La Stampa, 22 novembre 2023
Jfk e la nascita del complottismo
L’assassinio del presidente John F. Kennedy, il 22 novembre 1963, resta l’archetipo della cospirazione americana, fonte di incessante scetticismo sia per la sinistra sia per la destra circa la possibilità di pervenire alla verità ufficiale. A distanza di 60 anni, è il momento di ammettere che uno dei motivi principali di questi sospetti è lo stesso Kennedy. Diversamente dall’immagine che lui e i suoi alleati si dettero da fare per promuovere quando era vivo, JFK era un uomo pieno di segreti e, quando morì, era coinvolto in molte cospirazioni, piccole e grandi. Nessuna fu responsabile direttamente della sua morte, ma ciascuna potrebbe implicare un insabbiamento finalizzato a proteggerne l’eredità.Questi insabbiamenti hanno avuto un effetto negativo molto profondo sulla fiducia nel governo dell’opinione pubblica americana, e così pure nella sua capacità di indagare a fondo quello che successe davvero a Dallas nel 1963. Perché si parla di segreti? Uomo di profonda intelligenza e combattività, Kennedy credeva che per avere successo in politica dovesse nascondere vari aspetti della sua personalità – le sue infermità, il fatto di essere un donnaiolo, i suoi istinti politici pragmatici. Per tenere unita una coalizione democratica sfilacciata che includeva sia suprematisti bianchi sia progressisti New Deal, dovette sapersi giostrare. Poco dopo aver conquistato la candidatura alla presidenza nel 1960, fece ricorso a canali secondari segreti per comunicare ai democratici del Sud di aver trovato troppo radicale la piattaforma del partito per i diritti civili. Una volta eletto, mandò suo fratello Robert F. Kennedy, procuratore generale, a intavolare trattative segrete con l’Unione Sovietica per la messa al bando dei test nucleari, senza comunicarlo al suo consigliere per la sicurezza nazionale o al suo segretario di Stato.Come il suo predecessore Dwight Eisenhower, JFK credeva nelle operazioni segrete come alternative alla guerra. Anche dopo il tentativo disastrosamente fallito della Cia di rovesciare Fidel Castro con l’invasione della Baia dei Porci, Kennedy continuò ad autorizzare operazioni segrete della Cia in Germania, Francia, Italia, Repubblica Domenicana, Cile, Guatemala, Perù, Guyana britannica, Haiti e altri Paesi tuttora avvolti dal segreto.Inoltre, la Casa Bianca di Kennedy operò in modo che il presidente potesse portare avanti le sue relazioni amorose nella sua residenza e in viaggio. Kennedy fu determinato a tenere nascosta ai suoi alleati la portata di questi suoi segreti, soprattutto agli intellettuali liberali di cui cercava l’approvazione. Si fidava solo del fratello RFK, che era a conoscenza della maggior parte di essi; ad esempio, sapeva che il presidente appoggiava i golpe militari e interveniva nelle elezioni in America Latina, andando contro la politica estera che dichiarava. Quando nel 1963 gli fu chiesto se la Cia avrebbe potuto assassinare un leader straniero senza autorizzazione, Robert Kennedy rispose: «No, non l’avrebbero fatto senza dirmelo». Dopo alcuni decenni, McGeorge Bundy, il consigliere per la sicurezza nazionale di Kennedy, mi disse che tra i due fratelli ci furono eventi di politica estera “non condivisi” che nemmeno lui si sarebbe aspettato di sapere.Dopo Dallas, Robert Kennedy portò avanti lo sforzo per preservare i segreti del fratello morto. Organizzò contratti editoriali molto redditizi per parecchi addetti ai lavori dell’Amministrazione, con l’implicita intesa che lui avrebbe sempre avuto l’ultima parola prima della pubblicazione di qualsiasi manoscritto. Robert Kennedy smantellò il sistema di intercettazioni segrete di JFK, ripose le registrazioni in un caveau e lanciò un programma confidenziale di trascrizione per determinare cosa potesse essere condiviso con gli storici e l’opinione pubblica, se mai esisteva.Il primo frutto di questi sforzi fu il memoir di RFK I tredici giorni sulla Crisi cubana dei missili, che fu pubblicato dopo il suo assassinio nel 1968. Robert Kennedy non visse abbastanza da constatare di persona la più grande minaccia al patrimonio di segreti del fratello. Nel 1975, dopo il duplice shock del Watergate e della guerra del Vietnam, il Congresso istituì la Commissione Church per indagare sulle agenzie d’intelligence degli Usa. Per gli ex luogotenenti dei due Kennedy trasformati in martiri, era importante che i fratelli non fossero associati con le rivelazioni a cascata su come la Cia avesse complottato l’assassinio di leader stranieri. Secondo le registrazioni che ho ottenuto sulla base del Freedom of Information Act, alcuni membri dello staff del senatore Edward M. Kennedy, all’epoca custode della fiamma, rimossero dal caveau controllato dalla famiglia le registrazioni di JFK proprio quando gli inquirenti della Commissione Church stavano per iniziare a indagare. Quando il governo le acquisì, le registrazioni del giugno 1963, quando JFK aveva intensificato le operazioni segrete contro Castro, mancavano. La Commissione Church giunse alla conclusione di non aver trovato le prove dell’autorizzazione da parte di Kennedy di alcun complotto per assassinare leader stranieri. Durante la Guerra Fredda, la negazione fu tutt’uno con il metodo di conservazione delle registrazioni del presidente, quindi fu difficile dimostrare che avesse autorizzato operazioni segrete. La segretezza, però, privò gli americani della possibilità di comprendere in che modo fosse stata guidata la Casa Bianca sotto Kennedy, e il mito di Camelot – l’idea che a Dallas fosse morto un leader nobile e senza macchia – servì ad acuire la sensazione dell’opinione pubblica secondo cui la disgrazia era stata voluta da forze segrete malvagie, che alcuni chiamarono deep state. Un sondaggio Gallup dimostra che il 65% degli americani crede che dietro l’assassinio di JFK ci fu una cospirazione. Negli ultimi 10 anni, la percentuale di opinione pubblica che crede che fosse coinvolta la Cia è salita dal 7 al 16% – forse in seguito ai tanti attacchi del presidente Donald Trump all’agenzia d’intelligence e a deep state. Anche Robert F. Kennedy Jr., figlio di RFK, ha contribuito alle teorie del complotto, dicendo quest’anno a chi lo intervistava che «vi sono prove schiaccianti che la Cia fu coinvolta nell’assassinio di JFK».Oggi abbiamo un quadro un po’ più complesso della vita privata di Kennedy e di quello che pensava dei diritti civili, ma la sua vicenda continua a evocare una sensazione di innocenza perduta. Molte persone sembrano credere che, se fosse vissuto più a lungo, gli Stati Uniti si sarebbero risparmiati le sofferenze del Vietnam e del Watergate. In verità, documenti presidenziali e della Cia declassificati negli ultimi anni – in seguito alle pressioni esercitate per far pubblicare le cosiddette “registrazioni dell’assassinio” – confermano che, proprio come altri presidenti durante la Guerra Fredda, JFK non esitò a ricorrere ai raggiri, allo spionaggio e alle operazioni segrete. A tali cospirazioni del presidente si dovettero molte questioni irrisolte scoperte dagli inquirenti negli anni Settanta, ma oggi sembra che soltanto gli storici investighino tra i detriti degli antichi muri della segretezza. —