Linkiesta, 17 novembre 2023
I govani che gridano: «Osama aveva ragione»
Siamo stati tra i pochissimi ad accorgerci subito che i cortei, le manifestazioni, il dibattito sulla guerra scatenata da Hamas contro Israele avevano preso una piega oscena, inaudita e lontanissima da quello che per decenni è stato il duro ma legittimo scontro ideologico tra le ragioni dello Stato di Israele e quelle altrettanto comprensibili dei palestinesi.
Mai prima del 7 ottobre 2023 le piazze europee e americane si erano schierate a favore delle ragioni dello sterminio degli ebrei, perché questo è il senso esatto della piattaforma «Palestina libera dal fiume al mare» invocata nei cortei a prescindere se i manifestanti ne siano consapevoli o no. Mai si era visto un impegno militante nelle strade occidentali a strappare con rabbia i volantini con i nomi e i volti degli oltre duecento ostaggi di Hamas, anche a cura di alcune organizzazioni in difesa dei diritti umani.
Ci siamo chiesti perché lo facessero, quale stato di degrado morale potesse spingere un essere umano a stracciare la richiesta di rilasciare i prigionieri innocenti in mano ad Hamas, che cosa avesse a che fare questa palese infamia con le critiche al governo di Israele o con le rivendicazioni dei diritti dei palestinesi.
Le risposte sono state sconcertanti, una via di mezzo tra il negazionismo d’altri tempi (non c’è stato alcun raid di Hamas in Israele; non ci sono ostaggi israeliani a Gaza) e le teorie populiste del complotto (Hamas è Israele; sono stati gli israeliani a organizzare il raid) che hanno radici antiche nei Protocolli dei Savi di Sion, un’opera di disinformazione antisemita creata dalla polizia segreta russa un secolo fa, e nella più recente cospirazione secondo cui l’11 settembre 2001 sarebbe stato un «inside job» americano, di cui tutti gli ebrei erano stati avvertiti, e non opera di Osama Bin Laden e dell’islamismo radicale.
Il cerchio si è chiuso in modo scioccante su TikTok (se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere). Nei giorni scorsi, la famigerata «Lettera all’America» inviata da Osama Bin Laden ventuno anni fa, nel primo anniversario della strage delle Torri Gemelle, di Washington e della Pennsylvania che ha ucciso tremila persone, è diventata virale sul social network cinese grazie alla diffusione di migliaia di video di ragazzi occidentali apparsi sconvolti, ma anche esaltati, dall’aver scoperto che le parole di Bin Laden fossero così di buon senso, così toccanti, così vicine alla loro attuale inquietudine che li porta a cantare «Palestina libera dalla riva al mare», a strappare i manifesti degli ostaggi, e a cacciare gli ebrei.
La «Lettera all’America» di Bin Laden che i ragazzi di TikTok si scambiano voluttuosamente anche su altri social accusa l’America e gli ebrei di qualunque nefandezza del mondo, parla anche di difesa dell’ambiente, di oppressione della Palestina che necessita di essere vendicata, fino a giustificare l’assassinio degli innocenti e a proporre come unica strada di salvezza la trasformazione degli Stati Uniti in uno stato islamico.
E così, improvvisamente, per la generazione più ignorante della storia recente, non solo il progetto genocida di Hamas è molto figo, ma Bin Laden aveva ragione, aveva visto giusto, ci aveva avvertito mentre uccideva tremila persone, e noi siamo cresciuti nella menzogna e il Guardian che, preoccupato, ieri ha tolto dal sito le farneticazioni jihadiste di Osama, entrate in tendenza su Google, è la prova che l’occidente è manovrato dagli ebrei e che bisogna mobilitarsi per raddrizzare lo stato delle cose.
Benvenuti nella nuova era del grillismo diventato globale, del trumpismo in mano ai giovani, del populismo jihadista delle verità alternative. Nell’era dell’antisemitismo occidentale del XXI secolo.
Non è che l’inizio, della fine.