la Repubblica, 19 novembre 2023
L’ultima partita di Weah
Dopo un pressing estenuante, alla fine ha perso palla anche lui. George Weah non è più il presidente della Liberia. Il triplice fischio sulle ambizioni di riconferma al vertice delle istituzioni di “King George” – ex stella del Milan e unico calciatore africano a essersi aggiudicato il Pallone d’oro, nel 1995 – è arrivato nella notte di sabato, quando ha telefonato al suo sfidante Joseph Boakai per congratularsi, prima di rivolgersi alla nazione in diretta radiofonica per ammettere la propria sconfitta al ballottaggio delle presidenziali del 14 novembre – la quarta elezione dalla fine della guerra civile nel Paese e la prima senza la presenza di una missione delle Nazioni Unite – ultimo atto di una consultazione in cui al primo turno nessuno dei 19 candidati era riuscito a ottenere la maggioranza assoluta.«Oggi ho perso, ma la Liberia ha vinto: possa la nostra nazione prosperare sotto la guida del mio successore», ha dichiarato il Capo dello Stato uscente, prima di fare appello ai suoi elettori affinché accettino «serenamente» gli esiti della consultazione. L’istantanea che rimanedella notte andata in scena nella capitale Monrovia è quella che raffigura le folle dei sostenitori di Weah che chiedevano a gran voce il riconteggio, a cui facevano da contraltare i cori e i balli protrattisi per ore davanti al quartier generale di Boakai. Stati d’animo contrapposti che – pur non sfociando mai nei disordini temuti alla vigilia – fotografano un Paese spaccato in due: i risultati provvisori diramati dalla commissione elettorale nazionale segnalano uno scarto minimo tra i due candidati: 50,9 allo sfidante, 49,1 al presidente uscente.Un divario di 30mila voti comunque incolmabile, con il 99,58 per cento delle sezioni già scrutinato, al netto delle accuse di brogli sollevate a proposito dello spoglio nella Contea di Nimba, dove il numero di voti validi ha curiosamente superato quello degli aventi diritto. Dettagli che non cambieranno il corso della storia: a far festa è ora il settantottenne Boakai, che dopo un mandato da vicepresidente all’ombra di Ellen Johnson Sirleaf – “Mama Ellen”, primo capo dello Stato democraticamente eletto a cedere il potere pacificamente, e insignita del Nobel per la Pace nel 2011 – è riuscito ora a issarsi al vertice delle istituzioni. Lo attende un compito impegnativo: la Liberia arranca al 178esimo posto per indice di sviluppo umano, con metà della popolazione chevive con meno di due dollari al giorno. La crescita è ferma al 2,8 per cento – dato inferiore alla media Ecowas – con le ricadute economiche della devastante epidemia di Ebola del 2014 che continuano a farsi sentire a distanza di quasi 10 anni.Boakai ora si è preso la sua rivincita: fu proprio lui a soccombere nel ballottaggio dell’elezione del 2017, che sancì la consacrazione della seconda vita di Weah. A quel tempo l’ex Pallone d’oro fu travolgente: trionfò portando con sé una ventata di ottimismo che viaggiava di pari passo con le sue promesse di rafforzamento economico, di lotta alla corruzione e di riconciliazione storica. Promesse spesso non mantenute, e che ora gli sono costate la rielezione: nonostante l’accesso all’istruzione sia stato effettivamente ampliato e siano state inaugurate decine di infrastrutture pubbliche, il tribunale speciale per processare i carnefici della guerra civile – che lasciò sul terreno un milione di vittime tra il 1989 e il 2003 – è rimasto invece lettera morta. Anche la lotta alla corruzione ha conosciuto più di una battuta d’arresto: nel 2018 trenta funzionari della Banca centrale si appropriarono di un container che trasportava 100 milioni di dollari liberiani freschi di stampa – al cambio, circa mezzo milione di euro. Un autogol che non gli è mai stato perdonato.