Corriere della Sera, 20 novembre 2023
I conti in tasca ai partiti
Nel 2023, Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi Berlusconi hanno versato nelle casse di Forza Italia un altro mezzo milione di euro. Centomila euro a testa, come nel 2022. Stavolta vanno però aggiunti altri centomila donati da Paolo Berlusconi, il fratello a cui il Cavaliere ha lasciato 100 milioni. La stessa cifra ereditata da Marta Fascina: la compagna del fondatore di Forza Italia, consultando il registro delle donazioni depositato per legge, almeno fino ai primi giorni dello scorso ottobre ha continuato a versare al partito solo i 900 euro mensili previsti per deputati e senatori. Questo rinnovato «pacchetto» da 500 mila euro, erogato quando le condizioni del capostipite apparivano già gravi, dimostra che le disposizioni date dal Cavaliere erano state chiare: «Forza Italia andrà sempre sostenuta». Pier Silvio e Marina in testa, dopo la morte, avevano annunciato che si sarebbero fatti carico delle fidejussioni che coprono i 90 milioni di debiti accumulati. Tutto mentre resta più che aperta la questione dei morosi, con il neo tesoriere forzista Fabio Roscioli impegnato in una complessa azione di recupero crediti.
Lo scenario
E «debiti» è la parola più ricorrente anche tra i tesorieri di tutti gli altri partiti, che, nei casi migliori, hanno al massimo casse vuote e pochi debiti. Uno scenario assai preoccupante, perché dopo i milioni spesi per la campagna elettorale delle Politiche 2022, adesso ne serviranno altrettanti per affrontare Regionali ed Europee, fissate rispettivamente a primavera e giugno prossimi. Chi, numeri alla mano, sembra passarsela peggio di tutti è la Lega, la cui ultima perdita è di 3,9 milioni. Ma la vera zavorra non è la spesa corrente, bensì l’obbligo di continuare a restituire allo Stato i 49 milioni indebitamente percepiti come fondi pubblici dalla Lega di Umberto Bossi. E nei giorni scorsi, per rimpinguare le casse leghiste, Salvini ha diramato un appello urbi et orbi: «Raccogliete 30 mila euro a testa». Servono infatti soldi (molti) per finanziare la sfida per Bruxelles e cercare di arginare lo strapotere dell’alleata Giorgia Meloni. La deputata Laura Ravetto ha declinato a modo suo questo fund raising, mettendo in palio una giornata da trascorrere con lei, tra politica e tv, per il finanziatore più generoso. Mentre Claudio Borghi, parlamentare che ogni mese deve versare 3 mila euro al partito, ha lanciato una raccolta fondi via social, dove grazie a piccole donazioni si è avvicinato a 200 mila euro. Si conferma poi un asse di ferro tra Salvini e la Vaporart, azienda che produce sigarette elettroniche, che quest’anno ha donato al Carroccio 5 mila euro (nel 2022 furono 50 mila e nel 2018 100 mila). E almeno altri 50 mila euro sono arrivati alla Lega grazie alla generosità della famiglia Polidori (i fondatori di Cepu).
Fronte meloniano
Chi se la passa meglio di tutti è FdI, che da fu «partitino» sta facendo il pieno di donazioni: solo per le ultime Politiche sono arrivati 3,5 milioni. Il segreto di questo equilibrio economico? Oltre al fiume di finanziamenti mai visto (a cui va aggiunto un rigoroso controllo sul versamento mensile da mille euro per tutti i parlamentari, inclusa la premier Meloni), in Via della Scrofa possono contare, a differenza ad esempio della Lega, su costi fissi molto bassi: sono appena 7, infatti, i dipendenti di FdI.
I costi fissi del Nazareno
E a questo proposito non sorridono per niente le casse del Pd, sulle cui spalle pesano 119 dipendenti, da tempo nel tunnel di una cassa integrazione senza fine. Il 2 per mille si conferma la principale fonte di finanziamento dei dem: nel 2022 arrivarono 7,2 milioni, così come quest’anno. Buona parte di deputati e senatori risultano poi in regola con i versamenti al proprio partito (1.500 euro al mese), altra voce non indifferente per dare ossigeno ai conti. Va evidenziato che, a differenza delle Politiche in cui i candidati con elezione pressoché certa versano a priori 15-30 mila euro a seconda dei partiti, le Europee sono un caso a sé: i leader erogano il budget per la campagna «macro», mentre ogni candidato (essendoci le preferenze) deve autofinanziarsi in maniera autonoma. «E correre per Bruxelles costa almeno 50-100 mila euro», spiega chi si sta attrezzando.
La nuova fonte M5S
Fronte M5S, che da statuto non accetta finanziamenti da imprenditori e aziende private. Sono ammessi solo sostegni contenuti, raccolti grazie a donazioni online, oltre ai versamenti da mille euro mensili versati da tutti gli eletti nell’arco della legislatura, incluso il leader Giuseppe Conte. Anche le casse dei Cinque Stelle non sorridono affatto. E proprio per contenere questa falla economica, non a caso, un anno e mezzo fa proprio l’ex premier aveva formalmente trasformato la creatura di Beppe Grillo da Movimento a partito vero e proprio. L’obiettivo? Poter incassare il 2 per mille. A fine anno, grazie alla rottura di questo tabù, dovrebbero arrivare sul conto pentastellato almeno 2 milioni. Ogni parlamentare contiano deve versare al partito 2 mila euro mensili, oltre ai 500 per progetti per la collettività.
Le ceneri del Terzo polo
Sulle ceneri del Terzo polo, stanno tirando le somme anche Matteo Renzi e Carlo Calenda. Per i leader di Italia viva (dai parlamentari mille euro mensili) e Azione (2 mila euro), finora il fund raising non era stato un grosso problema. Pochi finanziatori, ma assai generosi, soprattutto da grandi imprenditori e patron di maison di moda. Dopo il divorzio, almeno a consultare il registro dei finanziatori, l’appeal sembra essersi raffreddato. E anche in questo caso, la parte del leone la farà il 2 per mille. Nel forziere renziano dovrebbe entrare almeno un milione a fino anno, mentre in quello di Calenda poco più della metà.