Corriere della Sera, 21 novembre 2023
Intervista a Gianluca Gazzoli
L’ultimo ad accomodarsi nel seminterrato milanese più popolare del web è stato il cantante James Blunt. «Anche i prossimi ospiti sono una bomba, ma niente spoiler», promette Gianluca Gazzoli, 35enne conduttore di Radio Deejay, presentatore, videomaker e da un anno podcaster di grido. Nel suo basement («Bsmt»), uno studio allestito come un museo di cultura street-pop ma il cui indirizzo è segreto, gli invitati ammirano le collezioni del padrone di casa (fumetti, pupazzi, riviste, sneakers, palloni, caschi), a volte offrono i loro doni («Questa maglia me l’ha portata Berrettini dagli Us Open, devo ancora trovarle un posto adatto») e poi si concedono alle domande del «Gazzo»: il videopodcast autoprodotto «Passa dal Basement», due puntate a settimana, un ospite alla volta, oggi è un cult nel suo genere. Da qui sono passati Marracash e Federica Pellegrini, David Lachapelle, Valentino Rossi e tanti altri.
Sembra che i vip facciano a gara per venire da lei a parlare di sé. Perché?
«È il frutto della credibilità guadagnata comportandomi bene con chi ho incontrato negli anni, e di un format che funziona. I primi ospiti sono stati amici o conoscenti, poi pian piano sono arrivati personaggi che sembravano impossibili da raggiungere. Avevo proposto questo format a grossi editori già 3 anni fa, non l’ha voluto nessuno. Adesso faccio milioni di views e stream».
Fuorionda notevoli?
«Parecchi. Quando ho fatto vedere le Air Jordan che tengo in una teca a Ben Affleck, collegato dagli Usa, si è ribaltato dalla sedia per l’emozione. Valentino Rossi voleva fermarsi a mangiare una pizza con noi dopo la puntata. E Samantha Cristoforetti, siccome eravamo andati un po’ lunghi, mi ha chiesto se poteva fare una call di lavoro: noi siamo rimasti di là a cazzeggiare mentre lei, nel nostro ufficio, probabilmente salvava il pianeta o parlava con la Nasa».
Chi sono i suoi follower?
«Trasversali, tanti giovanissimi. Hanno voglia di vedere contenuti di qualità, non è vero che vogliono solo i balletti. Io cerco di ispirare le persone raccontando le storie di altre persone, anche attraverso la mia. Credo mi vedano come una specie di amico che parla di passioni che abbiamo in comune: i viaggi, l’Nba, i concerti...».
Che tipo era da ragazzo?
«Uno sfigatone di Cologno Monzese che voleva essere un tamarro, solo per far parte di qualcosa. Però mi facevo voler bene. A scuola, Istituto tecnico informatico, ero lineare ma molto mediocre. Non ero mai l’esempio. Non mi interessava abbastanza. Dopo ho capito che è tutta questione di stimoli. Ero incredibilmente pigro e lo sono ancora. Ho solo trovato qualcosa che mi fa smuovere».
Soltanto due anni fa ha deciso di raccontare in un libro («Scosse», Mondadori, 2021) che da quando aveva 15 anni vive con un defibrillatore impiantato nel petto.
«La prima volta che stetti male fu durante una lezione di educazione fisica. Feci un sacco di visite ma non veniva fuori niente. Giocavo a basket a livello agonistico, e un medico sportivo mi mise un holter durante una partita. Si scoprì che il mio cuore si fermava e poi ricominciava a battere. Capitava quando si univano due componenti: lo sport e uno stress emotivo. Era un’aritmia ventricolare maligna. L’unica soluzione nel mio caso era il defibrillatore. Per anni l’ho vissuta molto male, poi ho spostato il mio focus altrove».
Cioè sul lavoro: quando ha capito chi voleva diventare ?
