Corriere della Sera, 20 novembre 2023
20 anni di «Affari tuoi»
Anni fa, nel programma domenicale di calcio di una emittente locale, il conduttore diede la parola a una ragazza, costretta nel ruolo di avvenente valletta, perché desse notizia dei risultati della giornata agonistica. La malcapitata invece di leggere uno a uno disse undici, e invece di dire uno a zero disse dieci. Non aveva visto il trattino, da sempre importante, come per il marxismo-leninismo o il centro-sinistra. In effetti quei numeri, rispettati nella loro separata identità, potevano essere degli uno, se invece sommati diventavano un due, se accostati si trasformavano, per l’appunto, in un dieci.
I numeri, nella nostra vita, sono importanti. Per gli scienziati, i ricercatori, i programmatori, sono un meraviglioso baule di possibilità. Con i numeri siamo arrivati nello Spazio, si è costruita l’atomica, con i numeri è nata la rete digitale che avvolge il mondo, di essi si alimentano gli algoritmi, che guidano oggi i nostri comportamenti.
Proprio ai numeri è in fondo consacrato il gioco televisivo più popolare in Italia. Se spesso ci si azzuffa, tra conduttori televisivi, in ragione dell’uno per cento di ascolto in più o in meno, «Affari tuoi» viaggia regolarmente, come un treno in orario, oltre il ventidue e alla fine, quando la storia di ogni puntata conosce il suo diapason, arriva al trenta per cento. Più della nazionale di calcio. È il programma, quest’anno, con il maggiore ascolto del servizio pubblico.
In «Affari tuoi» – che è stato condotto da Paolo Bonolis, Pupo, Antonella Clerici, Max Giusti, Flavio Insinna – in onda dal lontano 2003 e originato da un format olandese, i numeri hanno esattamente il ruolo che rivestono nella vita di ciascuno di noi, comuni mortali. Non Archimede, Leibniz o Fibonacci. Noi, che usiamo i numeri per tre cose. Per giocare, per ricordare, per contare, prevalentemente profitti e debiti. «Affari tuoi» si colloca nel mezzo di questo triangolo di significati.
I venti partecipanti, uno per regione, scelgono un pacco, senza conoscerne il numero. All’ interno ci potrà essere una cifra, corrispondente ad una somma di denaro che va da 0 a 300.000 euro. L’associazione tra il numero del pacco e l’ammontare ivi contenuto è a conoscenza solo del notaio e del «dottore». Il concorrente è uno scelto tra venti, come un eroe che avanza dalle fila del coro e si mette sul proscenio. A turno potranno giocare tutti i rappresentanti regionali. Almeno in questo non ci sono gerarchie e disallineamenti.Il gioco è semplice e fondato su alcuni elementi distintivi del destino e del carattere di ciascuno: la fortuna, il coraggio, la capacità strategica.In sostanza il concorrente, lungo la trasmissione, quarantotto minuti di televisione, dovrà decidere se tenere fino in fondo il pacco che ha scelto o cedere alle lusinghe del «Dottore» che lo inviterà a cambiarlo o ad accettare offerte di cifre più o meno seducenti. Il gioco, è fatto di nulla. È leggero come l’aria. È come la morra, la tombola, il lotto.
Eppure.. Eppure è, a ben guardare, un contenitore di storie italiane. Non quelle selezionate dagli algoritmi del dolore o dell’orrore. Ma quelle di alcune centinaia di persone scelte tra le quasi quaranta mila che ogni anno chiedono di partecipare iscrivendosi a un sito o telefonando. Mi è venuto in mente di venire qui, al mitico Teatro delle Vittorie, per parlare con i protagonisti, dopo aver visto una puntata in cui giocavano due ragazzi abruzzesi che, verso la fine, con un misto di pudore e dolore, hanno rivelato che un certo numero era importante perché riferito al destino sfortunato della loro bambina. Soffrivano nel dirlo e si capiva che non avrebbero voluto andare oltre. Era già tanto, per loro troppo, così.
Il conduttore del programma, Amadeus, non ha fatto quello che tutti gli altri avrebbero fatto, specie i rabdomanti della lacrima altrui. Non ha chiesto nulla di più, non ha voluto sapere come e quando e tutto il resto. Non era una notizia di pubblico interesse, quella, era un dolore confessato con pudore. Ho molto apprezzato, ancora una volta, la misura, rara, di Amadeus.
Quella sera, e tante altre, ho pensato che proprio in questo programma, lieve come le «manine» che annunciavano la primavera in «Amarcord», c’è più vita reale che in tanti altri. Si incontrano casualmente la vita e le storie di persone che non sono lì per raccontarsi o per denunciare un misfatto subito. Sono lì per giocare, per provare emozione e per cercare di vincere qualcosa che forse gli cambierà la vita, forse gli cambierà l’automobile, forse gli cambierà solo una giacca. Eppure, che vincano o perdano, che siano felici o delusi, vanno via senza rimpianti.
Perché «Affari tuoi» non è un gioco d’azzardo. Per la semplice ragione che il concorrente non rischia nulla di suo. Persino al lotto o a tombola bisogna comprare numeri e cartelle per «tentare la fortuna».Qui no. Qui si vince, tutto o poco, ma non si perde mai nulla. E, comunque, lo dicono tutti i concorrenti andando via, avrai vissuto «un’esperienza straordinaria» e quando tornerai al bar del paese, perché per fortuna nei paesi i caffè ancora non arrivano con i droni, per un po’ sarai al centro dell’attenzione di cittadini come te. Butta via, in tempi avari come questi.
