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 2023  novembre 22 Mercoledì calendario

Un racconto di Hemingway

Le colline che attraversano l’Ebro erano lunghe e bianche. Da questa parte non vi erano né alberi né ombra, e la stazione sorgeva tra due linee di rotaie, al sole. La calda ombra dell’edificio lambiva un lato della stazione e la porta aperta del bar era coperta da una tenda fatta di fili di grani di bambù, per tenere fuori le mosche. L’americano e la ragazza che era con lui sedevano a un tavolino in ombra, fuori dalla stazione. Faceva molto caldo e mancavano quaranta minuti all’arrivo del diretto da Barcellona. Si fermava due minuti in quella stazione di scambio e poi proseguiva per Madrid.
«Cosa vogliamo bere?», chiese la ragazza. S’era tolta il cappello e l’aveva posato sul tavolino.
«Fa piuttosto caldo», disse l’uomo.
«Possiamo prendere una birra».
«Dos cervezas», disse l’uomo attraverso la tenda.
«Grandi?», chiese una donna dalla porta.
«Sì. Due grandi».
La donna portò due boccali di birra e due tondini di feltro. Posò i tondini e i boccali sul tavolo e guardò l’uomo e la ragazza. La ragazza guardava altrove, verso la linea delle colline che biancheggiavano al sole, men¬tre la campagna tutt’attorno era bruna e arida.
«Sembrano elefanti bianchi», disse la ragazza.
«Non ne ho mai visti, di elefanti bianchi». L’uomo bevve la sua birra.
«Infatti, non avresti potuto».
«Avrei potuto, invece», disse l’uomo. «Solo perché sei tu a dirlo, non significa mica che non avrei potuto vederli».
La ragazza guardava i grani della tenda.
«C’è dipinto qualcosa, sulla tenda», disse. «Che vuol dire?»
«Anìs del Toro. È una bevanda».
«Perché non la sentiamo?»
L’uomo gridò «Scusate» attraverso la tenda. La don¬na uscì dal bar.
«Quattro reales».
«Vorremmo 2 Anìs del toro».
«Con acqua?».
«Lo vuoi con l’acqua?», chiese la donna.
«Non so», disse la ragazza. «È buona con l’acqua?».
«È gradevole».
«Allora li volete con l’acqua?», chiese la donna.
«Sì, con l’acqua».
«Sa di liquirizia», disse la ragazza e posò il bicchiere.
«Sa tutto di liquirizia».
«Sì», disse la ragazza. «Ha tutto questo sapore. Tutte le cose, in particolare, per le quali si è atteso a lungo, come l’assenzio».
«Ah, ma smettila».
«Sei stato tu a cominciare», disse la ragazza. «Io mi stavo solo divertendo. Me la spassavo».
«Be’, vediamo di spassarcela, allora».
«D’accordo. Ci stavo provando. Dicevo che quei monti sembrano elefanti bianchi. Non ti sembra un’os¬servazione fantasiosa?»
«Certo che lo è».
«Volevo sentire questo liquore che non conosco. Per¬ché è questo che facciamo, no? Guardare quello che ci sta attorno e bere delle cose nuove».
«Credo di sì».
La ragazza guardò verso le colline. «Sono incantevoli», disse. «In realtà, non assomi¬gliano a elefanti bianchi. Mi riferivo solo al colore della loro pelle tra gli alberi».
«Ne prendiamo un altro bicchiere?».
«Benissimo».
Il vento caldo scuoteva la tenda fino a farle lambire il tavolino. «La birra è buona e fresca», disse l’uomo.
«È squisita», disse la ragazza.
«In fondo, è un’operazione semplicissima, Jig», disse l’uomo. «Si può dire che non è neppure un’operazione».
La ragazza guardava per terra, tra le gambe del tavolo.
«Lo so che a te non importerebbe, Jig. Sul serio, non è niente. Si tratta solo di fare entrare un po’ di aria». La ragazza taceva.
«Verrò con te, e starò con te tutto il tempo. Devono solo introdurre dell’aria e dopo sarà tutto perfettamente naturale».
«E poi cosa faremo?»
«E poi andrà benissimo. Esattamente come prima».
«Cosa te lo fa pensare?».
«Perché questa è l’unica cosa che ci crea problemi. È l’unica cosa che ci rende infelici».
La ragazza guardava i grani della tenda, allungò la mano e ne afferrò due file.
«E tu pensi che andrà tutto bene e che poi saremo felici?».
«Sono sicuro che sarà così. Non devi aver paura. So di tanti che l’han fatto».
«Anch’io», disse la ragazza. «Ed eran tutti così felici, dopo».
«Bene», disse l’uomo, «ma se tu non vuoi, non lo devi fare. Non vorrei mai farti fare una cosa che non vuoi fare. Ma ti posso assicurare che è una cosa semplicissima».
