Tuttolibri, 18 novembre 2023
Ian Fleming a Hong Kong
La gente pensa che uno scrittore di thriller debba vivere una vita da thriller e si diverta a fare cose thrilling. Sulla base di questo falso presupposto, il consiglio direttivo del Sunday Times mi istigò ripetutamente a fare qualcosa di emozionante e scriverne un resoconto. Sicché, alla fine di ottobre del 1959, gli venne in mente di propormi un tour delle città più appassionanti del mondo per descriverle in bella, bella prosa. Si potrebbe fare, mi disse, nel tempo di un mese.Poco convinto, discussi il progetto con Mr Leonard Russell, redattore letterario del giornale. Gli feci notare che sarebbe stato molto costoso e molto faticoso, e che non era possibile girare il mondo in trenta giorni per scrivere reportage che fossero belli e/o accurati, dedicando una media di tre giorni a ogni città. Dissi che, come turista, sono il peggiore del mondo; e che più volte ho auspicato che all’ingresso di musei e gallerie d’arte si mettano pattini a rotelle a disposizione dei visitatori. Aggiunsi di essere piuttosto insofferente alle colazioni ufficiali e alle visite alle cliniche o alle nuove aree residenziali.Leonard Russell fu granitico. «Non è questo che vogliamo,» mi disse. «Sembra che ai lettori dei suoi libri, anche se non possono essere all’altezza di James Bond e delle sue eroine glamour, piacciano gli scenari esotici. Non le occorre nuovo materiale per le sue prossime storie? Questa è una splendida occasione.»Obiettai che le mie storie sono di fantasia e che quello che capita a James Bond non succede nella vita reale.«Sciocchezze,» ribatté lui.Così, dato che l’idea di vedere, pur ventre a terra, il mondo (finché c’è ancora un mondo da vedere) sotto sotto non mi spiaceva, acquistai un biglietto aereo internazionale per la somma di ottocentotré sterline, diciannove scellini e due pence, incassai cinquecento sterline in traveller’s cheques dal capocontabile e mi sottoposi a una serie di vaccinazioni che mi procurarono dolori e vertigini. Quindi il 2 novembre, munito di un fascio di visti, un vestito quattro stagioni con tasche nascoste per i soldi, una valigia piena come al solito di più cose del necessario e la mia macchina da scrivere, lasciai la routine di Londra alla volta delle thrilling cities extraeuropee: Hong Kong, Macao, Tokyo, Honolulu, Los Angeles, Las Vegas, Chicago, New York.Oltre che l’ultimo baluardo del lusso feudale nel mondo, Hong Kong è la città più vivace ed eccitante che abbia mai visto, e la raccomando senza riserve a chiunque possa permettersi il biglietto aereo. Sembra avere tutto: comodità moderne in un suggestivo scenario orientale; un clima mite tranne che nella stagione dei monsoni; una bella campagna per passeggiare o andare a cavallo; ogni tipo di sport, compresi il miglior campo di golf d’Oriente (il Royal Hong Kong), l’ippodromo più lussuosamente attrezzato e la possibilità di splendide immersioni; una flora e una fauna straordinarie, tra cui spiccano le celebri farfalle; e un costo della vita più conveniente rispetto a ogni altra città turistica. Tra le attrazioni secondarie vanno annoverati ottimi ristoranti occidentali e cinesi, un’esotica vita notturna, un pacchetto da venti sigarette a uno scellino e tre pence; e infine vestiti, camicie eccetera, di robusto shantung, tagliati su misura in quarantott’ore.Oltre che anfitrione, mi fu guida, filosofo e amico prima a Hong Kong e poi in Giappone «il nostro Uomo in Oriente» Richard Hughes, corrispondente del Sunday Times per l’intera regione: un australiano gigantesco dalla mentalità europea e dalla visione del mondo idealistica, esemplificata dal fatto che è il fondatore della sezione Baritsu degli Irregolari di Baker Street. Baritsu è la parola giapponese che indica il codice nazionale di autodifesa (comprendente, tra l’altro, il judo) ed è l’unico vocabolo di quella lingua che risulti essere stato usato da Sherlock Holmes.La mia prima sera uscimmo insieme a visitare la città.Le strade di Hong Kong, di notte, sono tra le più incantevoli in cui abbia mai camminato. Da queste parti le agenzie pubblicitarie sono del tutto ignare del fatto, fin troppo noto a Londra e a New York, che le scritte in nero, rosso e giallo sono quelle con il massimo impatto sull’occhio umano. Con l’assenza degli aspri colori primari, le strade di questa città dimostrano che le luci al neon non devono essere necessariamente orride e la folla