Corriere della Sera, 19 novembre 2023
Intervista a Luca Zaia
Luca Zaia, nel settembre 1986 un diciottenne parte per la Spagna con gli amici più cari, sulla 2 Cavalli bianca targata Treviso della mamma, con la radio che grida «La isla bonita» di Madonna... Dove abbiamo già sentito questa storia?
«Nell’intervista che ho dato ad agosto a Giovanni Viafora, per la serie del Corriere “Il viaggio della vita”. Dopo aver rievocato quell’avventura, sono andato a rileggermi il diario che scrissi allora. E ne ho tratto ispirazione per il mio nuovo libro».
Titolo: «Fa ’presto, vai piano».
«È il saggio consiglio che ci davano le nostre mamme venete, ma è anche una metafora di vita».
Un viaggio di formazione. Ragazze comprese. Fu la sua prima volta?
«No. Nel senso che la prima volta venne dopo ancora. Le ragazze erano assenti dalla mia vita. Per questo l’incontro con Ines lo ricordo bene. Eravamo entrambi presi da un innocente innamoramento».
Chi erano i suoi amici?
«Il Conte, un aristocratico vero: oggi è uno dei più grandi produttori di prosecco. E l’Ingegnere, che non divenne mai tale, ma era un fenomeno in matematica, in classe era quello che passava i compiti. Adesso coltiva fiori».
A Marbella vi sfamava doña Carmen, nostalgica del franchismo.
«Tutto il libro è un’esaltazione della libertà. Libertà da ogni forma di dittatura e costrizione: quella franchista, su cui avevamo discussioni accesissime con doña Carmen; e quella comunista, che sarebbe crollata tre anni dopo, nel 1989, con il Muro di Berlino. E poi le dogane, i passaporti, le valute: tutte cose che ci siamo lasciati alle spalle. Noi siamo la generazione dell’Europa, delle libertà, dei diritti».
Sull’Europa la Lega ha cambiato idea. Bossi sognava di portarvi il Nord; Salvini è molto critico.
«Anche io sono critico con la gestione dell’Europa: burocratica, ingessata e autoreferenziale. Ma sono convinto che il nostro orizzonte siano gli Stati Uniti d’Europa».
Ma se si fanno sia gli Stati Uniti d’Europa, sia l’autonomia regionale, dell’Italia cosa resta?
«Diventerà uno Stato federale, in cui i cittadini conteranno di più e il Paese sarà più efficiente. Come in Germania».
Nel suo libro precedente lei scrive che i diritti vanno garantiti e ampliati, non limitati. A cosa si riferisce?
«Dal fine vita alle questioni di genere, i giovani ci indicano la via. Per loro le libertà, a cominciare dalla libertà d’amare, sono naturali. È un grave errore additare i giovani come lazzaroni. È sempre successo: i nostri nonni accusavano i nostri genitori, i nostri genitori accusavano noi. Dobbiamo porre fine a questa liturgia. Oggi i giovani sono relegati in un angolo. Sottorappresentati e inascoltati».
Anche il Veneto è sottorappresentato?
«Lo era. Grazie al nostro lavoro lo standing è tutt’altro: di assoluto livello. Certo, accade ancora di vedere ripresi gli stereotipi del passato, quando in una fiction o in un film viene messo in scena un veneto dipinto come una macchietta».
Com’era lei da giovane?
«Un incrocio tra l’Emilio di Rousseau e il ragazzo selvaggio di Truffaut. Fumavamo sigarette ricavate dai pistilli del mais, bevevamo acqua dall’equiseto e mangiavamo bacche di sambuco. Da quando avevo 6 anni ho lavorato, tutte le estati finite le scuole, nell’officina di mio padre: risparmiai così i soldi per partire, in quel lontano 1986. Non ero mai stato da nessuna parte. Ricordo che ogni estate lavavo la roulotte del medico del paese, che era andato in Grecia o in Turchia, e respiravo odori che non avevo mai sentito, pulivo con la spugna polveri e sabbie di colori che non avevo mai visto. Per noi veneti viaggiare significava andare a militare, o emigrare. I miei genitori andarono in luna di miele a Venezia: da Bibano, frazione di Godega Sant’Urbano, sinistra Piave, sono una cinquantina di chilometri; ma non erano mai stati a Venezia in vita loro».
Perché proprio la Spagna?
«Era l’emblema dei giovani e della libertà post franchista. E c’era la corrida».
La vide?
«Sì, e la trovai uno spettacolo barbaro e inqualificabile; anche se talvolta un toro particolarmente coraggioso, l’indultado, veniva graziato e si guadagnava una seconda vita da riproduttore. Oggi i ragazzi sono naturalmente animalisti; noi lo siamo diventati. I cavalli sono la grande passione della mia vita, in Spagna tentai anche di comprarne uno. I giovani oggi sono avanti: per loro è scontato battersi per l’ecologia, per l’ambiente».
La destra sul cambio climatico è molto tiepida.