«E tu lo vuoi davvero?».
«Credo che sia la cosa migliore da fare. Ma non voglio che tu lo faccia, se non lo desideri veramente».
«E se io lo faccio, tu sarai felice e tutto tornerà come prima e tu mi amerai?».
«Ma io ti amo anche adesso. Lo sai che ti amo».
«Lo so. Ma se lo faccio, quando poi tutto sarà di nuovo bello, se dico che le colline sembrano elefanti bianchi, lo apprezzerai?».
«Lo apprezzerò moltissimo. Ma anche adesso lo apprezzo. È solo che non riesco a pensarci. Lo sai come sono, quando ho dei pensieri».
«Se farò quella cosa, non sarai più preoccupato?».
«Io non sono preoccupato per quella cosa. È una cosa semplicissima».
«Allora lo farò. Perché non m’importa niente di me».
«Che vuoi dire?».
«Che non m’importa di me».
«Be’, importa a me di te».
«Oh, sì. Ma a me non importa più niente. Lo farò, così si metterà tutto a posto».
«Non voglio che tu faccia niente, se non te la senti».
La ragazza s’alzò e camminò fino in fondo alla stazione. Dall’altra parte vi erano dei campi di grano e degli alberi lungo le rive dell’Ebro. Molto lontano, di là dal fiume, vi erano i monti. L’ombra d’una nuvola si muoveva sul campo di grano e lei vide il fiume attraverso gli alberi.
«E noi potremo avere tutto questo», disse lei. «E potremmo avere qualsiasi cosa e ogni giorno ce lo rendiamo impossibile».
«Che cosa dici?».
«Che potremo avere tutto».
«Noi possiamo avere tutto».
«No, non possiamo».
«Potremo avere il mondo intero».
«Potremo andare ovunque».
«No, non possiamo. Non è più nelle nostre mani».
«Sì che lo è».
«No, che non lo è. Una volta che te l’hanno tolto, non puoi più riaverlo».
«Ancora non ce l’hanno tolto».
«Staremo a vedere».
«Torniamo all’ombra», disse lui. «Non devi sentirti così».
«Non devo sentirmi in nessun modo», disse la ragazza. «Le conosco, le cose».
«Non voglio che tu faccia niente che non ti senti di fare...».
«Né che non sia un bene per me», disse lei. «Lo so. Prendiamo un’altra birra?».
«Sì, prendiamola. Ma tu devi capire che...».
«Capisco, capisco», disse la ragazza. «Possiamo non parlarne più?».
Tornarono a sedere al tavolino e la ragazza guardò le colline, al di là dell’arida vallata; mentre l’uomo guardava lei e il tavolino.
«Devi capire», riprese l’uomo, «che io non voglio che tu lo faccia se non lo desideri. Io sono dispostissimo ad andarci fino in fondo solo se significa qualcosa per te».
«Per te significa qualcosa? Potremmo andare avanti così».
«Certo che significa qualcosa per me. Ma io voglio solo te. Non voglio nessun’altra all’infuori di te. E so che è una cosa semplicissima».
«Già, tu sai che è una cosa semplicissima».
«È giusto che tu dica così, ma io lo so per certo».
«Vuoi fare qualcosa per me adesso?».
«Qualunque cosa, per te».
«Allora vuoi per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, per favore, smetterla di parlare?».
L’uomo non disse niente ma guardò le valigie vicino al muro della stazione. Sulle valigie erano appiccicate tutte le etichette degli alberghi in cui avevano trascorso la notte.
«Non voglio che tu lo faccia», disse l’uomo. «Non me ne importa più».
«Ora grido», disse la ragazza.
La donna venne fuori dalla tenda con due bicchieri di birra e li posò sui due tondini di feltro bagnati. «Il treno arriva tra cinque minuti», disse.
«Che ha detto?», chiese la ragazza.
«Che il treno arriva tra cinque minuti». La ragazza fece un sorriso radioso alla donna, per ringraziarla.
«È meglio che io vada a portare i bagagli sull’altro lato della stazione», disse l’uomo. La ragazza gli sorrise. «Va bene. Poi torna qui, che finiamo la birra». L’uomo sollevò le pesanti valigie e, aggirando la stazione, le portò all’altro binario. Guardava lungo le rotaie, ma non vide nessun treno in arrivo. Tornando indietro, attraversò il bar dove la gente che aspettava il treno stava bevendo. Bevve in piedi un Anìs e guardò la gente. Tutti aspettavano tranquillamente il treno. Uscì attraverso la tenda. Lei era seduta al tavolino e gli sorrise. «Ti senti meglio?», chiese lui. «Mi sento benissimo», rispose lei. «Non ho nessun problema. Sto benissimo». —