la Repubblica, 23 novembre 2023
Intervista a Dirk Cussler
Due generi considerati a lungo di serie B viaggiano paralleli nel mondo della narrativa: i romanzi gialli e quelli d’avventura. Entrambi hanno sempre avuto un grande successo commerciale, perché piacciono al pubblico. Entrambi sono stati a lungo snobbati dalla critica, che con scarse eccezioni li giudicava roba per ragazzi o di poco valore.
La differenza è che i gialli adesso sono approdati alla serie A, mentre sui romanzi d’avventura continua a pesare uno stigma. Se fosse ora di fare cadere anche quello? L’interrogativo viene in mente leggendo Il mare del diavolo, primo romanzo dell’americano Dirk Cussler, figlio del più noto Clive Clusser.
Scomparso nel 2020, Cussler senior era (anzi rimane: perché continua a vendere) uno degli autori di bestseller più popolari del mondo: 85 romanzi, 130 milioni di copie in tutte le lingue, 8 milioni soltanto in Italia. Cussler junior ha iniziato come coautore dei libri del padre, insieme al quale ne ha firmati otto, e ora che il genitore se n’è andato ha cominciato a scriverne in proprio.
Con papà aveva in comune anche la passione per il mare, nei panni di fondatori e dirigenti di una società di ricerche sottomarine con la quale hanno recuperato più di 80 relitti dal profondo degli oceani: tutta esperienza buona per i loro libri.
Il suo romanzo d’esordio continua la saga di Dirk Pitt, protagonista di una serie di romanzi del padre: la storia di un agente segreto ed esploratore, via di mezzo tra James Bond e Indiana Jones, stavolta in azione tra vette del Tibet e acque del Pacifico, alle prese con minacce militari cinesi e antiche leggende buddiste.
Soltanto a sentirlo descrivere così, gli appassionati dei romanzi concentrati sull’ombelico dell’autore storceranno la bocca, ma una cosa è certa: nelle pagine dei Cussler, padre o figlio, non ci si annoia. In attesa di un critico che abbia il coraggio di sdoganare i romanzi d’avventura, magari ricordando che comprendono gente come Melville e Conrad, sentiamo cosa ne dice Cussler junior, in collegamento via Zoom dall’Arizona.
Da dove viene l’ispirazione per “Il mare del diavolo”, Cussler?
«Dai libri di storia. Ero rimasto colpito dalla vicenda del Dalai Lama, costretto dalla Cina comunista a lasciare il Tibet nel 1959. Poi mi sono imbattuto in un articolo su un bombardiere americano della Seconda guerra mondiale che doveva attaccare il Giappone, ma a causa di una tempesta sbaglia rotta e finisce sulle montagne tibetane. Ho pensato a un pugno di stranieri fra quelle vette e a che cosa sarebbe potuto succedere. Quattrocento pagine dopo, il libro era pronto».
Sarebbe piaciuto a suo padre?
«Penso di sì, perché ha tutti gli elementi dei suoi romanzi. E mio padre era appassionato di storia, è stato lui a contagiarmi con la medesima passione: la sua libreria aveva migliaia di volumi sull’argomento, io l’ho ereditata e cerco di farne buon uso».
Da Kingsley e Martin Amis a Anita e Kiran Desai, per tacere dei due Alexandre Dumas, voi non eravate l’unica coppia di scrittori padre e figlio: si può imparare a scrivere dal proprio genitore?
«A parte l’eredità genetica, direi che si impara per osmosi, senza bisogno che il genitore vesta in modo formale i panni dell’insegnante. Quando ero bambino e mio padre era uno scrittore alle prime armi abitavamo in una casa piuttosto piccola e tra i miei primi ricordi c’è lui che scrive a macchina mentre mi addormento: se il battito dei tasti di una macchina per scrivere diventa una ninna nanna, quel bambino è predestinato a seguire le orme paterne!».
Come lavoravate insieme nei libri di cui è co-autore?
«Non è che ci dividessimo capitoli o mansioni: era un lavoro di squadra. Cominciavamo a parlare della trama e dei personaggi, poi prendevano appunti, io mi chiudevo a scrivere un po’ di pagine e gliele portavo, o il contrario. Una specie di ping pong narrativo».
Cosa ci vuole per un buon romanzo d’avventura?
«Personaggi affascinanti che catturano l’attenzione del lettore e gli fanno venire voglia di identificarsi. Sequenze d’azione emozionanti. Un cattivo veramente malvagio. Qualche sorpresa. E un lieto fine, almeno nei romanzi d’avventura di mio padre e nel mio».
È necessario avere avuto una vita avventurosa o serve soprattutto la fantasia?
«Avere avuto un po’ di avventure aiuta. La nostra società di esplorazioni marine ha fatto passare a mio padre e me un sacco di tempo in barca: ed è noto che il mare è una grande risorse di storie. Un romanzo d’avventura deve essere credibile: perciò devi conoscere bene quello di cui parli. Se lo hai vissuto almeno un po’ in prima persona sei avvantaggiato. Ma serve anche la fantasia».
I romanzi d’avventura hanno grande successo di pubblico, ma sono spesso snobbati dai critici: le dispiace?
«Mio padre non se la prendeva: si considerava un maestro dell’intrattenimento, senza ambizioni di scrivere grande letteratura. La sua gioia era permettere al lettore di fantasticare, di uscire dalla vita quotidiana e tuffarsi in una situazione completamente diversa. La penso così anch’io. Detto questo, intrattenere non significa necessariamente scrivere male. La qualità era importante per mio padre come per me».
A parte papà, quali sono i suoi scrittori preferiti?
«Alistair MacLean, un grande romanziere britannico di thriller e libri d’avventura. Hemingway, con Il vecchio e il mare. E naturalmente Melville con Moby Dick, con cui uno può imparare tutto quello che avrebbe voluto sapere sulla caccia alle balene!».
Continuerà a scrivere romanzi da solo?
«Ho già continuato, visto che il primo è andato bene. In America sta per uscire il mio secondo. E sto scrivendo il terzo, che si svolge in parte in Sicilia, per cui spero di venirlo a presentare anche in Italia».
Per finire, il suo parere su un’avventura sottomarina della realtà finita male: quella del Titan, il minisommergibile che doveva esplorare il relitto del Titanic, esploso nel giugno scorso con la morte dei cinque passeggeri.
«Un tragico incidente, che forse si poteva evitare. L’impressione è che la tecnologia del Titan non fosse all’altezza e che i proprietari avessero preso delle scorciatoie sul piano della sicurezza. Ciononostante, non è difficile capire che tanta gente senta il fascino del Titanic e sogni di andare a esplorarlo. Ma è un’impresa complicata e non priva di rischi. L’alternativa è leggere un romanzo d’avventura».
Il libro
Dirk Cussler, Il mare del diavolo (Longanesi, traduzione di Andrea Carlo Cappi, pagg. 384, euro 20)