Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  novembre 17 Venerdì calendario

Callas, l’intramontabile


«Più di tutti ha trionfato Maria Callas, questo fenomenale soprano leggero tragico, disaporeespressionistico:unmiscuglio dicuinonavevamoprecedenti. SacerdotessaePiziainvasata,quando non canterà più lascerà dietro di sé una leggenda». Eugenio Montale, il 7 marzo 1955, descrive così l’interpretazione di La Sonnambula di Vincenzo Bellinidapartediunacantanteche oggi – a 100 anni dalla nascita – rimane, insieme, verità e leggenda. Quello spettacolo aveva la regia di Luchino Visconti: «La Callas – dirà il regista – è un fenomeno teatrale completo: musicale e drammatico. Credo che di casi simili se ne trovino solo due o tre in tutta la storia del teatro lirico: la Grisi, si dice, poi la Pasta e la Malibran». Ma di Giulia Grisi, Giuditta Pasta, Maria Malibran, di altre favolose cantanti dell’Ottocento non abbiamo documenti sonori o visivi. Di lei sì, e uno sta girando nelle sale cinematografiche in questi giorni: Callas – Parigi 1958, il docufilm di Tom Volf che ha provveduto a un sapiente restauro della trasmissione della televisione francese del 19 dicembre 1958, quando lei debuttò all’OpéradiParigi.Cantòtrearie d’opera e, nella seconda parte, con Tito Gobbi interpretò il secondo atto di Tosca. Avvolta in un vestito di velluto rosso, con una stola che lo copre/scopre lespalle,entrainpalcoscenicocon un incedere regale. Rimane immobile, muove soltanto mani e occhi; i suoi scuri occhi da pitonessa, esaltati dal truccodellepalpebre.Ènelpersonaggio – Norma, Leonora in Trovatore, Rosina nel Barbiere di Siviglia- prima ancora di aprire bocca. Quegli occhi “grandiedespressivi”cheavevanocolpito, assieme alla “voce eccezionale”, Leonidas Zoras, un direttore d’orchestra attivo al Conservatorio Nazionale diAtenenel1937:MariannaKaloyeropoúlou, come si chiamava allora, primadiabbreviareilcognomeinCallas, aveva 14 anni e alle spalle una complicatavicendafamiliare.Concepita ad Atene, nata il 2 dicembre 1923 aNewYork,dinuovodiritornoinGrecia assieme alla sorella e alla madre, dopo la separazione dei genitori: lui, George, un farmacista che aveva successo con le donne, lei, Evangelia, che perse prestissimo Vassilis, l’unico figlio maschio, e fu tra le prime a capire, eap u nt a re,s u lt a l e nt od e l l as e c o ndogenita per uscire da una situazione di precarietà economica che l’irregolare assegnoinviatodall’exmaritonon bastava a superare. Già allora la ragazzina dimostrava una delle sue caratteristiche dominanti: la volontà. Studiava pianoforte e al pianoforte si accompagnava cantando, tra un trasloco e l’altro. Era stata necessaria una borsa di studio per iscriversi al Conservatorio, dove ebbe le prime lezioni da Maria Trivella. Che – a quanto scrive Stephen Hastings nel recente Maria Callas – La formazione dell’artista (1923-1947). Zecchini editore – le chiese subito: «Che tipo di voce hai? – Mi dicono che sono un contralto – Vuoi studiare canto? – Sì, è il mio unico sogno». Pochi mesi dopo, il 4 luglio 1938, debuttava in un concerto offerto dall’Ambasciata statunitense in Grecia per festeggiare l’Independence day. Due persone si riveleranno fondamentali per superare i limiti vocali nel registro centrale e per individuare il repertorionelqualerimaneinsuperata. La cantante e didatta spagnola Elvira De Hidalgo, conosciuta ad Atene, che così descriverà il primo incontro: «Quella voce, io la cercavo da tempo. Era come essere giunti ad un appuntamento. Chiusigliocchi.Eraunaviolenta cascata di suoni, ancora incontrollati, ma drammatici, emozionanti. Quandoriapriigliocchiebbidavanti la ragazzona dall’aspetto disperante. Ma ero certa che sarei riuscita a trasformarla». Alta 1,72, grassa, piena di brufoli, incurante del look. Così era l’adolescente Maria. La De Hidalgo curòl’aspettobelcantisticoelaaccompagnò nei primi anni della carriera che, dopo gli esordi ateniesi del 194445 e il debutto italiano all’Arena di Verona nel 1947, conobbe il punto di svolta grazie all’incontro con un grande direttore artistico: Francesco Siciliani, che mise a fuoco il miracolo di quella voce, un soprano drammatico dicoloratura,un’arabafenicechefinalmente si manifestava. Poteva essere tragica e brillante, inebriarsi nelle agilità del belcanto e far vibrare le corde gravi della tragedia. Un’apparizione che molti non compresero: “Il personaggio viene obbligato a una mimica addiritturaviolentachefatalmenteandrà a danno dei risultati vocali”, scrisse il critico Teodoro Celli dopo averla ascoltata e vista nella Traviata con Visconti: «Un gran disastro per l’opera e il pubblico», secondo Beniamino Dal Fabbro. Al contrario, Fedele D’Amico capì che era nata «la più sensazionale cantante attrice che oggi conti il teatro lirico». Questo, tuttora, la rende ineguagliata.Fareteatromusicalenella econlavoce.Tuttelebiografieriportano l’11 novembre 1974 come data dell’ultimo concerto, a Sapporo, in Giappone, conclusione di una lunga tournéeinternazionaleiniziatal’anno prima assieme al tenore Giuseppe Di Stefano, il suo ultimo compagno, in una relazione che è arduo definire felice. La grande carriera si era interrotta molto tempo prima, già all’inizio dei Sessanta. Nel 1959, dopo dieci anni di matrimonio, si separò dall’industriale veneto Giovanni Battista Meneghini, periniziareunarelazionecon l’armatore greco Aristotele Onassis, che non volle mai sposarla e che più cogenti traiettorie finanziarie portarono a lasciarla per Jacqueline, vedova di John Kennedy, il presidente Usa assassinato a Dallas il 22 novembre 1963. Sessant’anni fa. Nel 1969 Pier Paolo Pasolini la scelse per interpretare Medea. Lei, anni prima, aveva cantato l’opera di Cherubini: uno dei suoi ruoli ineguagliati. Nel film, non canta, non parla. Appare, regalmente. Con Pasolini viaggiò in Africa, conobbe la madre e la cugina, forse se ne innamorò, si rifugiò a Parigi. Accettò l’invito della Juilliard School di New York per tenere delle masterclass. Ne esiste la registrazione: quando interpreta l’ultima aria di Madama Butterfly, il momento della sua morte, ritorna ad essere quella Pizia di cui parlava Montale. La voce proviene da ancestrali cavità femminili. Marco Beghelli, nella dettagliata voce che le ha dedicato per il Dizionario biografico degli italiani (disponibile on line) menziona l’ipotesi del suicidio, il 16 settembre 1977, nell’appartamento parigino di Avenue Mandel. Non si può confermare, né smentire. Aveva 54 anni. Era stata «la più grande e solitaria diva che abbia mai conosciuto», come la definì Leonard Bernstein.