La Lettura, 19 novembre 2023
La fuga dalla famiglia
Dici previsioni demografiche e sai, ancora prima di leggere i risultati, quello che ti aspetta: niente di buono. E infatti. Secondo le ultime previsioni delle famiglie al 2041 dell’Istat, che per essere a breve-medio termine hanno margini d’errore assai contenuti, le famiglie italiane salgono dai 25,3 milioni del 2021 ai quasi 26,3 milioni del 2041, aumentando in questi venti anni di poco meno di un milione. E questo mentre la popolazione italiana nel frattempo passa da 58,9 milioni a poco meno di 56 milioni, perdendo quasi tre milioni di abitanti. Tre milioni di abitanti in meno, ma un milione di famiglie in più? Facile rendersi conto che qualcosa non quadra. Perché c’è un solo modo, per le famiglie, di aumentare mentre la popolazione diminuisce, per giunta considerevolmente, e questo modo consiste nella contrazione delle dimensioni medie della famiglia fino a livelli tali da far dubitare che sempre di famiglia si tratti. Risparmiamoci i troppi decimali, così da riassumere più agevolmente il fenomeno: la dimensione media della famiglia italiana passa tra il 2021 e il 2041 da 2,3 a 2,1 componenti. La perdita di appena 0,2 componenti in media a famiglia può sembrare una cosa da niente, ma non lo è per due buoni motivi. Primo motivo: la riduzione di 0,2 rappresenta il 9 per cento in meno del valore di 2,3 componenti della famiglia al 2021 – una contrazione, dunque, tutt’altro che irrilevante. Secondo motivo: la dimensione media della famiglia italiana di 2,3 componenti al 2021 è già in sé una dimensione minima, che attesta una povertà dimensionale di questa famiglia che ha pochi uguali.
Ciò detto, si potrebbe comunque essere indotti a pensare che una contrazione di 0,2 componenti in media a famiglia nell’arco di vent’anni attesti, tutto sommato, una tenuta piuttosto che un ulteriore cedimento dell’istituto della famiglia nel nostro Paese. Ma lo stato di salute della famiglia in Italia è più grave di come potrebbe sembrare da quello 0,2 perso lungo la strada degli anni che verranno. E infatti da qui al 2041 ciò ch’è più rappresentativo della famiglia cede, smotta come un terreno sotto l’azione delle piogge di questo novembre alluvionale. Mentre avanzano quelle configurazioni di famiglia che più si allontanano dalla concezione, classica o tradizionale che dir si voglia, della famiglia fatta da genitori e figli.
Ma vediamo meglio, entrando nel merito. Se consideriamo le famiglie secondo la tipologia abbiamo la conferma di una tendenza che viene da lontano, da alcuni decenni che stanno alle nostre spalle, e si spingerà certamente almeno fino a quel 2041 dove terminano le previsioni Istat: tutte le tipologie di famiglia aumentano mentre una sola diminuisce, oltretutto di un considerevolissimo 23 per cento, quella più importante per la tenuta della popolazione e del Paese tout court: la tipologia delle «coppie con figli». Aumentano in proporzioni diverse, da qui al 2041, tutte le altre tipologie di famiglia: le persone sole, dette anche «famiglie unipersonali» (più 20,7 per cento), le «coppie senza figli» (più 13,1 per cento), le «famiglie monogenitoriali» formate da un genitore e almeno un figlio (più 13,2 per cento), fino alle «altre tipologie di famiglia», vale a dire quelle famiglie che non hanno un nucleo (nucleo che può essere formato da una coppia, anche omosessuale, o da un genitore più un figlio) o hanno più nuclei (più 11,3 per cento).
