La Stampa, 19 novembre 2023
Il lato ribelle di Madonna
Si può essere ribelli in molte maniere, nella vita e nello showbusiness. «Ogni disco di Madonna contiene una affermazione politica», assicura Mary Gabriel, autrice di Madonna. Una Vita Ribelle, sontuosa biografia di quella che è stata ed è ancora, dopo 40 anni, la più grande icona pop femminile dei nostri tempi. «Non vuol dire che lo urla, lo fa con un taglio da cultura pop, lo immette nella musica, che sia l’emancipazione femminile o i diritti dei gay o – come nell’ultimo tour– dei trans: lo rende gioioso, magari non lo comprendi finché non ti fermi a pensarci. Parla alla gente che è fuori dalla società, li abbraccia, inverte il punto di vista. È una ribellione sociale, religiosa ma anche artistica, basti pensare ai concerti, che prima del suo Blond Ambition Tour del ’90 erano solo persone dietro un microfono, magari un balletto o qualche effetto. Li ha trasformati in produzioni teatrali, cambi di costume, con una narrativa. Non c’è un aspetto della sua vita nel quale non abbia tentato di rovesciare lo status quo, in modo spericolato». Davvero? «Molti le hanno detto non farlo, la tua carriera potrebbe finire. Ma lei l’ha sempre fatto ugualmente, e quarant’anni dopo la sua carriera è tutt’altro che finita».
Le 800 pagine del libro ripercorrono ogni momento topico, ogni svolta, ogni polemica, ogni atto artistico di Madonna Louise Ciccone. Gabriel è una scrittrice che ama la musica ma i cui interessi erano altrove: un libro su Marx, Love and Capital, finalista al Premio Pulitzer, e Ninth Street Women: Five Painters and the Movement That Changed Modern Art, un libro su cinque pittrici americane degli Anni 50 che hanno rotto schemi ma sono rimaste piuttosto oscure.
Com’è stato passare da artiste poco conosciute all’artista femminile più conosciuta del pianeta? «Volevo continuare a parlare di donne. Poi, ho ascoltato lo speech di Madonna al Billboard Woman of the Year del 2016, subito dopo l’elezione in cui Hillary era stata battuta da Trump. Le donne americane erano furiose. Ha detto “sono qui di fronte a voi, la più conosciuta entertainer del mondo: ho dovuto confrontarmi con la misoginia, il patriarcato, l’industria che mi vedeva solo come un pezzo di carne, e dico che le donne devono supportarsi l’un l’altra”. Ho capito che l’avevo sì sentita, ma senza mai ascoltarla veramente».
È cominciata una ricerca minuziosa, ma senza mai incontrarla di persona: «Non mi rendevo conto che c’è un livello di celebrità dove non basta programmare un’intervista, era totalmente inaccessibile». Benvenuta nel club, Mary. A proposito, tu che avrai studiato Marx, Madonna ti sembra un’ambasciatrice del mondo capitalista? «Il meccanismo gigantesco che ha creato intorno a lei Live Nation (spettacoli, biglietti, merchandising) è la cosa più capitalista al mondo, ma lei è sempre riuscita a essere sovversiva, a modo suo. Ragiona ancora come una “street kid”, se qualcuno le dà dei soldi per fare quello che già fa bene, sono i mezzi per esprimersi a livello di massa. Ma non cambia i suoi messaggi per compiacere the money man».
Madonna arriva dal Michigan a New York nel ’78, con l’idea di fare la ballerina. La metropoli è lercia, pericolosa, ma anche strabordante di fermenti, tutte le arti che si mischiano e influenzano. Entra in diverse compagnie di danza, vive anche un intermezzo dorato a Parigi assoldata dai produttori di Patrick Hernandez che vogliono farne una star dell’euro-disco, ma fugge perché ha solo in testa la voglia di imparare, maturare, diventare qualcuna in quella città che adora. Gli aggettivi che Gabriel usa sono arrogante, sfacciata, affamata, audace, innovativa, trasgressiva, con una volontà di ferro. La accompagneranno per sempre. Gira, si dà da fare, vede gente (una sera si ritrova al tavolo con Al Pacino, un po’ intimidita ma in taxi gli caccia la lingua in un orecchio). La svolta è quando scopre nella Lower East Side un dance club gay.
È l’inizio di un amore reciproco che sarà per sempre la sua cifra: «Da teenager si era sentita bullizzata da tutta la scena macho dei licei americani, e solo entrando in contatto con la comunità gay attraverso il suo primo insegnante di danza aveva trovato persone da cui sentirsi accettata, con cui poteva dar sfogo alla sua natura più stravagante. Ragazzi che non avevano nulla se non un’immaginazione selvaggia, che volevano vivere fuori della società ed essere creativi. Un calderone di idee da cui assorbire, crescere e sperimentare. Il motivo per cui sono rimasti così legati negli anni è l’Aids: quando l’establishment conservatore del presidente Reagan scopre che colpisce soprattutto i gay e i tossici se ne disinteressa. Lei vede morire intorno a sé gli amici e visto che nessuno vuole parlarne, nei primi Anni 80 appena ha visibilità e potere comincia a parlarne negli spettacoli in modo esplicito, fondali con la scritta “sesso protetto”, a circondarsi di ballerini gay sul palco, ad essere un sostegno pubblico per la comunità. Era anche una maniera di svergognare il Governo che non si preoccupava dei propri cittadini».
