il Fatto Quotidiano, 22 novembre 2023
L’origine dei modi di dire
Sapere dove andare è come sapere cosa dire, spiega Ivano Fossati in uno dei suoi molti capolavori. Se mettiamo nel frullatore questa frase ci troviamo davanti un libro che spiega come, per sapere dove andare, bisogna sapere cosa si dice: è Con parole tue di Marco Ballarè, comunicatore piemontese che i più conoscono per la seguitissima pagina Instagram (Marco dixit) che divulga curiosità sull’origine delle parole. In altre parole ci spiega perché parliamo come parliamo: questo pamphlet, sugli scaffali per Gribaudo, è una miniera di spiegazioni sull’italiano (e non solo) e dunque su di noi come comunità di parlanti una lingua che si sta progressivamente svuotando di lemmi (per lo più in favore d’ingannevoli anglicismi). “Per avere una buona lingua serve un buon Paese”, diceva Luigi Settembrini – patriota e letterato napoletano – ma vale anche il contrario e perciò questo testo è più che mai necessario: abbiamo scelto tre capitoli che parlano, è il caso di dirlo, all’Italia di oggi.
Lavoro. Una Repubblica fondata sul lavoretto: parafrasiamo così la Costituzione tradita da una legislazione che da decenni ha tolto al lavoro centralità e dignità. Ma, spiega l’autore, si può anche – e con ottime ragioni – dire “Una Repubblica fondata sullo stage”. Istituto che miete molte vittime tra i neolaureati e pure tra noi comuni parlanti: si dice “stèig” all’inglese o “stàj” alla francese? Buona la seconda: il termine deriva “dall’antico francese estage, soggiorno, che a sua volta viene dal latino medievale stagium, dimora, da ricondursi al verbo stāre”. La locuzione Stagium facere, nell’ambiente feudale, indicava la permanenza temporanea di un vassallo presso la dimora del suo signore per svolge lavori (ricompensati). Nel francese del XVI lo stage era il “soggiorno che un nuovo canonico deve fare per un tempo minimo nel luogo della sua chiesa per poter godere degli onori e rendite della sua prebenda”. Quel che si è perso per strada è la retribuzione, visto che gli stage forniscono alle aziende manodopera non retribuita. E se siete allergici ai forestierismi, sappiate che il tirocinio ha origini militari: nell’antica Roma i tirones erano i soldati appena reclutati e bisognosi di formazione.
Soldi. O anche mancanza di soldi: perché diciamo “sono al verde”? Non ha nulla a che vedere con il verde dei dollari di Zio Paperone. L’origine più accreditata dell’espressione riporta al mondo delle aste: “Quando venivano battuti i beni all’incanto, il banditore accendeva una piccola candela che al fondo era tinta di verde. Quando la candela si esauriva, si diceva che era arrivata al verde: non era più possibile fare offerte”. “Essere in bolletta” discende dai tempi in cui veniva pubblicamente esposto il registro dei falliti, quindi chi si ritrovava in questa lista nera non aveva il becco di un quattrino. Altra espressione curiosa: che c’entrano i becchi con i quattrini? I quattrini erano monete di rame medievali (del valore di quattro soldi, da cui il nome). E i becchi potrebbero “riferirsi alla parte esterna della moneta, quella dentellata: in questo caso l’espressione vorrebbe dire non possedere nemmeno il bordo di una moneta; ma potrebbe anche riferirsi ai quattrini che avevano impresso, su una delle due facce, il rostro di una nave che poteva ricordare il becco di un rapace; oppure ancora, con molta probabilità, quel becco potrebbe semplicemente avere un valore rafforzativo”.
Carne avariata. Nell’infodemia che caratterizza la nostra epoca di vite perennemente connesse, le notizie rivestono una grande importanza: una volta gli ingenui dicevano “l’hanno detto al telegiornale”, oggi una qualunque notizia può contenere una fake news. Ovvero una bufala. Ma perché indichiamo una notizia falsa con il nome di una razza bovina? Alcuni supportano la tesi culinaria, “citando qualche disonesto ristoratore romano che serviva carne di bufala al posto della più pregiata vitella. Altri ancora rimandano all’origine popolare: le bufalate o bufolate erano corse di bufale che si tenevano nel Seicento a Firenze e a Siena. Tuttavia, l’origine più probabile della parola bufala (nel senso di notizia priva di fondamento) è la più semplice: quella che rimanda a un’altra espressione molto comune in italiano, ossia prendere per il naso. Il riferimento è ai bovini che, con l’anello al naso, si lasciano docilmente trascinare senza opporre resistenza. Il popolo bue, per l’appunto.