Robinson, 12 novembre 2023
Il ritorno dei Beatles
Un nuovo pezzo dei Fab Four? Nel 2023? Ebbene sì. E non solo: Now and then detronizza Taylor Swift dal podio di Spotify, la piattaforma lanciata trentotto anni dopo lo scioglimento del gruppo. C’è quindi qualcosa di potente in questo ritorno al futuro, c’è uno spiazzamento fra livelli temporali che avrebbe fatto sorridere Italo Calvino nella sua lezione sui classici, e al tempo stesso c’è anche (come negarlo) il paradigma del nostro maneggiare ciò che è stato e non è più, ostinandoci a imporre un sequel a esperienze ed esistenze concluse, incapaci come siamo di accettare gli epiloghi. Proviamo allora ad analizzarla, questa clamorosa materializzazione di Paul, John, George e Ringo che senza neanche scomodare Wells irrompono in un pianeta muto e narcotizzato sull’orlo della Terza Guerra Mondiale.Al successo i nostri erano più che abituati, ma certo non può non far pensare la miriade di clic con cui adolescenti inglesi, americani e di ogni dove stanno scaricando il brano, loro che sono come minimo nipoti di quei derelitti a cui Roversi consigliava di chiedere chi fossero i Beatles, in una celebre hit degli Stadio. Il punto è che la nostra epoca, completamente votata alla mitopoiesi da social, è più che mai sensibile a tutto ciò che riceva il marchio di leggenda, e finisce quindi per erigere templi ed altari a tempo di record pur di concedersi lo status di adepto a un culto unificante, qualunque esso sia. A creare il caso, forse, è quindi più la community dei Beatles che non l’effettiva capacità trascinante di un brano non ipnotico come i numeri farebbero pensare, cosicché esso finisce per tradursi in un pretesto per accedere all’ecclesia, alla moltitudine di chi può ritrovarsi e fraternizzare all’insegna di quella frase non per nulla virale «oh my God, sto ascoltando anch’io i Beatles!», la cui forza sta nel rompere non solo barriere geografiche, ma addirittura temporali. A tutto ciò si aggiunga che lo stile dei Quattro è lontano anni luce da sovrani di Spotify come Bad Bunny e Dua Lipa, fino al punto da apparire perassurdo una novità abbagliante, proprio nella misura in cui è sconosciuto e spiazzante. È un paradosso, ma il vintage esce ancora una volta a gonfie vele se intercetta la sete di stimoli dissonanti dai prodotti in serie tutti uguali e a misura d’algoritmo.Dopodiché, rileveremo che c’è una meravigliosa staffetta nella coincidenza per cui la rete Internet ebbe il suo battesimo ( sotto forma di Arpanet) esattamente nel settembre del 1969, mentre usciva per la Apple Records Abbey Road. Il loro addio (che si sarebbe consumato otto mesi dopo con Let It Be) andò di pari passo ai primi vagiti di una tecnologia che avrebbe radicalmente trasformato il mondo della comunicazione e pure della musica, su cui loro stessi avevano impresso un segno indelebile. Scompaiono i Beatles e nello stesso mese, silenziosamente, nasce Internet. Ecco, è per questo che il trionfo planetario di Now and then mi appare anche come la chiusura di un cerchio, il grande cerchio in cui i fenomeni ti sembrano autonomi ma si influenzano e ingenerano a vicenda, con i Beatles che incarnarono la rivoluzione degli anni ’60 e Internet che segna l’ultimo ribaltamento copernicano della loro eredità, così ignorata eppure vitale per la musica del terzo millennio, quella che corre online, quella che rimbalza sugli smartphone della generazione Z.Si è tuonato che questo inatteso parto dei Magnifici Quattro sarebbe in realtà una specie di creatura in laboratorio, assemblata dall’Intelligenza Artificiale che ci ha abituati ormai a varcare la soglia del commiato risuscitando gli assenti come sarebbe piaciuto a Mary Shelley. Ma il caso è stavolta più complesso di quelle irritanti ( e irriverenti) forzature che sui nostri screen riesumano dalle ceneri Fred Astaire facendolo ballare sulle note di un rap oppure fanno duettare campioni del download con Ella Fitzgerald o Natalino Otto. Come accadeva in quel sequel di Blade Runner girato da Denis Villeneuve, nella sequenza in cui un ectoplasma di Elvis si esibisce ormai nel pianobar di un hotel, così non ci stupiremmo di trovare Rodolfo Valentino o Buster Keaton arruolati nel cast di una serie tv su Netflix, perché in fondo questo stupro temporale non ha perso soltanto l’effetto sorpresa, ma altresì quello delloscandalo, a mio avviso imponendo più di una riflessione sull’etica a cui dovremmo attenerci nei confronti di ciò che si coniuga al passato o al trapassato remoto. Nell’era in cui ogni cosa si è tramutata in dati, e la memoria risiede in un archivio pressoché infinito di link accessibili a chiunque, è come se assistessimo alla perpetrata violazione di tutto ciò che ha concluso il suo ciclo vitale, trovandosi suo malgrado riattivato in nome di una sfolgorante restituzione alla vita. Prendiamo dunque atto che ciò che le religioni declinano in resurrezione e reincarnazione, la tecnologia l’ha reso possibile sotto forma di un ripristino, con tutte le incognite che la materia riserva (non ultimo il senso reale di un diritto all’oblio).Dicevamo però che la vicenda di Now and then è sostanzialmente diversa, trattandosi qui non di creare ex- novo un brano sulla maniera dei Beatles (cosa che l’Intelligenza Artificiale sarebbe perfettamente in grado di fare), ma di intervenire chirurgicamente su una vecchia pessima traccia su musicassetta, registrata da Lennon con piano e voce. Era una proposta per un nuovo pezzo, poi mai realizzato anche per la scarsissima qualità del nastro, non per nulla candidato da George Harrison alla pattumiera. Qui è intervenuto il dio dell’Hi-Tech, riuscendo a separare la voce di Lennon dai ronzii intollerabili del microfono e dai bassi del piano che coprivano ogni cosa, ottenendone infine una reale voce dal passato. La sua voce, insisto, senza artifici. Il resto lo ha determinato l’onnipotente hype: il regista Peter Jackson, ideatore del boom, deve aver pensato che l’amicizia fra hobbit che faceva partire struggenti volate d’archi nel suo Signore degli Anelli poteva elevarsi al cubo se al posto di Frodo Baggins e Samwise Gamgee c’erano McCartney e Lennon. E allora come resistere al fascino cinematografico di quella musicassetta con su scritto “Per Paul”, a lui consegnata da Yoko Ono ben quattordici anni dopo l’assassinio del marito? E sia: al di là dell’effettivo interesse musicale del brano, è oggettivo che l’hype e l’hi-tech si siano stretti la mano per consentire alle masse del 2023 il singhiozzo mercificato di un nuovo abbraccio, mediaticamente esplosivo, fra quei due mitologici ex- amici da far assolutamente riappacificare, secondo il diktat spietatissimo del grande melò social in cui siamo sprofondati. La ricetta del fenomeno Now and then è quindi completa, mescolando insieme fattori molto diversi e tentando una ricomposizione di target in teoria inavvicinabili, secondo la sublime legge del marketing che traduce un prodotto in comune denominatore di una comunità. Sulle note di questo brano (e al di là di esse) si saldano la nostalgia e il revival, il pathos cinematografico e una prova muscolare tecnologica, con il forse imprevisto elemento aggiuntivo di una platea di teenager ansiosi di celebrar(si) in un mito, fosse anche quello semisconosciuto di un epico sottomarino giallo. E il trono di Spotify è assicurato.