La Stampa, 17 novembre 2023
Intervista a Marco Tronchetti Provera
Subito più investimenti, sì al salario minimo e al taglio strutturale del cuneo fiscale, avanti con un nuovo Patto di Stabilità, mentre è giusto ragionare su privatizzazioni e riforme costituzionali, a patto che si tuteli la figura del capo dello Stato. E lo sciopero generale che riscalda le piazze? «Ci sono delle ragioni, ma va tenuto presente che la coperta è corta», risponde Marco Tronchetti Provera, mentre invoca un’Italia più determinata in una Ue più integrata. «Senza crescita e aumento della produttività – dice il vicepresidente esecutivo Pirelli – l’Europa è perdente». E anche noi non ce la caveremo bene.
Presidente, arriva la recessione. O no?
«È un miracolo che non si sia manifestata già in modo significativo. Il nostro cuscinetto sono i fondi del Pnrr e quelli strutturali europei: la manovra imposta dal governo va valutata nell’ambito delle risorse generali di cui disponiamo. Ma qui si introduce l’eterno tema dell’attuazione dei progetti approvati che devono essere realizzati bene e in fretta».
Quanto male può andare?
«Guerre a parte, dipende da come si muoverà l’economia cinese e di conseguenza l’economia tedesca che è molto dipendente da Pechino, come noi che siamo molto dipendenti da entrambe. Abbiamo le munizioni per evitare una grave recessione, ma siamo condizionati da un quadro generale in cui siamo spettatori e non attori».
Che si fa, allora?
«Tutto questo dovrebbe far riflettere, l’Italia e tutta l’Europa, sulla necessità di cambiare velocità, sull’integrazione tra Paesi membri e sull’affidare più ampi poteri alle sue istituzioni. Con le regole attuali, le strategie sono affidate al Consiglio europeo, che non decide perché è frenato dalle esigenze politiche di breve periodo dei diversi paesi. Fanno politica locale e ognuno è l’alibi dell’altro. In Europa il potere decisionale è frammentato e abbiamo solo un mercato e una moneta comuni. A differenza di Cina e Stati Uniti, non abbiamo le necessarie materie prime, né un esercito o una politica estera comune. Senza una maggiore integrazione non possiamo essere competitivi».
Gli investimenti sono fermi, la domanda è piatta e i risparmi crescono. Come può reagire l’Italia?
«In un ambiente recessivo, dove l’unica leva che viene utilizzata è monetaria, a livello macro in Europa le possibilità di superare un rallentamento dell’economia sono basse. L’inflazione era partita in modo apparentemente sano per la ripresa post pandemia, ma dopo la guerra in Ucraina e la fiammata delle materie prime, è stata usata solo la leva monetaria. In America è andata diversamente. L’inflazione è rimasta principalmente da domanda. L’hanno bilanciata aumentando i tassi, ma anche con una abbondante iniezione di dollari».
Se dovesse fare una sola cosa in Italia, cosa vorrebbe?
«Investimenti e quanto possibile per realizzarli nei tempi previsti. Questo, facendo leva sulle risorse a nostra disposizione, sul Pnrr e sui fondi strutturali europei attraverso la programmazione della Finanziaria. E anche supportando lo sviluppo con iniziative come Industria 4.0 o provvedimenti come l’Ace».
Come valuta la manovra di Giorgia Meloni?
«È difensiva in una stagione in cui la coperta è corta. Molto dipende dai cambiamenti europei. Se si torna all’antico, al vecchio Patto di stabilità, l’Italia si troverà in una posizione complessa. Un nuovo Patto ha per noi un’importanza vitale. Dovrebbe favorire gli investimenti produttivi e non basarsi solo su una visione di breve termine e di rispetto di parametri che solo alcuni possono rispettare».
Privatizzazioni? È il momento di vendere quote di Poste, Eni, Ferrovie?
«È comprensibile che ci sia un ragionamento».
È anche consigliabile?
«Nel momento in cui, in applicazione dei regolamenti europei, esiste il Golden Power e quindi si possono proteggere gli asset strategici, è possibile avviare dei percorsi di privatizzazione».
Con tutti problemi sul tavolo, Giorgia Meloni spinge per le riforme costituzionali e il premierato. Buona idea?
«È il genere di cose per cui “non è mai il tempo giusto”. La riforma presentata dal governo, a detta di molti esperti, presenta delle evidenti carenze. Detto questo, che ci sia un’anomalia di sistema per cui i governi cadono con una continuità quasi inquietante ogni anno è un dato di fatto. A buon senso, vanno fatte delle riforme. Se fosse possibile, sarebbe bene che maggioranza e opposizione convenissero per sistema le regole del gioco in modo tale da garantire una piena stabilità al paese. Ma capisco di entrare nell’area dei sogni».
Cosa le piace di meno di questa riforma?
«È illogico prevedere che il presidente del Consiglio eletto possa essere sostituito da un parlamentare della maggioranza, affidando di fatto a quest’ultimo il potere di sciogliere le Camere. E poi va tutelato il Presidente della Repubblica perché in Italia, nei momenti difficili, ha un ruolo di garante super partes nella gestione dei conflitti politici. È una figura preziosissima».
Oggi è giorno di sciopero. Lo scontro politico è forte.
«C’è un’anomalia. Si è creato un garante, e tutti erano d’accordo. La sua neutralità va garantita e la sua azione va rispettata. Quello che dice il garante ha un senso, come ce l’ha quello che dice Landini. Alla fine, tutto diventa motivo di conflitto politico, manca la condivisione di che paese vogliamo e non si costruisce mai. Se abbiamo istituzioni di garanzia dobbiamo utilizzarle e rispettarle e se non funzionano dobbiamo riformarle».
Doveva insomma parlare solo il garante?
«Sì. Altrimenti diventa campagna elettorale. Giusto avere un garante e che il garante faccia il garante. E la politica dovrebbe solo riferirsi alle sue decisioni».
Che segnale è questo ritorno alle piazze?
«Ci sono delle ragioni, ma il dibattito andrebbe fatto tenendo conto della realtà e che la coperta è corta».
Lei è favorevole al salario minimo? Immagino che Pirelli non paghi nessuno meno di nove euro.
«Certo che no, i salari minimi da noi sono decisamente più alti. Non c’è una ragione obiettiva per essere contro, nessuna persona deve essere sfruttata. In certi settori, e in certi mestieri, il salario minimo rappresenta una tutela, anche se c’è chi può considerarlo una limitazione del suo potere negoziale».
Teme per la tenuta sociale del Paese?
«No!»
Perché?
«Il tessuto sociale italiano tiene, tengono i suoi comuni e le sue imprese. La gente è riuscita a reagire dopo la pandemia, dimostrando di avere una sua struttura diversa da quella francese o tedesca. Siamo fatti di piccole aziende e individui che, comunque, hanno uno loro energia e una propria capacità di sviluppo e di crescita. Per fare un esempio, Pirelli ha fatto un accordo con la regione Puglia, l’Università di Bari e il Politecnico di Bari e ha trovato dei giovani straordinari. Ne abbiamo assunti una trentina, totalmente integrati con la rete di giovani che lavorano nel nostro mondo, ed entro i prossimi due anni diventeranno ottanta. Sono davvero bravi! Sono la prova che in Italia, ovunque nel Paese, c’è chi riesce a trainare e non è solo Milano».