La Stampa, 21 novembre 2023
Intervista a Isabella Ragonese
La voglia di tornare a teatro ha vinto su tutto. Specie perché la proposta le è arrivata da Roberto Andò, che l’aveva già diretta nella miniserie Letizia Battaglia – Solo per passione. È stato lui a proporre a Isabella Ragonese un personaggio leggendario quanto attuale come Clitennestra (dal 28 novembre al Carignano di Torino). L’approccio al personaggio sa di rivoluzionario: «L’abbiamo totalmente ribaltata – racconta l’attrice siciliana – per dire chiaramente al pubblico che se le leggi vengono scritte dagli uomini una donna può decidere di non riconoscervisi».
Un messaggio attualissimo.
«La nostra Clitennestra è un’eroina di grande modernità. Non capisce perché “in nome degli dei” debba sacrificare la figlia Ifigenia, ed è una donna che ha perso il potere. Ha poco a sua disposizione, non l’esercito come gli uomini, ma le sue armi di intelligenza. Lamenta l’insensatezza di certe regole, l’assurdità della guerra».
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«Il testo resta ricco e complesso, ma la storia viene raccontata dalla prospettiva inedita di una donna che non è più vista come madre degenere o Lady Macbeth machiavellica, ma come una donna ingannata e umiliata da Agamennone».
Le agiografie, a teatro come al cinema, non le sono mai piaciute.
«Le ombre rendono pluridimensionali i personaggi. È importante poi raccontare le donne non come le sante del focolare: possono essere cattive, vendicative, avere pulsioni negative».
Di sicuro oggi le donne hanno più spazio, non trova?
«Abbiamo preso la parola, iniziamo a raccontare dal nostro punto di vista, far sentire la nostra voce e le nostre esigenze. Da attrice mi sono sempre spesa per dare voce alle donne, da Tutta la vita davanti al mio documentario Rosa. Il canto delle sirene su Rosa Balistreri. Ho sempre scelto personaggi tridimensionali che avessero un loro spazio al di là degli uomini e degli stereotipi. È un lavoro lento che sta dando adesso i suoi frutti, ma bisogna stare tutti e tutte attente a tenere viva l’attenzione sulle donne. Mai abbassare la guardia: c’è un femminicidio praticamente ogni giorno, sintomo di qualcosa che è duro a morire».
Molte attrici si reinventano registe, come lei, Cortellesi, Ramazzotti, Trinca, Gerini… «Il passaggio forse è naturale, come lo è per i nostri colleghi Lo Cascio, Mastandrea, Battiston, Gassman, Marcorè. Certamente oggi c’è più attenzione per lo sguardo innovativo delle donne, la prospettiva femminile è una grande possibilità narrativa essendo un territorio vergine, inesplorato e carico di vitalità. Sono contenta che le colleghe si siano sentite sicure di raccontare le loro storie, con risultati sorprendenti come quelli di Paola Cortellesi che ha riportato le persone al cinema. Quanto a me, mi piacerebbe tornare a firmare regie teatrali, al cinema amo ancora troppo fare l’attrice».
Osa volentieri ruoli inediti, come la poliziotta violenta della serie Sky Il re o l’agente sotto copertura del film Come pecore in mezzo ai lupi.
«Le piattaforme hanno portato più interesse verso il crime con nuovi spunti di personaggi femminili inediti in Italia. Per entrambi i ruoli ho lavorato sull’autorevolezza, sul farmi rispettare. Ho ripensato quando a 20 anni cercavo di fare la voce grossa per essere ascoltata. Tutte noi donne ci siamo sentite trattate da ragazzine da questo sistema paternalista, finendo per ottenere rispetto a volte “mascolinizzandoci”, tirando fuori lati fisici, corazzati, come certi animali che tirano fuori gli aculei per proteggersi. Del resto per tanto è stato difficile farci sentire, tuttora lo è per alcune donne».
Che cosa trova a teatro che al cinema non c’è?
«Il pubblico, che ogni sera fa il tutto esaurito. La sala dovrebbe tornare ad essere luogo di incontro e condivisione di emozioni come il teatro, in cui si ha la possibilità di assistere a un evento unico. E poi il teatro è nato con l’uomo, non penso avrà mai fine. Non lo avrà di certo nella mia vita: il palcoscenico è dove ho iniziato, la mia città d’origine a cui mi è indispensabile tornare. Trovo sano alternarlo al cinema».
Ha iniziato con un cinema civile, politico. Esiste ancora in Italia?
«Resiste, certo. Ogni scelta è di per sé politica: dare voce alle persone è fare cinema civile e questo può accadere anche con una commedia. Il cinema italiano ha da sempre la vocazione di parlare della realtà, è una nostra grande forza e una tradizione da proseguire».
Se le chiedessi di indicarmi il nome di una sua “maestra”?
«Letizia Battaglia. Non le sarebbe piaciuto essere chiamata “maestra”, perché non pontificava, era azione pura: la sua vita era la dimostrazione vivente dei suoi ideali».
Come definirebbe l’incontro con lei?
«Unico. Arrivato nel momento giusto, in cui ero matura per capire certe cose. Lei per me è Palermo, con tutte le sue contraddizioni, l’amore e l’odio per questa città. È un simbolo, ricordo pomeriggi meravigliosi con lei che tengo per me».
Almeno un ricordo lo condivida con noi.
«Poco prima che morisse l’ho sentita, ha detto: “Adesso io e te siamo vive per sempre”. E io lo sento, c’è stata un’identificazione fortissima attraverso la miniserie. Da allora capita spesso che persone vengano a darmi regali per Letizia dicendomi: “Li do a te, come fossi lei”. Ogni tanto ci parlo ancora a distanza, è una persona rara che resterà, non solo dentro di me». —