Abbiamo detto che le famiglie aumentano, da qui al 2041, di quasi un milione? Bene, le coppie con figli diminuiscono di 1,9 milioni. E se oggi il 32,5 per cento delle famiglie è rappresentato da coppie con figli, valore già in sé striminzito, nel 2041 questa percentuale precipita al 21,5. Cosicché nell’universo delle famiglie italiane le coppie con figli scendono a rappresentare da quasi un terzo a poco più di un quinto delle famiglie, passando da una posizione minoritaria a una posizione che si avvicina pericolosamente alla marginalità. Sui 26,3 milioni di famiglie del 2041 quelle costituite da coppie con figli non sono che 6,3 milioni – ben al di sotto, come si vede, di una posizione di minoranza. Se pure a queste famiglie aggiungiamo le famiglie monogenitoriali composte da un solo genitore con figli si arriva ad appena 9,3 milioni di famiglie nelle quali si avrà ancora la presenza di qualche figlio. Conclusione: nel 2041 solo in poco più di una famiglia su tre si avrà la presenza di qualche figlio.
Lo scenario è dunque quello di una formidabile rarefazione dei figli in Italia. E infatti se al 2021 si potevano ancora contare 17,4 milioni di figli nelle famiglie italiane nel 2041 di figli nelle famiglie italiane non se conteranno che 14,4 milioni, tre milioni in meno. E qui, se proprio vogliamo farci del male, possiamo annotare l’assurdo di una società che si sta avvitando su sé stessa: perché è facile vedere come tutta la contrazione di 2,9 milioni che subiranno gli abitanti dell’Italia nel ventennio 2021-2041 sarà messa in conto ai figli, è sulle loro spalle che andrà a pesare: non su quelle degli adulti e meno ancora degli anziani o dei vecchi, solo e soltanto dei figli: neonati, bambini, adolescenti, giovani – figli di tante età diverse, ma senz’altro tutte giovanili.
All’opposto della tipologia grande perdente costituita dalla «coppia con figli» si colloca la tipologia grande vincente: la «famiglia unipersonale», costituita dalle persone sole che passano da meno di 8,5 a 10,2 milioni nel 2041, guadagnando oltre 1,7 milioni e arrivando a sfiorare il 39 per cento del totale delle famiglie. A quella data le persone sole, che oggi rappresentano una famiglia su tre, arriveranno a rappresentare 4 famiglie su 10
Questi due estremi, uno in forte contrazione delle coppie con figli e l’altro ancora in grande ascesa delle famiglie unipersonali, rendono appieno l’idea della grande debolezza dell’universo delle famiglie italiane. Alle prese con sempre meno coppie con figli, sempre meno figli nelle famiglie, sempre più famiglie costituite da una sola persona, stretta in questo reticolo di tendenze l’Italia si avvia ad essere una società senza famiglia.
Non è la morte della famiglia – almeno questo possiamo dirlo. Ma non molto di meno. Perché, senza scantonare nell’esagerazione si può concludere che si tratta pur sempre se non della morte certamente della grande sofferenza di un certo tipo (e concezione) di famiglia. E non ci si riferisce tanto alla famiglia cosiddetta numerosa, quella è da tempo che non esiste più e nessuno la rimpiange. Ci si riferisce piuttosto alla famiglia che possiamo chiamare «plurale». Ecco, la famiglia plurale è in gravissima sofferenza, mentre ha la meglio un’altra forma di famiglia, senz’altro più moderna ma meno famiglia: la famiglia «singolare» – ma meglio dovremmo dire, per non incorrere in equivoci, famiglia al singolare (non s’abbia a pensare che la famiglia singolare è una forma di famiglia amabilmente caratterizzata — singolare, appunto).
L’aspetto singolare della famiglia al singolare è questo: declina moltiplicandosi. Si assottiglia dilatandosi. E, anzi, tanto più si dilata e moltiplica tanto più si assottiglia e declina. Trovatelo, un altro organismo con una tale capacità camaleontica. Ecco le prove. 1961: 13,7 milioni di famiglie, con una media di 3,6 componenti a famiglia; 1991: 19,9 milioni di famiglie, con una media di 2,8 componenti a famiglia; 2021: 25,3 milioni di famiglie, con una media di 2,3 componenti a famiglia; 2041: 26,3 milioni di famiglie, con una media di 2,1 componenti a famiglia. Le famiglie raddoppiano, la media dei componenti a momenti dimezza. In quanto? In ottanta anni. Ecco, in ottanta anni di quel che era la famiglia ancora nei mitici anni Sessanta non sopravvivono che labili tracce, esili legami.