Per Amadeus i numeri «sono delle madeleines, un espediente mnemonico per attivare ricordi, momenti, gioie, dolori. I concorrenti li usano, per scegliere o evitare pacchi, usandoli come riferimenti sentimentali. E, proprio usando i numeri, si aprono e cominciano a raccontare. Qualcuno mi ha detto che neanche dallo psicologo aveva mai detto tanto di sé. E non lo fanno per furbizia, non aggiungerebbe nulla, lo fanno per sollecitazione emotiva, per la potenza dell’identificazione tra i numeri e i volti, tra i numeri e gli istanti del proprio vissuto». Numeri come sentimento. Non è un paradosso? Forse no.
Alex Bellos, nell’introduzione al suo «Il meraviglioso mondo dei numeri» scrive che «il mondo dei numeri è un posto straordinario. Raccomanderei una visita».Il «Dottore» è, per gli spettatori del programma, solo «un’ entità». Non ha volto, non si sente la sua voce, è lecito persino dubitare della sua reale esistenza. Si pensa che sia lì, nascosto da qualche parte e collegato per telefono con il conduttore, solo per difendere le già esangui casse della Rai e dunque sia spietato, maligno, furbo come una faina, incapace di sentimenti. Invece no. Pasquale Romano – si può dire il nome? Sì, si può – è il capo autore del programma, ha studiato filosofia, poi ha fatto il giornalista e da anni si occupa dei programmi di intrattenimento della prima rete.
È una persona colta e gentile, non sembra Rockerduck, né Scrooge di Dickens. «Il mio lavoro non è tanto far risparmiare l’azienda. Infatti per uno che vince più del budget di puntata, inevitabilmente ci sono tre che portano a casa di meno. Ciò che invece mi fa fare scelte, offerte, e proposte di cambio è un solo obiettivo: portare il concorrente a un finale significativo. Il finale ideale è “o tutto o nulla”. Ci si arriva con qualcosa di più complicato di un puro esercizio sul denaro, ci si arriva immaginando la persona che hai davanti, le sue scelte. Le doti, per tutti, sono il coraggio, la capacità di decifrare momenti e sensazioni, l’astuzia del camuffamento dei propri disegni. Ognuno ha un ruolo. Il concorrente è l’eroe, il dottore è il nemico. Certe volte non avrei voluto “vincere”, mi sono emozionato e speravo che lui o lei facesse la scelta giusta. Quei numeri smettono, calati nella vita reale, di essere effimeri: diventano potenti, caldi, inclusivi».
Amadeus dice: «Io sto dalla parte del concorrente. Non posso aiutarlo, perché non so cosa ci sia dentro i pacchi. Ma ragiono con loro, così cerco di essergli utile. In questa edizione abbiamo introdotto due novità: il gioco finale per tenere aperta una speranza suppletiva di vincita e, soprattutto, il secondo concorrente, un parente o un amore, che consente una dinamica narrativa del tutto diversa. La relazione tra loro, il formarsi comune delle decisioni, introduce qualcosa che, in termini di emozione, quintuplica il valore del racconto. Loro si parlano, scelgono, si confortano. In fondo proprio quello che fanno gli spettatori a casa chiedendosi cosa farebbero loro di fronte alle varie opzioni del gioco».
Stefano Mignucci, il regista, mi conferma che questa scelta ha reso il «testo» del gioco molto più caldo. «Sembra sempre la stessa cosa, perché “Affari tuoi” ha le sue dinamiche fisse. Ma ora anche solo la relazione di sguardi tra i concorrenti consente un montaggio molto più emozionante. Non è come riprendere un tg, io uso lo zoom-in proprio per esaltare il gioco degli occhi, le incertezze, i silenzi». Già, i silenzi. Questo programma ha un’altra caratteristica. Non c’è fretta. I concorrenti possono discutere, riflettere, prendere tempo. Televisione senza il tempo come ghigliottina: strano e bello.
Incontrando gli autori che mi raccontano come scelgono il cast: semplici colloqui, senza l’ambizione di trovare fenomeni o nuovi comici: faccio presente che alla fine, volenti o no, quelle persone che sfilano davanti alla telecamera, che sperano e si raccontano, attraverso i numeri presenti nella loro vita finiscono con il costruire un, forse involontario, racconto del paese reale. Penso che a Cesare Zavattini sarebbe interessato più un programma così di tanti reality.
Incontro, prima della registrazione, due ragazzi che sono stati sorteggiati come concorrenti. Uno viene da Melia di Scilla, in Calabria, si chiama Domenico, ha 25 anni ed è accompagnato da una mamma giovane. Di mestiere, dopo aver studiato all’alberghiero, fa l’operaio portuale perché questo gli consente di curare meglio la sua piccola fattoria: 23 cani, 4 vitelli e galline a volontà. «Se dovessi vincere tanto aiuterei le mie sorelle e poi vorrei aprire un piccolo ristorante. Se non vinco, va bene lo stesso. Sono stato qui e ho fatto tante amicizie. Ho scoperto come funziona la televisione e me ne torno felice al mio paesino di 700 abitanti».
Matteo, 44 anni, viene dalle montagne della Val d’Aosta, il suo comune ha 200 anime, si chiama Allein. Ha scalato il Monte Bianco, lavora all’ospedale di Aosta. Anche lui, che tiene per mano la sua compagna, è felice di esserci stato. Tra due ore lo sarà un po’ di più o un po’ di meno. Ma intanto… «Se vincessi la prima cosa che farei è offrire una cena a tutti e venti i ragazzi con i quali ho condiviso diciotto puntate. E poi acquisterei un appartamento per mia mamma. Guadagno 1.700 euro al mese. Quello che viene, va bene. E grazie a tutti».
Numeri, giochi, storie. Tutto utilizzato per raccontare. Senza pretese, neanche di voler far questo.
Succede, proprio come nella vita.