il Fatto Quotidiano, 18 novembre 2023
Una fede da milioni di copie
Una vocazione tanto precoce che il padre – un ingegnere edile della più stimata borghesia piemontese – lo sorprende, appena adolescente, intento a gettare nel Po i romanzi di Balzac della biblioteca di famiglia perché quei volumi figurano nell’Indice dei libri proibiti. Ecco un indizio a suo modo illuminante del gesuita Carlo Maria Martini. “Il Cardinale passa le giornate in poltrona, tra i cuscini schiacciati, seduto dietro i vetri della finestra… Nulla, se non l’azzurro sbiadito ma ancora vivido dello sguardo, ricorda la velocità del pensiero sempre tenuto a bada dal consueto esercizio.” È un passaggio tratto da Missa solemnis di Ferruccio Parazzoli, romanzo liberamente ispirato a Martini. Tanto è stato seminale il suo magistero che anche un regista del calibro di Ermanno Olmi lo ha celebrato con il film-documentario Vedete, sono uno di voi. Si contano a decine le biografie che lo raccontano, la più esaustiva Il profeta di Marco Garzonio. Hanno scritto di lui intellettuali e grandi firme, da Massimo Cacciari a Eugenio Scalfari. Ma ancora più imponente è la bibliografia dello stesso Martini. Bompiani – che dal 2015 pubblica l’Opera omnia – manda in libreria l’ottavo volume: Il cammino di un popolo. Lettere pastorali e programmatiche. Solo questo annovera milleduecento pagine che sistematizzano 19 lettere pastorali oltre a svariati altri documenti. Quando saranno resi disponibili anche i Diari e carteggi (20esimo e ultimo volume previsto) si potranno misurare le proporzioni di un monumento di carta forse unico nel nostro panorama editoriale. Martini è stato anzitutto un uomo di Chiesa ma il suo statuto di scrittore è altrettanto innegabile. Non solo perché ha avuto l’onore di assurgere a classico con un Meridiano a lui dedicato nel 2011. Ma in virtù della diffusione eccezionale dei suoi testi. Quando era arcivescovo di Milano vendeva ogni anno un milione di copie della sua lettera di Natale. I suoi libri hanno collezionato record degni di un bestsellerista. Un primato messo in ombra da classifiche che colpevolmente hanno escluso per lungo tempo dal campione statistico le librerie religiose. Libri singolarissimi perché per la quasi totalità “detti” nel corso di eventi, prediche, esercizi spirituali. Una suora, sua storica collaboratrice, provvedeva a sbobinare e a trascrivere. Eccetto i pontefici, nessuno come Martini nella chiesa del secondo Novecento ha goduto di tanta popolarità e risonanza mediatica. È Wojtyla alla fine degli anni 70 a strapparlo ai suoi studi e a metterlo a capo della diocesi ambrosiana. Fino ad allora, biblista di fama, trascorre i suoi anni da rettore prima al Pontificio Istituto Biblico, la “Harvard” dei gesuiti a Roma, e poi alla Pontificia Università Gregoriana. Martini prova a dissuadere Giovanni Paolo II obiettandogli di non avere familiarità con le folle ma il papa gli risponde: “Sarà la gente a venire incontro a lei.” In effetti, dal 1979 al 2002, il cardinale diventa un punto di riferimento. Dal colpo di coda del terrorismo a Tangentopoli, passando per i fasti della “Milano da bere”, Martini si impone perché, nell’eterno conflitto tra credenti e non credenti, preferisce distinguere fra pensanti e non pensanti. Il salto della fede resta per lui l’esito di un travaglio della ragione. Memorabile nel corso del suo episcopato la Cattedra dei non credenti, dove a porre le questioni sono gli agnostici. Questa apertura al mondo laico lo rende un protagonista del dibattito pubblico ma gli aliena le simpatie dei cattolici più intransigenti. I rapporti con don Giussani di Comunione e Liberazione non sono idilliaci. Giovanni Testori lo definisce “cardinale camomilla” e gli rimprovera di arrendersi ai “figli dell’illuminismo.” La reputazione di bastian contrario, di antipapa, si riverbera anche nella sua parabola finale. Rilascia dichiarazioni clamorose sulla bioetica e tuona contro i funerali negati a Welby. In Conversazioni notturne a Gerusalemme (Mondadori, 2008) invoca una Chiesa capace di stare al passo coi tempi. Muore a 85 anni, afflitto dal Parkinson, nel 2012. Forse la grandezza di Martini è da rintracciare in una frase pronunciata da arcivescovo, che nell’infuriare dei conflitti di oggi risuona in tutta la sua bruciante verità: “Abbiamo bisogno tutti di imparare a vivere insieme, da diversi.”