Corriere della Sera, 19 novembre 2023
Nel paese più vecchio d’Italia
Il Comune più vecchio d’Italia ha un bar, un minimarket, l’ufficio postale, la farmacia e tre medici di base. San Giovanni Lipioni, provincia di Chieti, Abruzzo, le colline accanto sono già Molise: età media 66,1 anni, certificata dall’Istat. La media italiana è di 46,2 anni, la regione con la media più alta è la Liguria (49,4 anni), nulla in confronto a San Giovanni. La situazione non sta migliorando: la dipendente comunale part-time guarda i registri, «nell’anno passato i residenti erano 135, i decessi sono stati 14, i nati: uno». Quell’uno – il figlio del 2022 – si chiama Pietro ed è in braccio alla mamma Marilena, vice sindaco, che lo allatta ai tavolini fuori dal bar Il Lupacchiotto. Piazza Largo del Popolo è dove si svolge quel che resiste della vita cittadina: in questo venerdì mattina sono arrivati tre ambulanti, una scalinata s’arrampica nel borgo riattato, in cima sta la chiesa, da una parte il Comune ha ristrutturato quello che un tempo era contemporaneamente il tempio valdese e la sede del Pci: il campo largo contro la parrocchia. Il bar sempre aperto Tutto funziona a turno – la farmacia due ore al giorno, le poste tre mattine, la parrucchiera, il macellaio e il pescivendolo una volta alla settimana, i medici alla bisogna —, tranne il bar, che è sempre in servizio: ci sono gli anziani, gli operai che lavorano al cantiere di consolidamento del viadotto, praticamente tutta la comunità con l’eccezione della decina di cittadini attivi, che in una mattina soleggiata sono nelle fabbriche verso la costa. Ne è appena tornato Mattia Rossi, il sindaco, operaio alla Pilkington, già Società Italiana Vetri: per andare a lavorare impiega un’ora e un quarto, in autobus. È uno dei cinque nati del 1978, anno record: «In questi posti nessuno si candida alle elezioni, se non nelle liste civetta i cui rappresentanti sono interessati esclusivamente ai giorni di permesso previsti dalla carica». Invece a San Giovanni ci tengono, e provano a combattere lo spopolamento che ha fatto precipitare i residenti dal migliaio del Novecento a quelli di oggi. Il paese si è desertificato a forza di ondate migratorie: a fine Ottocento i sangiovannesi son partiti per le Americhe, nel dopoguerra per il Belgio e per la Francia, negli anni Novanta per Bologna, nei primi Duemila verso la costa, per Vasto e San Salvo. Ai tempi del boom economico era emigrato anche Zio Franco (qui «zio» non indica parentela, ma è segno di rispetto), leva 1939, edile: ha lavorato nelle Americhe e in Congo, alla costruzione dell’aeroporto Charles de Gaulle a Parigi e degli impianti delle Olimpiadi di Grenoble del 1968, ha inseguito ferrovie, autostrade, gallerie. Ha anche partecipato allo scavo del tunnel del Monte Bianco; dal lato francese, però. Il ritorno di Zio Franco Dopo mezzo secolo nel mondo, Zio Franco è tornato a casa e custodisce la memoria del paese che fu e delle migrazioni, ha stipato di cimeli tre piani di una casetta: valigie di cartone e carri, pelli di pitone e telai, giochi e gioghi; su ognuno ha attaccato una descrizione. «Chi si occuperà di tutte queste cose? Chi le racconterà?». La moglie Laurentina è del 1947 (lei conserva invece la memoria gastronomica), i figli hanno una ditta edile a Bologna: sono loro che si stanno occupando della ristrutturazione degli edifici attorno al bar su mandato di una nascente Cooperativa di comunità. «Vogliamo creare contenuti e servizi per attrarre i turisti» dice Alessandro Rossi, leva 1977 (nati: due), uno dei promotori della coop, anche lui sangiovannese di ritorno, da Parma, «l’anno prossimo finalmente avremo una trattoria». Non è l’unica iniziativa: là dove c’era il tempio valdese/sede del Pci ora c’è l’ufficio dell’associazione «Nessuno escluso» che censisce gli edifici abbandonati e ne promuove il riuso. Su una parete è affisso l’elenco dei cinquantuno soci che l’hanno fondata nel 2022, quasi tutti hanno gli stessi tre cognomi, Rossi, Monaco e Grosso (era di qui il padre di Fabio Grosso, campione del mondo nel 2006). Anche la Pro Loco ha una certa vivacità: oltre alle rituali sagre gastronomiche organizza il «Majo», la festa propiziatoria del raccolto, prima pagana, poi sincreticamente dedicata alla Madonna. C’è poi qualche iniziativa individuale, come quella di Michele, che oltre a gestire due camere in B&B ha allestito una biblioteca nell’ex bottega sotto casa propria; o come quella di Umberto, che è una sorta di «social media manager» senior della comunità, avendo fondato il gruppo Facebook «San Giovanni Lipioni Friends»: 770 membri, quasi sei volte la popolazione. Questo è quel che è, poi si sogna quel che potrà essere grazie a fondi di diversa natura, da quelli dei Gal (Gruppi di azione locale) a quelli del Pnrr: fare un’area camper dove ci sono i campi di calcio dismessi? Trovare una destinazione d’uso al centro polifunzionale dall’architettura molto controversa (ha l’aspetto di un grosso radiatore)? Gli inglesi e il milanese Alcuni, timidi, segnali di ripresa si vedono, e non solo per i 2.500 euro annui che la Regione riconosce per un lustro a chi prenda la residenza in montagna: una coppia d’inglesi s’è trasferita in paese da poco, in cerca di una nuova Toscana non ancora Tuscany; è arrivato un ex edicolante milanese con la sua famiglia (al bar l’hanno soprannominato «Zaia» perché è genericamente del Nord). La questione principale rimane irrisolta: il lavoro. Un tempo c’erano una ditta di piastrelle, frantoi, una cooperativa il cui edificio tuttora mostra due diversi ingressi per due diversi tipi di soci: uno con lo scudocrociato, uno con la falce e martello. Oggi il principale datore di lavoro è la Residenza per anziani che ospita una ventina di utenti nello stabile che fino agli anni Novanta era la scuola elementare. Dolci (e lumini) Nel 2023 scuole non ce ne sono: i ragazzini in età pre e scolare si contano sulle dita di una mano, e vengono accompagnati in un paese accanto. Tra questi c’è Santiago, quattro anni, figlio di Giovanni e Marisa, i proprietari del minimarket. Giovanni sta al banco, Marisa fa la pasticciera, e d’estate il locale funziona a dovere, ché in paese tornano in duemila, anche dall’estero. Ma d’inverno è dura, i pochissimi si chiudono in casa con le stufe a legna, fuori c’è freddo, neve e vento. «Si sopravvive – racconta la coppia —. Vendiamo parecchia farina, quasi tutti si fanno da soli la pasta, il pane e i dolci, la gente ha poco da spendere: molti anziani hanno la pensione da braccianti agricoli. E vendiamo anche tanti lumini per il cimitero: a San Giovanni sono più quelli di là che di qua», ridono. Eppure non demordono: Giovanni e Marisa il 3 agosto hanno avuto un secondo bambino, Ettore. Il figlio del 2023.