la Repubblica, 16 novembre 2023
La causa palestinese è diventata una causa quasi universale
Per cominciare, un’immagine, un’immagine e una vita devastata, un’immagine e una disperazione infinita. Un padre tiene fra le braccia il figlio di tre anni morto sotto i bombardamenti. Non vuole lasciarlo. Lo stringe contro il petto. Piange e lo bacia. Piange e non dice una parola. Guarda il cielo. La morte è caduta dal cielo. Un cielo pieno di apparecchi che sputano bombe alla cieca. Chissà, forse un dirigente di Hamas si nasconde dietro ai suoi figli. Forse un raid o più raid finiranno per annientare completamente Hamas.
Che importa il numero dei morti? Che importa se le vittime sono donne o bambini indifesi? È la guerra, una guerra ad armi impari. È vero che la tragedia del 7 ottobre è stata orribile e ha ucciso anche dei bambini. Ma è ragione sufficiente per cui altri bambini, altre famiglie, debbano essere uccisi deliberatamente?
L’esercito israeliano sa quello che fa. Colpendo a caso, sa di colpire una popolazione civile costretta a lasciare le sue case e a mettersi in marcia verso un esilio incerto.
Rappresaglie e vendetta. Ma fino a quando? Quante vittime palestinesi serviranno a Netanyahu per appagare il suo desiderio e volontà di vendetta?
Pensa forse che uccidendo tante persone riuscirà a fare dei palestinesi sopravvissuti degli interlocutori per un eventuale negoziato? Non sta facendo altro che scavare ancora di più l’abisso che separa le due popolazioni. Questo abisso è riempito di odio. Prima era riempito dalla paura, oggi l’odio, un odio secco, senza parole, senza colore, senza pietà, regna fra Israele e la Palestina.
Tutti coloro che hanno sognato due Stati, che hanno elaborato piani di pace, tutti coloro che hanno operato per un «vivere insieme» nel rispetto e nel diritto, tutte queste buone volontà sono state accantonate definitivamente da Netanyahu e dal suo atroce ministro della Difesa. Eppure, è questo il momento per proporre ai palestinesi l’arresto immediato della colonizzazione e la creazione di uno Stato. È adesso o mai più. Gli europei e gli americani devono capirlo, e fare in modo che si traduca in realtà. Il presidente Macron l’ha capito e ha giustamente cambiato posizione: reclama un cessate il fuoco immediato e denuncia i massacri dei civili.
Sotto la spinta dell’emozione, all’indomani della tragedia del 7 ottobre, avevo scritto che «la causa palestinese è morta, assassinata da Hamas». Mi sono clamorosamente sbagliato. Oggi, un mese dopo, è il contrario che sta accadendo. La causa palestinese è tornata al centro della scena internazionale e centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza a esprimere il loro sostegno, e non soltanto nelle città arabe. La causa palestinese è diventata una causa quasi universale, che rappresenta le popolazioni di quello che comunemente viene chiamato il Sud del mondo, che si riconoscono nella repressione del popolo palestinese. Sembra che sia tutto l’Occidente dominatore a bombardare civili. È un sentimento che accomuna il mondo intero e i Paesi occidentali farebbero bene a prenderne coscienza e cambiare la loro politica di sostegno incondizionato alla strategia israeliana.
[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Tahar Ben Jelloun, perché Hamas è nemico dei palestinesi]]
La Palestina non può più essere nascosta sotto il tappeto della storia.
La Palestina è una terra e un popolo sotto occupazione. È una guerra esistenziale. Il diritto ad avere uno Stato, il diritto di essere riconosciuta, si impongono sempre di più, che Netanyahu lo voglia o meno. Questa presenza nel mondo è più forte di lui. Gli resta soltanto odio e morte da scaricare sulla popolazione di Gaza. Con questa politica che non pensa al dopo, che non si rende conto che ci sarà un dopo, va dritto contro un muro e il popolo israeliano gliene chiederà conto.
Le immagini di distruzione si susseguono, una simile all’altra. Distruggere anche a costo di commettere, come ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, dei «crimini di guerra», dei crimini contro l’umanità.
Al Tribunale penale internazionale dell’Aia sono stati presentati dei ricorsi. Saranno mai presi in considerazione, gli autori di questi crimini saranno mai arrestati e giudicati? No, un Netanyahu non dovrà mai presentarsi di fronte ai giudici dell’Aia, per il semplice motivo che Israele non riconosce quell’istituzione e si fa beffe delle risoluzioni delle Nazioni Unite.
La cosa importante è che oggi stiamo assistendo a un punto di svolta storico. La Palestina è lì. I suoi bambini ci guardano, i suoi abitanti esigono giustizia, riparazione e riconoscimento. Nessuno può più ignorarlo.
L’Europa e gli Stati Uniti non fanno abbastanza pressione su Netanyahu. Quanto ai Paesi arabi, in particolare quelli della regione, dovrebbero unirsi per mettere davvero sotto pressione l’Europa e l’America e smetterla di fare dei discorsi che sono solo pii desideri.