di ideogrammi cinesi in viola chiaro, rosa e verde, con un uso generoso del bianco, risulta quasi ipnotica, non solo per le tinte, ma anche perché non si capisce quali pallidi messaggi ed esortazioni veicolino. Nelle strade domina il profumo del mare, con qualche stimolante folata di sandalo dalle fabbriche di bastoncini d’incenso, misto a cipolle fritte e a quell’odore di traspirazione dolciastra che emana dalla cucina cinese. Le ragazze, grazie ai loro cheongsam, hanno una leggiadria agile e timida che scatena parossismi di invidia da parte delle occidentali. Il colletto alto e piuttosto rigido del cheongsam dà alla testa e alle spalle dignità e autorevolezza, mentre lo spacco, tanto profondo quanto la bellezza della gamba lo consente, rivela che Dior o Balmain non si sono ancora resi conto del sex appeal dell’interno di un ginocchio femminile. A Hong Kong ci saranno senz’altro donne cinesi grasse e tozze, ma io non ne ho vista neanche una. Persino gli uomini, con le loro camicie bianche immacolate e i pantaloni scuri, sembrano più in forma di quanto siamo noi in Occidente; quanto ai bambini, sono un continuo incanto.Cominciammo la nostra serata nel bar più comme il faut di Hong Kong, il tipo di locale di cui piaceva scrivere a Hemingway: decorato con placche di navi e altri trofei e, sopra il banco, un alligatore impagliato con un’iguana a cavalcioni. Il bar appartiene a Jack Conder, ex poliziotto municipale di Shanghai, con la fama di essere stato il miglior tiratore della sua epoca. I suoi grossi pugni sembrano conservare la memoria di non pochi menti riottosi. Conder non consente alle donne l’accesso al bar del piano di sotto, affermando che i veri uomini devono essere lasciati bere da soli. All’arrivo dei giapponesi, nel 1941, Conder rimase a Shanghai, fu catturato ed evase. Compì la sua lunga marcia a sud, verso Chungking, dormendo di giorno nei cimiteri, dove i fantasmi riuscirono a proteggerlo. È un autentico tipo hemingwayano, e nel suo bar si bevono solidi drink a prezzi ragionevoli. Il locale è il luogo d’incontro degli «Alcolisti Sinonimi», un gruppo di hemingwayani minori, per lo più corrispondenti della stampa locale. La cerimonia di iniziazione richiede il consumo di sei «San Mig», il nomignolo della versione locale della birra San Miguel: secondo il mio gusto assai poco incoraggiante.Dopo esserci corroborati con i veleni occidentali (mi risulta che nessun cinese con un minimo di dignità penserebbe mai di darsi al bere prima di cena, ma la moda del whisky ha invaso l’Oriente con la stessa rapidità con cui ha invaso la Francia), ci siamo diretti verso uno dei migliori ristoranti cinesi, il Peking. Dick Hughes, acceso orientalista, era deciso a orientalizzarmi il più presto possibile, e non perdeva occasione di indirizzarmi in tal senso. Il Peking Restaurant era luminoso e pulito. Consumammo nell’ordine:zuppa di pinne di pescecane con granchicrocchette di gamberigermogli di bambù con alghepollo alle nocie, come portata principale,anatra arrosto alla pechinese,innaffiati con vino aromatizzato. I semi di loto sciroppati aggiunsero un gradevole tocco finale.Dick Hughes insaporì il nostro banchetto con i pettegolezzi dai sotterranei e dal sottobosco della colonia, a partire dall’incapacità del governo di far fronte all’unico vero problema di Hong Kong: la carenza d’acqua. Perché non si affidano a un’impresa privata? I servizi di gas ed elettricità sono gestiti splendidamente dai fratelli Kadoorie, che hanno dato prova altrettanto valida a Shanghai. Ci sono pochi alberghi: perché la Jardine non provvede? Le amanti giapponesi sono preferibili a quelle cinesi: se, per una ragione o per l’altra, lasci una giapponese, quella si comporta con dignità e filosofia, laddove una cinese si abbandona a un’infinità di isterismi e probabilmente ti si presenta in ufficio per lamentarsi con il tuo principale. Servitù? Ce n’è in abbondanza e di ottimo livello, ma troppe mogli inglesi e americane non hanno la minima idea di come trattare un buon cameriere... battono le mani e gridano: «Ragazzo!» per nascondere la loro insicurezza. Un comportamento del genere era ormai fuori moda e aveva nociuto al buon nome degli occidentali. (Quante volte mi era capitato di sentire la stessa cosa a proposito delle mogli inglesi in altri paesi «di colore»!)L’ultimo scandalo pubblico riguardava i saloni di massaggi e i cinema a luci rosse (a colori e con il sonoro!) che