«Da bambino il mio sogno era fare il presentatore. O meglio: il veejay di Mtv. Poi quando andavo a scuola, un’ora di strada tutte le mattine, ascoltavo sempre Radio Deejay. Volevo essere uno di loro. Alle superiori facevo teatro, mi piaceva stare sul palco. E poi avevo il pallino dell’animatore nei villaggi: lo feci per 3 mesi in Sicilia, l’anno che non mi ammisero alla maturità. Quell’esperienza mi ha cambiato la vita».
Dopo si è diplomato e per anni ha lavorato in un’agenzia di viaggi in un centro commerciale a Vimodrone, mentre cercava di diventare un conduttore. Che vita era?
«Un bel casino. Lavoravo 7 giorni su 7, e avevo iniziato a raccontare i miei viaggi su YouTube ogni tanto. Poi entrai con un amico in una webradio di ragazzi, aveva una vetrina sulla strada in corso di Porta Ticinese a Milano: preparavo il programma come fosse la notte degli Oscar, anche se non lo ascoltava nessuno. Quell’approccio è sempre stato il mio segreto. Poi è arrivata Radio Number One: mi alzavo alle 4 tutti i giorni per andare a Bergamo a fare il mio programma alle 6, poi attaccavo in agenzia e di pomeriggio mi dedicavo a YouTube. Ma io volevo arrivare a Radio Deejay, ero fissato. E dopo Radio Due, un po’ di lavori tv in Rai e mail a chiunque, quasi sempre senza risposta, nel 2018 sono arrivato in via Massena. Nonostante un primo incontro con Linus davvero assurdo».
Prego, racconti.
«Ero in visita agli studi della radio, invitato da Matteo Curti. Entra Linus e io penso: “È la mia occasione”. Quella mattina mi ero svegliato alle 4, ero andato a Bergamo, stavo facendo tre lavori insieme... Si avvicina, mi stringe la mano, e Matteo mi presenta: “Lui è Gianluca, fa video su YouTube...”. E Linus: “Beati voi youtuber che non fate un c...!”, e se ne va. Io, morto. Ma mi ha dato ancora più carica».
Oggi che rapporto avete?
«È sempre stato di grande ispirazione per me. Lui ha un modo particolare per insegnarti delle cose. Ci tiene ad abbassarmi la cresta, anche se penso di avere i piedi strapiantati per terra».
Il suo motto è: «Work hard, always smile». Il discorso motivazionale non è un po’ superato?
«Parlo spesso di ossessione, un concetto che ora viene anche criticato, però non è una cosa che scegli. Di tutte le eccellenze che sono passate da qui, non ce n’è una che non abbia avuto questo atteggiamento. Non è vero che le cose succedono per caso».
Con sua moglie Sara Bolla avete due bambine di 5 e 1 anno. Lo trova il tempo per loro?
«Sara mi ha sposato quand’ero un mezzo spiantato e mi ha sempre sostenuto. Con questo lavoro sto sulle montagne russe: loro mi riportano alla realtà, ed è fondamentale. Ultimamente mi sento schiacciato da una serie di responsabilità, di pensieri, di impegni, ora ho anche delle persone che lavorano per me, qui siamo in 7... Ogni tanto mi sento un po’ mancare l’aria. Devo imparare a gestire meglio i miei tempi».
Da ottobre conduce l’«AnteFactor», l’appuntamento che precede ogni live di X Factor (il giovedì su Sky Uno). L’obiettivo è il palco principale?
«Quel che faccio a X Factor è molto in linea con me, sono contento. Non ho idea di cosa succederà, di cosa farà Francesca Michielin: io farò di tutto per mostrare cosa penso di saper fare e per far succedere cose belle».
Sogna Sanremo?
«In questo settore, come in altri, in Italia a 35 anni sei considerato ancora un bambino. Se vuoi un’occasione te la devi costruire, non puoi aspettarla. “Passa dal Basement” ha un impatto enorme, anche se per adesso non ci ho guadagnato niente: zero sponsor, per volontà mia, e tutto reinvestito. Oggi la mia priorità è questa roba qui, che è il futuro. Finché altri faranno finta che non sia così, beh, meglio per me».