Ed è così che nell’anno di un governo che pretende, è il caso di dirlo, di rilanciare famiglia e natalità (e dunque figli) le premesse per sperare di combinare qualcosina sono ridotte al lumicino, mentre le previsioni soffiano contro quel lumicino minacciando di spegnerlo del tutto. Non gliene si potrà fare gran rimprovero, al governo, se resterà con un pugno di mosche: arriva al culmine di decenni in cui non si è mosso un dito per arginare lo smottamento. Perfino il Pnrr è stato scritto senza un soffio di coscienza demografica. Sotto il profilo demografico, un’occasione persa.
Scivoliamo nella famiglia singolare, dunque, dalla famiglia plurale dalla quale veniamo. Non è semplicemente questione del venir meno della pluralità dei componenti della famiglia, né della sempre più spiccata prevalenza di quella forma di famiglia che della famiglia non ha niente, essendo limitata alla persona singola, sola. È proprio la concezione della famiglia che si trasforma al ritmo delle sue trasformazioni quantitative. Stentiamo a cogliere i nessi di quantità e qualità, siamo prigionieri dell’idea che le trasformazioni quantitative lì restano confinate, alla quantità. Ma quando le quantità cambiano troppo, e troppo rapidamente, com’è per la famiglia in Italia, che le qualità restino inalterate è pia illusione. La famiglia plurale è quella che si muove nella pluralità, definisce sé stessa e si concepisce nella pluralità: delle famiglie, dei figli, delle relazioni sociali, delle reti di famiglie e associazioni. La famiglia singolare si muove secondo traiettorie e logiche di protezione di sé, tenendosi al riparo più che facendosi avanti, centellinando le relazioni, restringendo le reti. La quantità dei componenti influenza i rapporti con gli altri e il mondo. Nel minimo di famiglia c’è sovente anche un minimo di rapporti e relazioni sociali. Nessuno pensa più alle famiglie numerose; chi si ostina a credere che sia possibile rianimare le famiglie numerose in estinzione è fuori dal tempo, se non proprio dal mondo. Ma nella famiglia senza figli manca l’intero arco di quelle relazioni tra le famiglie, e sono la maggioranza, che dai figli prendono il via e dei rapporti tra i rispettivi figli si sostanziano.
E non è certo casuale che al declino della famiglia e alla rarefazione delle relazioni tra le famiglie, ovvero all’ascesa della famiglia singolare, faccia da contraltare l’esplosione degli animali da compagnia nelle case degli italiani. Quelli che erano rapporti tra genitori di figli che si frequentano stanno sempre più diventando scambi di cortesie tra padroni di cani che si incontrano ai giardinetti.
È il prezzo che paghiamo, che l’intera società, non a caso intristita, paga alla perdita di quell’intensità di famiglia che per tanto ha contraddistinto non soltanto il nostro Paese. Ma non si vede consapevolezza, in giro. Meno ancora uno strapparsi le vesti. Il perché è chiaro, ancorché taciuto o nascosto: la famiglia non gode di grandi simpatie, non resta simpatica. Sì, capita che faccia comodo rifarsi alla famiglia, tirarla in ballo. Lo si è visto con la pandemia. Quando la si voleva a salvezza della patria, a cantare dai terrazzini pavesati di bandiere italiane. Quei terrazzini pavesati erano, a dir tanto, uno su venti, ma tant’è, richiamarci al valore della famiglia era come chiamare la buona sorte, o il buon Dio, in soccorso.
Ma ecco di nuovo le violenze, i femminicidi, gli infanticidi, i bambini abbandonati, gli adolescenti che scappano e quegli altri che si uccidono o uccidono, ed ecco tornare la famiglia descritta come un inferno o giù di lì. Fine delle simpatie, se mai ce ne sono state di autentiche. Tutto un panorama traballante, questo che vuole mettere alla sbarra la famiglia, che i dati, se solo ci si desse la pena di interpretarli un po’ meno superficialmente, neppure supportano. Ma tant’è. Al livello più basso toccato dalla simpatia per la famiglia si lega il suo scadimento quantitativo, che tracima in qualitativo, ora ribadito dalle previsioni al 2041. E chissà cosa viene prima e cosa dopo, se la simpatia che latita o lo scadimento che avanza. Ma è poi così importante?