Avvenire, 17 novembre 2023
Franco Zeffirelli e Maria Callas, Storia di una passione
Coetanei. Nati entrambi nel 1923. Lui il 12 febbraio, lei il 2 dicembre. Amici. Da sempre. Da quando la musica li ha fatti incontrare. Lui, assistente di Luchino Visconti. Lei la più grande cantante di sempre. Lei. E poi ci sono tutte le altre. Brave, bravissime, ma mai come lei. Lei è Maria Callas. Nasceva a New York il 2 dicembre 1923. Lui è Franco Zeffirelli. Custode delle memorie di Maria. Perché la Callas, la Divina, l’artista, la conosciamo tutti, grazie ai dischi, alle incisioni che hanno fatto la storia, ai filmati di concerti e a quel secondo atto della Tosca di Londra proprio con la regia del maestro fiorentino. Zeffirelli conosceva la donna. «Che aveva tanto sofferto» ci confidava il regista in una delle tante chiacchierate. Si parlava di Aida o del progetto, mai realizzato, di un film sulla Divina Commedi di Dante. Ma si finiva sempre a parlare di Maria.
«Mi è apparsa la prima volta in una maniera spaventosa: ero a Roma, lavoravo con Visconti, era il 1948 e amici mi parlarono di una “cicciona greca” dalla voce straordinaria. Cantava Kundry in Parsifal di Wagner e corsi a vederla: mi innamorai di quella voce e non l’ho più mollata. Ho fatto la fila in loggione, come i fans più accaniti, per vederla, da Firenze a Vienna perché con Maria si diventava tutti bambini. Poi l’ho conosciuta e fu un disastro: era una donna grossolana, un’americanaccia che con il tempo e la grande forza di volontà si è affinata, nel fisico e nel carattere». Nata a New York da una famiglia greca. «Maria era ortodossa, molto credente, convinta: ricordo le numerose volte in cui si faceva il segno di croce. E poi era una donna molto pudica: tutti la inseguivano in cerca di pettegolezzi, ma lei si è sempre sottratta. Era una donna esuberante che dava molta energia, ma che ne pretendeva molta, come Anna Magnani o Elizabeth Taylor». Diva. «E di fronte ai giornalisti, ai fans mi diceva: “Franco fai tu, pensaci tu”. Era un continuo tutelarla salvo poi essere ripagati con delle grandi scenate davanti a tutti, arrabbiature che poi, puntualmente, finivano in una risata».
La donna e l’artista. «La Callas ha cambiato la faccia del melodramma, ha rivoluzionato il recitar cantando. Ha messo la parola fine ad un’epoca, quella delle cantanti grasse e ferme in scena, aprendone un’altra dove l’interpretazione musicale non bastava più, occorreva la presenza scenica: in questo senso fu eccezionale la sua decisione di perdere caparbiamente 30 chili per darci personaggi più credibili. In scena era viva, moderna. Dopo Maria certe sciatterie in scena non si possono più fare. Oggi ancora tutti i cantanti
guardano a lei» rifletteva Zeffirelli. E se gli chiedevi se in giro vedeva eredi della Divina era deciso. «Non mi pare proprio. Certo in qualche cantante vedo una, due qualità di Maria, ma mai un mix eccezionale come c’era in lei. Maria è il frutto di una congiunzione di stelle che capita una volta ogni mille anni. Detto questo sono convinto che la sua eredità è viva, e non solo tra i soprani: tutti cantanti, tenori o bassi che siano, hanno appreso la sua lezione, hanno studiato le sue incisioni e fatto tesoro della sua tecnica».
L’artista Callas, che a Zeffirelli, diceva spesso il regista, aveva insegnato «a portare in scena tutti i colori, tutte le tinte di un personaggio. Mi ha insegnato che il teatro è fatto di grandi emozioni che non bisogna avere paura di mostrarle». La riprova? Il filmato del secondo atto della Tosca di Londra del 1964. «Di Maria abbiamo video di concerti, ma nulla di lei in scena: questo secondo atto, con la mia regia, permette di vedere come Maria costruiva un personaggio. Entra in scena ancora palpitante per il successo raccolto nella cantata e si trova di fronte il suo Mario prigioniero e torturato. Qui la donna, la diva si sgretola e si fa avanti un sentimento di pietà. Di fronte alla richiesta del suo amore per salvare Cavaradossi ha la forza di ribellarsi compiendo l’atto estremo dell’omicidio di Scarpia. Maria rendeva tutte queste sfumature in modo unico» ricordava Zeffirelli. Che “soffriva” di nostalgia. «Nostalgia di bei momenti vissuti insieme e anche dei periodi difficili, durante i quali Maria mi è stata molto vicina: quando si aveva bisogno lei c’era sempre e in modo discreto senza clamore, senza pettegolezzi. Certo, dopo l’ingresso nella vita di Maria di Onassis è stato difficile continuare l’amicizia con lei. Poi, quando l’armatore l’abbandonò, ci siamo riavvicinati». La voce che l’aveva abbandonata fu un colpo durissimo. «La voce era il suo strumento di difesa, la stampella alla quale appoggiarsi, l’arma che usava per combattere e vincere. Quando il suo gioiello si è rotto le si sono annebbiati tutti i significati del vivere». Tanti racconti. Poi la stessa frase. «Quando penso a Maria mi commuovo ancora». E le lacrime offuscavano l’azzurro dei suoi occhi.