che il dialogo non si svolga affatto in questo modo. Anzi che non parta proprio con la domanda: “Che stai facendo?”. Pare infatti acclarato che quando un quattordicenne – accadeva già 40 anni fa – vede un amico rollare qualcosa abbia pochi dubbi: sta rollando una canna. Che se poi sta rollando una sigaretta, fa male uguale (la dipendenza da nicotina, sulla quale fanno cassa tutti gli Stati, è una strage mondiale che fa milioni di vittime). Ma mettiamo pure che il piccolo Poirot – nel video ha un incedere piuttosto inquisitorio – rivolga all’amico la domanda (retorica, a quanto pare): “Che stai facendo?”.
La probabilità che la risposta sia “Fatti due etti di c… i tuoi” è piuttosto elevata. Altrettanto elevata un’altra probabilità. Che l’amico gli risponda: “Mi sto facendo una canna”. E gliela passi. E se la fumino insieme. Uno dice: ma infatti proprio questo è il problema. Per questo abbiamo creato questa campagna. Che si conclude così: “Ogni anno – commenta la voce fuori campo – migliaia di persone vanno al pronto soccorso per patologie legate al consumo di droghe. Circa una su dieci è minorenne”. E il ragazzino conclude: “Butta via la droga. Non la vita”.
Che ricorda un po’ Pedro Benitez, lo scalatore delle Ande che, di fronte ai drogatelli del film Boris, nella scena 322 dice: “Ragazzi non drogatevi! Ho perso la corsa della vita a causa di quella robaccia!”. Ma quella era una scena comica. La parodia della morale che pensa di risolvere il problema delle dipendenze. Questa invece è la parodia che diventa realtà. La tossicodipendenza (di qualsiasi tipo) è un problema serio e sempre più dilagante. Nessuno si aspetta che sia uno spot a risolverlo (che il governo lo riduca, invece sì). Ma è pur sempre una campagna di comunicazione. Il suo obiettivo è comunicare. A chi? A una generazione di adolescenti. Che parlano, vivono di altri linguaggi, e mai si parlerebbero così. Quel ragazzino somiglia tanto ai nostri genitori che di fronte alla prima sigaretta intimavano: “È il primo passo verso lo spinello. E poi passi all’eroina”. Un concetto che non ha mai disincentivato le tossicodipendenze. Che sono (tutte) una piaga sociale. E qui siamo a spot e distintivi. Per di più, fermi al secolo scorso.