Il che conduce a un altro tema, il suo rapporto con la Chiesa. «Cresce in una famiglia italo-americana in cui l’osservanza era molto rigida, ma vede le ingiustizie, l’ipocrisia del non accettare con amore gli omosessuali malati, considerati peccatori puniti. All’aeroporto a Roma, dopo che Giovanni Paolo II descrive il Blond Ambition tour “lo spettacolo più satanico mai apparso in terra”, si rivolge ai giornalisti, “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, riferendosi agli omosessuali discriminati, agli abusi del clero, alle donne sottomesse. È come se manipolasse quelli che lei riteneva i manipolatori, e usa l’immaginario e l’iconografia della Chiesa per raccontare una storia diversa, di inclusione, di amore».
C’è un passaggio del libro in cui una quindicenne Madonna va a Detroit per vedere il tour di Ziggy Stardust, che mi ricorda quale fosse il toccante rapporto che si era creato con i teenager dei sobborghi, dei paesi sperduti dell’Inghilterra e del mondo, mille teenagers come lei a cui Bowie tendeva la mano, «give me your hands, ’cause you’re wonderful!», guardatemi, siete meravigliosi. È un messaggio potente: non abbiate paura, per quanto strani non siete soli. «Esattamente. È il messaggio che manda, fin dagli inizi. Rappresenta un messaggio di libertà e coraggio ed emancipazione, non hai idea quanto sia adorata, e importante, soprattutto in quelle culture repressive fuori dell’asse occidentale. Li raggiunge molto di più che con i discorsi, se sei un ragazzo le canzoni risuonano come un mantra, like a prayer. E non lo fa solo a parole, in questo nuovo secolo è diventata molto più esplicita politicamente e filantropa: sono rimasta sorpresa dal fatto che, dopo che l’Amministrazione Trump ha tagliato le sovvenzioni per i programmi scolastici all’estero, Madonna ha sovvenzionato personalmente i professori dei territori occupati palestinesi. Non canta e basta, dietro le quinte è un’attivista».
Rimane la Madonna artista e madre di famiglia. Nel primo campo detiene quasi tutti i record possibili, e si è sempre dimostrata avanti al suo tempo, collaborando con i migliori autori e produttori, portando a livello di massa trend underground, rimanen do legatissima al suo progetto iniziale di fare una musica per ballare, cosa nella quale eccelle. «L’hanno accusata di sfruttare il lavoro e la cultura intorno a lei, ma io la vedo come un regista che si sceglie le persone migliori nel proprio campo. Prendi Vogue, ha visto questo trend di ballo ad Harlem e li ha portati in tour mondiale, ha dato visibilità a qualcosa che altrimenti nessuno avrebbe saputo esistesse. L’arte è ispirazione, si tramanda e si diffonde e ci si ricostruisce qualcos’altro».
Nel secondo, sono rimasto sorpreso di come nel 2016 si trasferisca a Lisbona per stare vicino al figlio adottivo David Banda che vuole diventare un calciatore professionista (con musicisti locali ha realizzato il suo ultimo Madame X, album di contaminazioni fra fado, hip hop, edm, reggaeton e quant’altro passasse da quelle parti, imparando per l’occasione anche a cantare in portoghese). «Ha perso la madre a 5 anni, e ha sempre cercato di riempire quel vuoto. Per quanto trasgressiva, ha una vena conservatrice ed è la famiglia. Ha un grande legame con i due figli naturali e i quattro adottati. C’era stata molta polemica sulla adozione di una bimba in Malawi, hanno scritto che una bimbetta nera era l’ultimo capriccio della star che ha tutto. Veramente crudele, ne ha sofferto molto. Ma lei è rimasta legata al Paese africano, ha costruito un ospedale pediatrico e non se l’è intestato ma gli ha dato il nome originale di sua figlia, il Mercy James Hospital, e come persona singola è la maggior donatrice di un Paese molto povero. Per Madonna la famiglia è fondamentale. Il suo gruppo di lavoro è una famiglia, soffre quando deve distaccarsi dai figli per lavorare», e ne soffrono anche i mariti, aggiungo, non è facile stare con la donna più famosa del mondo, magari (come è capitato al secondo divorziato, Guy Ritchie) arrivi alla prima del tuo film ma tutti guardano e chiamano tua moglie. Ma immagino che essere donna in carriera e moglie/madre sia difficile, a tutti i livelli.
Perché Madonna è davvero la «hardest working person in showbiz» (come diceva di sé James Brown): un lavoro duro, costante, da figlia della working class. Uno stile di vita disciplinato, anche massacrante, fatto di infortuni e lacrime sul palco e concerti rinviati, fino a quest’ultimo tour intrapreso contro il parere dei medici dopo essere stata in primavera in punto di morte. Però in una maniera sempre positiva, ottimistica, canzoni «per celebrare la vita». «È sempre stato così, dal buio alla luce, unica eccezione il tour Drowned World, che aveva un’aria dark, violenta, in scena si sparava, non-da-Madonna: il suo spettacolo a L. A. fu sospeso per l’attacco alle Due Torri, chissà se aveva intuito la violenza nell’aria. Ma crede nella rivoluzione dell’amore, ci crede veramente». Sembra che scrivendo Gabriel si sia innamorata: Madonna ti ha cambiato? «Incredibile, ma è vero. Sono una che non ha mai saputo dire di no, ma sto imparando a farlo, a proteggermi un po’ di più. Mi piacerebbe molto fosse successo quarant’anni fa». —