La Stampa, 22 novembre 2023
Il ritorno di Auster
Seymour Baumgartner ha settant’anni ed è vedovo. L’ultima è la cosa più importante da sapere su di lui, anche se di notevoli ne ha fatte molte, come insegnare filosofia a Princeton e scrivere libri. Da quando sua moglie Anna è morta dieci anni prima, però, Seymour detto Sy attraversa le giornate sospinto dalla sensazione di avere un arto fantasma. Ha la convinzione che in mancanza di Anna la sua vera vita sia finita e ne sia cominciata una più piccola, con molto meno significato. Si dice che per un’aquila ferita nulla sia più doloroso del ricordo di com’era bello volare alto. Varrà anche per chi ha perso un amore vero? Forse è possibile accontentarsi di un volo rasoterra, ma non ci si può dimenticare di essere stati aquile.
Baumgartner è il nuovo romanzo di Paul Auster, uscito ieri per Einaudi nella traduzione di Cristiana Mennella. Ha 160 pagine, quindi potremmo dire che è un ritorno alla scrittura breve dopo il libro-mondo 4321 (che seguiva le quattro possibili vite di uno stesso personaggio). La verità però è che dentro c’è tutto Auster: i suoi temi ricorrenti e anche una domanda nuova e più cupa. Questo è infatti il libro che ha scritto mentre si curava per un cancro (annunciato all’inizio di quest’anno), e non solo. Arriva dopo la morte del figlio Daniel e della figlia di lui, una bambina di dieci mesi; ad aprile 2022 la piccola ha ingerito dell’eroina mentre il padre dormiva, e dieci giorni dopo Daniel è deceduto in seguito a un’overdose.
Alcuni critici inglesi e americani hanno detto che questo ritorno alla vita e allo scrivere è fiacco e non si sa bene dove voglia andare a parare. Ma sbagliano, perché pensano che da Auster ci si possa aspettare qualcosa di normale, quando tutta la sua opera ci dice il contrario, ovvero che ogni suo romanzo, corto o lungo che sia, è fatto di scale a chiocciola che si attorcigliano su se stesse come qualcosa di vivo e ribollente. Baumgartner non fa eccezione. Siamo di fronte al tentativo di uno dei più importanti scrittori americani contemporanei di prendere le misure di un lutto spaventoso. Auster ha scelto di farlo attraverso uno dei suoi topos principali: un uomo che gli somiglia, un intellettuale ossessivo che abita una casa specchio dei suoi fantasmi. Un uomo di cui Auster ci schiude la mente, il ragionamento, e di cui ci fa cogliere tutto il dolore, lo spaesamento, ma anche i piccoli rintocchi di quotidianità.
La storia comincia con Sy che sta scrivendo e decide di scendere al piano di sotto per andare a controllare una citazione da un volume; ne approfitterà per telefonare a sua sorella alle dieci in punto, così da non doversi poi sorbire la chiamata di lei che lo rimprovera perché doveva telefonarle e se n’è scordato. Una volta sceso, sente odore di bruciato e si rende conto che il pentolino lasciato tre ore prima sul fuoco è ancora lì che sfrigola: lo prende e si ustiona una mano. Poco dopo apre la porta all’addetto della compagnia elettrica, gli fa strada verso il contatore ma cade dalle scale e quasi si rompe un ginocchio. Il libro, insomma, si apre con un tipico caos austeriano, anzi: con una telefonata (o più di una). Qui i suoi lettori affezionati sapranno che il telefono è un suo ingranaggio fondamentale. E altrettanto lo è il ricordo: anche Baumgartner è un continuo rimbalzare dal presente alla memoria del passato, cioè a quando, in questo caso, Anna era viva e riempiva l’esistenza di Sy. Anna che traduceva (Auster è traduttore dal francese), Anna che aveva vissuto a Parigi (Auster ha vissuto a Parigi, e così anche Sy nella finzione), Anna che scriveva poesie molto belle senza mai aver avuto l’ambizione di pubblicarle. Anna che è morta mentre faceva il bagno nell’oceano, Anna che un giorno di dieci anni dopo gli telefona dall’aldilà e gli dice: Sy, devi smettere di pensarmi così tanto, altrimenti non potrò mai veramente morire in pace; cerca di amare di nuovo, dai una possibilità alle possibilità della vita. E Sy lo fa: imbastisce un amore con una vecchia amica, pescata a caso dalle tasche di cui sono fatti i giorni, e prova a dare un senso allo scorrere meschino del tempo senza sua moglie.
Ci dà però una spiegazione perfetta di che cosa sia la perdita di una persona non solo cara, ma unica: Sy quasi tutte le mattine si dimentica che Anna è morta perché lei si svegliava sempre prima di lui. Quindi quando lui scendeva dal letto lo faceva da solo, e spesso lei era già alla scrivania a battere sui tasti della macchina da scrivere (aveva provato a passare al computer, ma non le piaceva). Preparare il caffè, versarlo in due tazze, per Sy è la normalità anche dopo averla persa: la sua mente rifugge la realtà, legge il giornale e gli viene da ridere e allora si alza da tavola per andare da Anna nello studio a riferirle una notizia, a leggerle un trafiletto, poi si ricorda.
Chandra Livia Candiani dice che nel lutto il momento più difficile è il mattino, perché di notte dimentichiamo e la mattina ci costringe a ricordare. È così anche per Sy Baumgartner, solo che lui alla ferocia della perdita non vuole arrendersi: preferisce il formicolio dei fantasmi, e se lo tiene stretto.a