«Io non sono fondamentalista, ma tanto meno negazionista. Certo che il cambiamento climatico esiste. E l’uomo ci mette il turbo. Dobbiamo imparare il rispetto della natura anche nei piccoli gesti, nella quotidianità; ma dobbiamo anche recuperare la nostra memoria storica. Quando la tempesta Vaia del 2017 abbatté tre milioni di metri cubi di foresta, cioè centomila ettari, si disse che era la più grande mai vista. Ho studiato, e ho scoperto che dal 1990 a oggi ci sono state in Europa 32 tempeste, tra cui una nella Foresta Nera che ne abbatté 40 milioni di metri cubi».
Come ricorda quella devastazione?
I giovani
«Per il mio primo viaggio,
a diciott’anni, scelsi la Spagna perché era l’emblema dei giovani
e della libertà post-franchista»
«Una distesa di morte, sembravano corpi dopo una battaglia. Per rianimare il cadavere occorreva l’elettrochoc. Di fronte a quegli alberi abbattuti mi sono inventato Cortina 2026. L’Olimpiade: ecco come riportare la vita sulle nostre montagne».
Anche sulla libertà d’amare la destra è tiepida.
«La bussola sono le parole di papa Francesco: “Chi sono io per giudicare un omosessuale che cerca Dio?”».
Le piace papa Francesco?
«Molto. Spero che venga presto nella nostra Regione».
Sul centro veneto per il cambio di sesso si sono fatte molte ironie.
«La legge per il cambio di sesso all’anagrafe è del 1982. Le persone che arrivano a un cambio di sesso chirurgico lo possono fare dopo un percorso complesso. Parliamo di pochi casi. È una prestazione assistenziale riconosciuta per legge. Il centro veneto vuole dare anche risposte a molte patologie dell’apparato genitale, per le quali è previsto un intervento chirurgico; non ultimo anche il caso estremo dell’ermafroditismo. Molte leggi che trattano temi etici sono state contestate. Anche quella sull’aborto, che va applicata. O il trapianto degli organi: a suo tempo fu criticato; oggi è una grande conquista».
Trapianti?
«In Veneto abbiamo chirurghi d’eccellenza come Cillo, che trapianta fegati su bambini di pochi mesi; Gerosa, il primo a trapiantare un cuore da un cadavere; Rea, che trapianta i polmoni; Rigotti, che ha fatto tremila trapianti di rene. Solo per citarne alcuni. Come direbbe la madre dei Gracchi, questi sono i miei gioielli. Persone che, con i loro staff, cambiano la vita di chi soffre».
Come giudica la vicenda della piccola Indi?
«Non deve essere un magistrato o un’istituzione a staccare le macchine. In Italia ci si basa sulla sentenza della Corte di Cassazione sul caso di dj Fabo. A suo tempo, anche Beppino Englaro dovette ottenere una sentenza della magistratura. Io credo invece che serva una legge per il fine vita, a tutela della libertà dell’individuo».
Se toccasse a lei cosa farebbe?
«Personalmente voglio poter decidere la mia sorte in piena libertà di coscienza».
Come giudica il governo Meloni?
«Giorgia Meloni, la presidente, mette assieme al suo governo il cuore in quello che fa. Certo la situazione internazionale non aiuta».
Lei non può ricandidarsi per il terzo mandato in Veneto.
«A causa di una legge sbagliata, che limita la libertà dei cittadini. C’è chi sostiene che evita centri di potere, ma così dà degli idioti agli elettori, che invece a ogni elezione dimostrano di saper premiare o mandare a casa i loro amministratori. Sindaci e presidenti di Regioni hanno il limite di due mandati; i parlamentari possono restare a vita. Non è giusto».
Si candiderà alle Europee?
«Non è nei miei pensieri. Intendo onorare l’impegno che ho assunto con i veneti. Sono del tutto concentrato sul mio lavoro».
L’anno dopo il suo viaggio in Spagna, nel 1987, lei votò per la prima volta. Quale partito?
«La Liga veneta».
Perché?
«Perché ricordo l’arroganza con cui gli ingegneri della motorizzazione trattavano i meccanici come mio padre, che portavano le auto per la revisione e aspettavano ore senza poter dire una parola. Lo Stato, l’apparato pubblico, mostrava il suo lato borbonico, irrispettoso del cittadino. La mia vita politica è stata spesa per correggere questa stortura».
L’Italia è un Paese di destra?
«L’Italia è un Paese di buon senso. E il buon senso è nella moderazione, che può stare a destra come a sinistra. Sogno un impegno politico che protegga i deboli, faccia rispettare le regole della civile convivenza, e crescere la libertà. Da quella di impresa ai diritti civili. I cittadini non sono cavernicoli che si scandalizzano davanti ai temi etici; sono molto più avanti di quello che pensiamo. A cominciare dai diciottenni, in cui rivedo quella voglia di evasione e di libertà che tanti anni fa mi aveva fatto salire sulla 2 Cavalli bianca».
C’è ancora?
«Certo, sia la voglia di libertà che la 2 Cavalli bianca. Mio papà la sta restaurando, vite per vite, bullone per bullone. Andrà meglio di prima».