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 2023  novembre 17 Venerdì calendario

Una storia omosessuale durante la Prima guerra mondiale


È un’epopea che comincia a Sarajevo nel 1914 e si conclude a Shanghai nel 1949, il nuovo romanzo di Aleksandar Hemon, Il mondo e tutto ciò che contiene,in uscita con Crocetti, nella traduzione di Maurizia Balmelli (pagg. 368, euro 20). Hemon è nato 59 anni fa nella capitale della Bosnia, lasciò il paese nel 1992, vive negli Stati Uniti, scrive in inglese, è considerato uno dei più brillanti autori della sua generazione e questo libro è un capolavoro. I protagonisti sono Pinto, un farmacista ebreo di Sarajevo e Osman, un musulmano. Arruolati nell’esercito austroungarico, combattono nella Prima guerra mondiale e cadono prigionieri dei russi. Segue la fuga dall’Asia centrale attraverso il deserto verso la Cina, con in mezzo storie di spie inglesi e bolscevichi. Ma soprattutto i due sono amanti. In questa intervista Hemon racconta di come si scrive una grande storia d’amore in mezzo a una catastrofe. O se vogliamo: questa conversazione è come una visita nella cucina di un grande chef.«Mi ci sono voluti tredici anni per scrivere questo romanzo, e moltissimi testi per documentarmi.All’inizio Osman e Pinto erano solo due amici di Sarajevo. Ho pensato a un tragitto da Sarajevo a Shanghai e alla nostalgia di casa, alla loro voglia di tornare. Ma a un certo punto ho capito che sarebbe stato più interessante se i due fossero amanti e che il loro amore avrebbe comportato una complicazione utile per la narrazione. E se i due si amano, la domanda è come si amino nelle circostanze estreme: in guerra, nel deserto, in fuga. A un certo punto Osman se ne va e Pinto per amarlo lo sogna e lo immagina».Riveliamo un pezzo della trama.C’è una bambina, Rachela, nata da una donna con cui ambedue comunque ebbero rapporti. Pinto pensa che sia figlia di Osman ma la tratta come se fosse figlia sua, quando Osman scompare.«Non ha importanza di chi sia figlia.L’importante è che Pinto riversa su Rachela il suo amore per Osman. In mezzo alla catastrofe l’amore continua».Perché l’amore è così importante? Non sono molti gli scrittori che lo direbbero. Il suo libro, pur raccontando la fine di un mondo non ha niente di nichilistico ma anzi è un inno alla vita.«Intanto, sono convinto che una trama così congegnata sia non solo più interessante per l’autore ma è emotivamente più gratificante per il lettore. Ogni libro che ho scritto tratta d’amore. E in ogni libro che scrivo c’è un momento in cui comincio ad amare i miei protagonisti, imperfetti come sono. E quando comincio ad amarli, la storia subisce un’accelerazione dal punto di vista emotivo e intellettuale. Amo l’amore fra Osman e Pinto. Ha detto nichilismo. In questo mondo c’è tanto Male. Ma ci sono sempre casi come la storia di Osman e Pinto.Tuttavia la domanda vera che mi pongo è: cosa può fare l’amore in simili situazioni? Può aiutare asopravvivere? O invece rende disarmati? Non lo so. Ecco perché ho scritto un libro in cui esplorare i limiti dell’amore».Conclusione?«Osman, Pinto e la figlia Rachela amano per sopravvivere all’apocalisse».I grandi scrittori amano dire che il romanzo è fatto di parole non d i idee. Lei quindi non pensava alla guerra ma ai protagonisti?«Penso di sì. Quando scrivo creo uno spazio narrativo, lo spazio in cui i protagonisti vivranno. Sapevo che sarebbero finiti a Shanghai. Ma non sapevo come avrebbero agito. Sapevo che sarebbero stati in Galizia, a Tashkent, avrebbero attraversato il deserto ma cosa avrebbero fatto in viaggio non lo sapevo».A pensarci bene, tutte le narrazioni cominciano con il protagonista che parte e poierrando succedono delle cose.«La narrazione primaria è sempre migrazione e movimento. Basti pensare aL’epopea di Gilgamesh, aDon Chisciotte, alla vicenda di Abramo. Persone lasciano la casa, conoscono altri mondi e altre popolazioni e questa esperienza genera narrazione. Le nuove possibilità narrative richiedono un nuovo linguaggio. Non esiste linguaggio senza migrazione, anche se migrazione immaginaria. Tu, lo scrittore, devi lasciare la casa e la sicurezza e avventurarti in un terreno imprevedibile, sconosciuto.Poi torni a casa, rifletti e racconti quello che ti è successo o quelli che non sono tornati. È quello che voglio fare: l’epica di rifugiati e migranti».Ad Auschwitz e Kolyma c’era chi è sopravvissuto per raccontare: Primo Levi e Varlam Šalamov.«C’è sempre un aspetto ditestimonianza nella sopravvivenza. E insisto, la narrazione è anche un modo per trasmettere amore. Il tuo passato lo condividi con coloro che ami. Se sei un rifugiato non hai altro modo di conservare le tue storie che in narrativa o in musica. La mia famiglia, quando lasciò la Bosnia per il Canada non poteva portare con sé né certificati né foto. Hanno portato le loro storie e canzoni. È un’etica che hanno potuto trasmettere a me».C’è nel libro nostalgia per un mondo scomparso, per le città dove al mercato si parlavano sei lingue.La nostalgia è quasi sempre per le situazioni che non abbiamo vissuto.«Nostalgia è un’utopia retroattiva.Immaginare un passato senza sofferenze. Quando la nostalgia si fa collettiva parliamo di nazionalismo e spesso emerge con violenza».Zygmunt Bauman la chiamava “retrotopia”. I Balcani ne sono esempio.«Gli esempi sono tanti e attuali. Ma esiste anche una nostalgia intima, legata al non ritorno e quindi in funzione dell’assenza. Per noi scrittori, c’è una nostalgia di stampo proustiano. Un romanzo per capire cosa sia l’amore. O come poesia: ricordare chi siamo, o nostalgia per l’amante assente, per il suo corpo.Non posso immaginarmi un amore senza nostalgia».Ci sono tracce di tanti scrittori nel romanzo: da Zweig (“Il mondo di ieri”) a Pasternak (“Il dottor Zivago”), a Conrad (“Cuore di tenebra”).«Ho letto testi talmudici e midrashim. Dio creò il mondo e poi lo distrusse. E poi creò questo mondo, ma lo può distruggere in ogni momento. Ma se il passato è segnato da una catastrofe cosa ricordiamo: la catastrofe o anche l’amore?».Marek Edelman, sopravvissuto al Ghetto di Varsavia, scrisse un libro: “C’era l’amore nel ghetto”.«È una risposta».