fiorivano in particolare a Kowloon nella zona del porto. L’Hong Kong Standard stava cercando di fare piazza pulita. I dettagli che aveva pubblicato, peraltro, erano stati un’ottima réclame. Dick lesse da un articolo: «Qui i giornali erotici circolano in libertà. I film a luci rosse sono proiettati apertamente. La polizia di Hong Kong effettua retate di massaggiatrici.» Lo Standard ne forniva quindi nomi e indirizzi: «Miss Diecimila Gioie e Zero Rischi al 23, Stanley Street, secondo piano, inizio attività ore 9.00... Miss Villaggio Morbido e Caldo... Miss Stratosfera e Miss Loto d’Amore al 17, Café Apartments, Stanza 113, piano terra (di fronte all’Ospedale Francese, camera riscaldata)... Miss Casta e Raffinata, Appartamento A, Percival Mansion, sesto piano (ascensore).» E nomi più mirabolanti: «Miss Liscia e Fragrante... Miss Prezzemolo Smeraldino... Miss Pesca Piscina Naturale (soddisfatti o rimborsati)...» e via così.Il problema, spiegò Dick, era dovuto alla tradizionale compiacenza della donna orientale, combinata con la disoccupazione e l’aumento del costo della vita. La crescita delle industrie leggere, in particolare quella tessile, e la crisi nel Lancashire e in America avrebbero potuto essere d’aiuto. Volevo forse visitare la più recente fabbrica di tessuti? Dissi di no.Dopo questa conversazione fu naturale uscire dal Peking Restaurant per entrare nel mondo di Suzie Wong.Con il suo splendido libro (appunto Il mondo di Suzie Wong), Richard Mason ha reso a un modesto albergo del porto lo stesso servizio fornito da Hemingway al ben diverso Harry’s Bar di Venezia. Il romanzo (così come L’amore è una cosa meravigliosa di Han Suyin, letto universalmente da tutti gli alfabetizzati di Hong Kong) è guardato con un certo sospetto dai benpensanti. Soprattutto, credo, perché la promiscuità con belle ragazze cinesi non è, comprensibilmente, ben vista dal grande sindacato delle donne britanniche. Ma il mito di Suzie Wong non se ne vuole andare da Hong Kong, e lo stesso Richard Mason sarebbe sorpreso di scoprire quanto profondamente e diffusamente abbia attecchito.Grazie al romanzo, il Luk Kwok Hotel, opportunamente sito vicino ai moli della flotta e alla British Sailors’ Home, ha beneficiato di un vero e proprio boom. Ancora oggi le ragazze non possono sedere non accompagnate nello spazioso bar: bisogna portarle da fuori, come faceva Lomax, per evitare che l’albergo diventi legalmente un postribolo. Ma l’edificio è stato ridipinto in un intenso grigio «nave da guerra» (forse per far sentire i marinai a casa?) e un manifesto della Collins che reclamizza il romanzo di Richard Mason ha un posto d’onore sulla parete principale. Ulteriori segni di prosperità sono un enorme (e orribile) simil-Braque su un’altra parete, un’elegante lampada Anglepoise sopra il registratore di cassa e una vasca di pesci combattenti siamesi.Se domandate di Suzie, vi rispondono con un malinconico cenno del capo e la triste, drammatica notizia che il matrimonio è stato un fallimento e lei è tornata a «fumare». Se chiedete dove potete trovarla, vi viene spiegato che non vuole vedere nessun uomo e attende il ritorno di Lomax. Le cose non vanno poi così male, visto che lui le spedisce regolarmente soldi da Londra. Ma qui ci sono tante altre belle ragazze, belle come lei. Vuole per caso conoscerne una, amica personale di Suzie?Non so quanto i marinai credano a questa storia, ma sospetto che siano ben lieti di accontentarsi dell’«amica» di Suzie.Concludemmo la serata passeggiando lungo i moli affollati, in cerca di un taxi che ci riportasse a casa. Lungo la strada osservai che in tutto il porto di Hong Kong non si vedeva un solo gabbiano. Dick indicò la ressa galleggiante di giunche e sampan, in cui passavano tutta la loro vita intere famiglie, anche di sei persone, nella maggior parte dei casi senza mai lasciare il porto. Mi disse che nemmeno a Shanghai si vedevano gabbiani, una volta. A detta dei comunisti, ora gli uccelli erano tornati perché non dovevano più contendere agli umani i rifiuti del porto. Probabilmente a Hong Kong era lo stesso: ci sarebbero voluti un bel po’ di gabbiani per competere con tre milioni di cinesi.E su questa nota malinconica chiusi la mia prima incantevole giornata.Thrilling Cities © Ian Fleming Publications Ltd, 1963Copyright 1959, 1960 by Thomson Newspapers Ltd© 2023 La nave di Teseo editore, MilanoPublished by Arrangement with Agenzia Santachiara