la Repubblica, 22 novembre 2023
La democrazia e i bambini
Non sapremo mai quanti bambini sono morti nella striscia di Gaza, considero Hamas (opinione personale) una fonte inattendibile. Unicef, che è fonte terza, parla comunque di migliaia di bambini morti.
Non mi interessa la discussione sulla corresponsabilità di chi si fa schermo della popolazione civile, e degli ospedali, per organizzare la guerra: a Gaza gli spazi sono così compressi che non è facile capire quanto la promiscuità tra “militari” e “civili” sia frutto di calcolo, quanto di costrizione.
Se si ammassano in una gabbia due milioni e mezzo di persone, di quelle persone sarà sempre più difficile distinguere il ruolo e le intenzioni.
Ciò che resta, al netto delle opinioni, sono i bambini morti. Tanti quanti bastano ad approfondire fino all’abisso il solco dell’odio eterno tra i due popoli.
Ben oltre il lutto del momento, qui si parla della definitiva istituzionalizzazione di una guerra etnica che non potrà mai più avere fine. Etnico fu l’assalto ai kibbutz del 7 ottobre, morte agli ebrei, ugualmente etnica, al di là di ogni proclama, la risposta di Israele: morte ai palestinesi.
Non è immaginabile che Netanyahu lo capisca: le destre nazionaliste sono, prima di tutto, stupide. Ma chi ancora crede nella distinzione, anche etica, tra “democrazie” e non, trema per la paura, e per lo scoramento, di fronte a una democrazia che agisce con la stessa bruta ottusità dei suoi nemici, ingigantita dalla prevalenza militare e tecnologica.
Come Bush e Blair dopo l’undici settembre, Netanyahu è l’incarnazione dell’incapacità delle democrazie di distinguersi, di cambiare copione, di battere l’avversario prima di tutto sul terreno dei princìpi. Noi tifosi della democrazia siamo in lutto. A che vale, sentirsi “migliori”, se peggiore è il risultato?