La Stampa, 19 novembre 2023
I familiari degli ostaggi pronti a marciare su gaza
I 68 chilometri percorsi a piedi in 5 giorni, dalle spiagge di Tel Aviv fino alle colline di Gerusalemme, sono serviti per trasformare in fatica il mix di sentimenti – rabbia, paura e frustrazione – maturati in 43 giorni senza notizie dei loro cari. Lungo il percorso, la solidarietà dei connazionali si è manifestata in una folla sempre più numerosa e nell’abbraccio di 30mila persone nella tappa finale, ieri pomeriggio. Il momento più emozionante per Amit Shemtov, fratello di Omer Shemtov (21 anni) rapito al Nova Festival di Reim il 7 ottobre, è stato quando «mi sono voltato indietro e ho visto tutta quella gente».«Mi fanno male le gambe e le spalle. Mi fa male tutto, ma niente fa male come il cuore», ha detto all’arrivo, sotto l’ufficio del Primo Ministro, Orin Ganz-Zach. Anche sua figlia Eden Zach-Zacharia (28) è stata rapita al festival musicale e da allora è in ostaggio a Gaza. «Il viaggio non è finito», ha detto Yuval Haran, sette famigliari nelle mani di Hamas e promotore della marcia. «Siamo pronti a camminare fino a Gaza, se necessario. Ma non rinunceremo ai nostri figli», ha ribadito la signora Ganz-Zach.Poi un pullman li ha riportati a Tel Aviv, al quartier generale del forum delle famiglie degli ostaggi, dei 240 uomini e donne, neonati, bambini, ragazzi, adulti e anziani, feriti e malati che sono prigionieri nella Striscia ma chissà dove esattamente, in quali condizioni e in mano di chi. L’ala militare di Hamas ha comunicato, proprio ieri in serata, che «i contatti con alcune squadre, il cui compito era sorvegliare gli ostaggi, sono stati interrotti» e che pertanto non ha più informazioni sulla sorte di quelle persone.Questo «non sapere» corrode gli animi. La marcia aveva anche lo scopo di fare pressione sul gabinetto di guerra, a cui si chiede trasparenza, un dialogo costante ed empatia. «L’obbligo principale di un governo nei confronti del suo popolo è proteggerlo. Senza protezione e senza sicurezza, non c’è uno Stato, non c’è Israele. L’unico modo per tornare a essere una nazione, è riportare a casa gli ostaggi», dice fuori dall’auditorium Gil Dickmann, mentre il ministro Benny Gantz e l’osservatore del gabinetto di guerra Gadi Eisenkot, entrambi ex capi di Stato maggiore dell’esercito, stanno rispondendo alle domande dei rappresentanti delle famiglie. Dall’incontro a porte chiuse trapela che Eisenkot abbia detto che «il ritorno degli ostaggi è la priorità suprema, prima ancora della distruzione di Hamas». Il premier Benjamin Netanyahu, in una conferenza stampa per i media locali, ha dichiarato: «Noi stiamo marciando con voi, io sto marciando con voi, tutto il popolo di Israele sta marciando con voi». Ma la solidarietà non basta più. «A seguito di forti pressioni – fa sapere il forum delle famiglie degli ostaggi – il Primo Ministro ha annunciato un incontro dei rappresentanti di tutte le famiglie con l’intero Gabinetto di Guerra», lunedì sera, in coincidenza con la Giornata mondiale dell’Infanzia.Dickmann è appena tornato dall’ultima tappa della marcia a Gerusalemme. Sua cugina Carmel Gat e la moglie di un altro cugino, Yarden Roman Gat, sono state prese nel kibbutz Beeri. «Il governo che il 7 ottobre ha fallito – dice in un mix di speranza e di rabbia – adesso può riparare al danno. Ci devono convincere che gli ostaggi sono davvero la priorità. Lo so che non ci possono spiegare i dettagli ma vogliamo sapere le coordinate temporali – una settimana? Due? Un mese? Un anno? – per valutare se stanno facendo un buon lavoro».Ad attendere l’esito dell’incontro con Gantz ed Eisenkot, al quale ha partecipato la nipote Shir, la più giovane dei 4 figli del fratello Keith Siegel (64) di sua cognata Aviva (62), entrambi rapiti a Kfar Aza, c’è anche Lee Siegel, del kibbutz Gezer, lo stesso dove viveva Vivian Silver, la pacifista uccisa nel Sabato Nero nel kibbutz Beeri. «Provo tristezza, dolore e speranza», spiega. «Non credo nella vendetta come strategia. Certo, provo anche rabbia ma so che non è produttiva. Mi chiedo – continua – se il gabinetto di guerra ha davvero chiaro quello che vuole ottenere, quando dichiara che faranno qualsiasi cosa per riportare gli ostaggi a casa. Perché è difficile conciliare fare “qualsiasi cosa” in una guerra con fare “qualsiasi cosa” per far uscire, da quella stessa guerra, cittadini innocenti di ogni età».Intanto, dal complesso della Kirya, Netanyahu ribadisce che «molte notizie» su imminenti accordi per liberare alcuni o tutti gli ostaggi sono «errate. Per ora non c’è alcun accordo». E il ministro Benny Gantz, che l’ha raggiunto dopo l’incontro con le famiglie degli ostaggi, dice che l’operazione di Tsahal a Gaza finirà «solo quando possiamo promettere sicurezza e riportare a casa i nostri ragazzi e le nostre ragazze».Sulle pagine del Washington Post il presidente Usa Joe Biden scrive di avere il «cuore spezzato» per le immagini che arrivano da Gaza e per la morte dei civili e dei bambini. Ma ribadisce anche che per Hamas «ogni cessate il fuoco» serve «per ricostituire le scorte di razzi, riposizionare i combattenti e iniziare nuovamente a uccidere i civili».In un angolo del portico all’ingresso della sede del forum delle famiglie dei rapiti, la nonna di Amit Soussana (40) porta appeso al collo un cartello con la foto della nipote. Si capisce che un pensiero, uno dei tanti ma uno di quelli più brutti, l’ha sfiorata. È quando inizia a piangere, sola e silenziosa, appoggiata al muretto. —