La Stampa, 19 novembre 2023
Ritratto di Roman Abramovic
Una sera il consigliere Voloshin (Alexandr Voloshin, l’allora capo dell’amministrazione presidenziale di Vladimir Putin) mi chiama e mi dice: “Tra un’ora annunceremo che Abramovich sta comprando il Chelsea. Puoi diffondere la notizia?"». Chi parla così, in una delle prime testimonianze ufficiali su come il Cremlino fosse ben in movimento dietro l’acquisto del Chelsea da parte di Roman Abramovich, è Aleksey Venediktov, il direttore di Echo Moscow, la radio poi chiusa da Putin nel 2022 dopo che Venediktov si era espresso contro la guerra in Ucraina. Per tanti anni, però, Venediktov è anche stato uno dei giornalisti più influenti di Mosca e più introdotti nei circoli del potere, nella transizione oscura da Boris Eltsin a Putin. Se è vero il suo racconto, il Cremlino era particolarmente interessato a diffondere la notizia dell’acquisto del Chelsea, presentandola al pubblico e facendola conoscere come un’operazione di interesse nazionale, un’operazione russa. Voloshin dice a Veneditov «annunceremo», non «Abramovich annuncerà». Perché lo Stato russo doveva prendersi la briga di fare l’annuncio di una operazione di mercato di un libero imprenditore?
Abramovich ha sempre negato di aver acquistato il Chelsea dietro richiesta di Putin o della verticale di potere del Cremlino. E ha anche fatto causa alla reporter inglese Catherine Belton (non vincendo la causa, anzi, ma ottenendo solo un editing minore), per un suo grande libro, Putin’s People. La ricostruzione che giunge adesso da parte di Venediktov è una delle tante chicche contenute in un nuovo documentario evento francese-italiano, domani sera, lunedì 20 novembre, su Raitre in seconda serata, Roman Abramovich: l’equilibrista (tratto dal francese Un oligarque dans l’ombre de Poutine di Stéphane Bentura). Poco meno di un’ora di cavalcata nella vita di Abramovich con diverse rivelazioni.
«La decisione di acquistare il Chelsea – spiega appunto Venediktov in uno dei passaggi chiave del film – fu chiaramente di natura politica. E Abramovich sapeva che gli avrebbe permesso di entrare nell’alta società britannica». Ma senza sconti, dietro Abramovich si staglia la figura di Vladimir Putin. Michail Kassianov, che fu primo ministro confermato solo per un breve periodo da Putin, e poi fatto fuori, racconta per esempio come fu fatto fuori: «Quando ho lasciato l’ufficio di Putin, il capo della segreteria di Putin, Igor Sechin (oggi boss di Rosnef) mi disse “Grazie mille, lei ci ha insegnato come gestire il Paese, ora possiamo farlo da soli"».
Nel prisma della vita di Abramovich si riflette la costruzione, per dirla con le parole di Sergey Parkomenko, «di uno Stato organizzato come la mafia, che ha adattato metodi della mafia alle sue esigenze. Per esempio, dove sono i soldi di Putin? Da nessuna parte e dappertutto. Perché tutti i soldi di questi oligarchi, sono anche i soldi di Putin». È qui che si spiegano alcuni passaggi strabilianti dell’ascesa di Abramovich, per esempio la fondazione di Sibneft, con cui nasce la fortuna di Abramovich, nel 1995. Prima di allora, l’oligarca è un ragazzo che negli anni della Perestrojka s’inventa un business (la costruzione di giocattoli per bambini, per lo più anatre di plastica, che vendeva direttamente dal suo appartamento a Mosca). O il mercato nero di jeans, che importava da Mosca a Komi, la sua aspra regione d’origine. Abramovich, orfano di madre e padre da piccolissimo, conosce durante una crociera ai Caraibi, nel 1994, Boris Berezovsky, più grande di lui, già potente nell’automotive, con forti entrature politiche. Gli sta simpatico. Propone a Berezovsky di creare un’azienda capace di controllare tutto il flusso del greggio, dalla produzione alla raffineria. Berezovsky, come altri in seguito, si fa incantare da quel ragazzo dalla faccia pulita, che poi lo accoltellerà, e a sua volta convince Eltsin a far fondere un’azienda produttrice di petrolio greggio con una raffineria e a cederne il controllo a Berezovsky e Abramovich. In cambio, Berezovsky avrebbe dovuto usare una parte dei proventi della nuova società petrolifera per fondare una stazione tv, Ort, deputata sostanzialmente a una cosa sola: fare propaganda pro Eltsin. Tutto agli atti di una sentenza britannica, che vede in questo uno scambio corruttivo. Sibneft viene creata per decreto, nell’agosto 1995. Abramovich compra il 90 per cento a 240 milioni di dollari, ma di questi solo 18,8 milioni appartengono con certezza al suo capitale (il team Navalny ritiene che Sibneft costi complessivamente ad Abramovich cento milioni). Dieci anni dopo, nel 2005, rivende il 72 per cento di Sibneft a Gazprom, cioè allo Stato russo, che gli paga quelli che allora sono 13 miliardi di dollari.
Per Putin è il «consolidamento degli asset economici russi» sotto lo Stato. Per Abramovich l’affare che lo rende stramiliardario: un affare interamente dentro il perimetro del Cremlino. «Putin non ha messo in riga gli oligarchi – spiega Luke Harding nel film – è il più potente degli oligarchi. Siede al di sopra di questa struttura dove potere e denaro si fondono, dove il denaro è potere in contanti, e da dove arbitra tra le diverse fazioni, i diversi clan del Cremlino». Con Abramovich come una specie di jolly. «Abramovich – sostiene Parkomenko – ha costruito e progettato questa simbiosi tra denaro e potere».
Il film racconta le ville di Abramovich, a Kensington o a Cape D’Antibes (la villa che fu di Edoardo VIII e Wally Simpson), come mezzi di influenza. E gli oligarchi come, per un intero periodo, nuovi regnanti. Gli yacht in Italia come mezzo per celare alle opinioni pubbliche il volto brutale del potere del Cremlino. Il Chelsea village costruito in Sardegna per vendere ai ragazzini ricchi italiani il sogno del Chelsea. Le cene a Villa Certosa (una persona molto vicina a Berlusconi spiegò perché il Cavaliere dedicasse tutta quell’attenzione a un imprenditore allora appena quarantaduenne: «Per Berlusconi, Abramovich è Putin»). Il mediatore nel primo mese della guerra russa in Ucraina. Venediktov racconta: «Per quello che ha fatto in Ucraina non posso dire che ha un mandato di Putin, ma ha l’autorizzazione di Putin, a trattare con Zelensky». Una figura statuale, insomma. Molto più che un businessman. Abramovich non ha voluto rispondere alle domande degli autori del documentario.
Nel film la deputata britannica Margaret Hodge racconta un episodio rivelatore. I russi, dice, hanno versato tre milioni di sterline a vari soggetti dei Tories, compresi ministri: «È stata una enorme operazione di soft power. Un giorno Abramovich mi mandò un emissario russo a convincermi che poteva e stava finanziando tante opere di carità. Io dissi: “Con quali soldi?”. Non rispose. Dopo un quarto d’ora di dialogo tra sordi se ne andò. In seguito uno dei colleghi deputati mi chiese: “Perché te la prendi tanto con Abramovich? Potrebbe ritirare tutti i suoi soldi dal Chelsea!”. “Non m’interessa”, scherzai, “io sono dell’Arsenal"». In tanti, invece, anche in Italia, in quel frangente scoprirono di tifare per il Chelsea.—