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 2023  novembre 17 Venerdì calendario

Ritratto di Pedro Sánchez

Pedro il perseverante, Pedro il bugiardo, il furbo, il sopravvissuto, el guapo . Gli aggettivi si sprecano quando si parla del premier spagnolo. La sinistra europea, da oggi, dovrebbe chiamarlo Pedro il salvatore. Perché Sánchez, stavolta, non ha evitato il peggio solo a se stesso e al suo Partito socialista – usciti con le ossa rotte dalle amministrative di maggio e ancora al governo, seppur zoppicanti —: grazie al suo istinto machiavellico ha tolto dai guai pure il fronte che governa a Bruxelles, e che rischiava di veder scivolare gli alleati popolari verso l’abbraccio dei conservatori.
Sánchez oggi non è più il giovane politico belloccio e scamiciato – con laurea e doppio master in Economia e Leadership pubblica – che da attivista semi-sconosciuto ai più, protetto dell’ex premier José Zapatero, riuscì a farsi eleggere segretario generale del Psoe nel 2014. Lo chiamavano «il candidato della strada» perché percorse migliaia di chilometri in macchina per farsi conoscere dalla base. Con lui alla guida, però, il Psoe iniziò il declino, travolto dall’irruzione del populismo di sinistra, e nel 2016 fece il record negativo alle elezioni. Il leader ex enfant prodige rifiutò di astenersi al voto di investitura del popolare Mariano Rajoy e si dimise. Finito? Macché. Con astuzia riuscì a riprendersi il partito, sconfiggendo i baroni dell’Andalusia che lo volevano per sempre fuori dai giochi. Primo presidente del governo eletto dopo una mozione di censura nel 2018, l’anno dopo riportò il Psoe alla vittoria elettorale.
«El superviviente», il sopravvissuto sale ora su quella che forse sarà la sua ultima montagna russa. Anche stavolta ha giocato d’azzardo, convocando a sorpresa le elezioni anticipate all’indomani della batosta delle sinistre al voto locale del 28 maggio. Tutti lo diedero per morto, politicamente. Il Machiavelli del XXI secolo, invece, ce l’ha fatta ancora. Alle politiche del 23 luglio ha perso ma non abbastanza per farsi sfilare la premiership dal popolare Alberto Núñez Feijóo, che controvoglia ha dovuto allearsi con l’estrema destra di Vox.
Consapevolezza
Su di sé: «Mentirei se dicessi che non ho ambizioni, la politica si porta nel sangue»
Il combattente Sánchez oggi veste i panni dello statista con i capelli sapientemente ingrigiti, ma il corpo mai bolso. Ha scritto un saggio per confermare la sua fama, «Manuale di resistenza», e forse ipoteca un posto di prima fila nell’Unione europea. Sa che il suo governo – fragile, in coalizione con una sinistra divisa, appoggiato da un esercito di piccoli alleati di convenienza, sempre pronti a pugnalarlo – potrebbe non durare a lungo. Durante le estenuanti trattative per formarlo, ha pensato bene di restare nell’ombra delegando ad altri il compito di tessitori. Se avessero fallito, non si sarebbe sporcato troppo le mani. Alla fine, a lui è bastato accettare l’amnistia che aveva sempre rifiutato, scendendo a patti con i catalani. Anche la flessibilità è una dote politica, se il popolo può perdonarti.
Quasi quattro anni fa, ha formato il primo governo di coalizione con Unidas Podemos, con un margine di appena due voti. Da ieri, basta che un deputato gli volti le spalle e il suo esecutivo rischia di cadere. I catalani hanno già cominciato a punzecchiarlo. Alle Cortes, lui ha risposto con un saluto in quattro lingue a chi gli ha permesso di restare in sella. Moita grazas (galiziano). Moltes gràcies (catalano). Eskerrik asko (basco). Muchas gracias (castigliano).
Sposato dal 2006 con la docente universitaria Maria Begoña Gómez Fernandez, e padre di due figlie, Ainhoa e Carlota, ama ancora giocare a basket come ai tempi del liceo. E ogni mattina corre, come nella vita politica. Il traguardo non si sa ancora bene dove sarà.