la Repubblica, 16 novembre 2023
Io, ebreo, da sempre condannato a morte
Una condanna a morte pende sulla mia testa. Nulla di nuovo. Ce n’era una quando avevo un anno, quando ne avevo 10 e poi 20. Tutta la vita. Nulla di sorprendente: sono ebreo.
Su ogni ebreo pende una condanna a morte. Ottant’anni fa i nazisti cercavano ogni ebreo per ucciderlo, e prima di loro molti altri. Oggi i nazisti sono stati sconfitti, gli ebrei sono tornati dall’esilio in patria, ma per quanto riguarda quella taglia sulla testa, nulla è cambiato. Perché ci sono altri impegnati al massimo nel raggiungere lo stesso obiettivo: eseguire la condanna a morte che pende sugli ebrei.
Israele è l’unico Paese al mondo ad essere minacciato di annientamento. Solo gli ebrei si trovano in questa condizione, da generazioni. Ogni ebreo che nasce, è condannato a morte dal giorno in cui è venuto al mondo. Una volta, in una convegno di scrittori in Europa, feci questa affermazione, e un poeta svedese si mise a filosofeggiare: “Non è forse vero per ogni persona dal momento della nascita?”. Una signora dal pubblico, non ebrea, prese la parola: “Durante la seconda guerra mondiale c’erano migliaia di ebrei qui sull’isola” – (eravamo a Rodi) – “e un giorno i nazisti li rastrellarono tutti e li uccisero”. La signora mi risparmiò la spiegazione: qualsiasi persona di buonsenso capisce che per uno svedese, italiano, americano, indiano, una simile affermazione può rappresentare un’argomentazione filosofica. Ma per un ebreo è una cruda descrizione di una realtà fatta di costante persecuzione, perché ci sono sempre popoli e organizzazioni che investono tutti i loro soldi e tutti loro mezzi per un unico obiettivo: uccidere gli ebrei. Uccidere me, i miei figli, tutti gli ebrei intorno a me.
Gli ebrei non sono riusciti a liberarsi da questa condanna fatale. Una cosa, però, è cambiata: da quando esiste lo Stato di Israele, chi uccide gli ebrei la paga molto, molto cara. Per la prima volta gli ebrei possono difendersi.
L’antisemitismo genocida non è scomparso. Trova solo nuove ragioni d’essere. E qualora non esistano vere motivazioni per odiare, ci sono sempre ottime menzogne per crearne. Le bugie sono così tante e varie che ne sono sopraffatto. Non si capisce che non esiste alcuna occupazione israeliana nella Striscia di Gaza: dopo il disimpegno unilaterale di Israele dalla Striscia nel 2005, i palestinesi erano liberi di farne ciò che desideravano, ma invece di costruire un’economia e un futuro, hanno deciso di investire tutto nella distruzione degli ebrei in Israele. Il mondo ignora l’assurdità del termine “campi profughi” palestinesi, perché lì non vivono i profughi, ma i nipoti e i pronipoti di questi. A differenza dei criteri stabiliti dal diritto internazionale per tutti gli altri milioni di profughi del mondo, solo per i palestinesi lo status di profugo passa di generazione in generazione.
A questo proposito, ho un esempio tratto dalla recente storia italiana. Quando gli italiani mi parlano dei campi profughi palestinesi, chiedo loro aggiornamenti sui profughi italiani dall’Istria e Dalmazia, dopo la seconda guerra mondiale. “È stato terribile vederli scappare”, mi rispondono.
“Mi potresti portare a vedere i loro campi profughi”, chiedo. “Non ne esistono”, mi viene risposto.
Se ricordo bene, la fuga di centinaia di migliaia di italiani dalla Dalmazia, dall’Istria e da Fiume avvenne più o meno nello stesso periodo in cui i palestinesi lasciarono lo Stato d’Israele, dopo aver fallito nel loro tentativo di sterminare gli ebrei.
“Come mai non ci sono campi profughi italiani? Dove si trovano i profughi?”, chiedo.
“Sono stati assorbiti in Italia”. Mi rispondono. E subito capiscono la menzogna che si cela dietro al termine “campi profughi” palestinesi, che esistono ancora a 75 anni dalla guerra. I profughi palestinesi non si sono rifatti una vita, nonostante gli ingenti sovvenzionamenti della comunità internazionale, e i loro pronipoti sono ancora nutriti dall’odio. L’odio irrazionale per gli ebrei.
In questi momenti in cui scrivo, case di ebrei in Europa vengono contrassegnate con il simbolo della Stella di Davide. E non per proteggerle, ma per indicare dove sono gli ebrei da uccidere. È frustrante apprendere che a un festival di fumetti in Italia, un contesto che dovrebbe farsi foriero di creatività e amore, si palesi l’odio per gli israeliani che si difendono dai loro carnefici.
Israele è forte, sconfiggerà il male e tornerà a prosperare. Ma ora si trova ad affrontare il brutale assassinio di oltre 1.400 bambini, giovani spensierati che era un festival di musica, donne, uomini e anziani e un numero senza precedenti nella storia moderna di rapiti tenuti in ostaggio a Gaza da ormai un mese. Il termine “bambini rapiti”, che è un concetto inimmaginabile nel mondo civile, ha oggi un’unica accezione. Ed è rivolta a bambini ebrei.
C’è anche un’altra differenza tra l’odio genocida contro gli ebrei del passato e quello che imperversa ora: oggi ci sono molte più potenze e persone nel mondo che stanno con Israele e gli ebrei. Anche in Italia. Un amico cattolico italiano mi ha scritto “siete la nostra prima roccaforte, il nostro baluardo”. So un po’ d’italiano, ma la parola “baluardo” l’ho dovuta cercare sul vocabolario e l’ho apprezzata molto. D’altro canto la mia famiglia, che ha vissuto per centinaia di anni a Gerusalemme, non voleva essere il baluardo di nessuno. Solo costruire la nostra patria e la nostra vita in pace.