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 2023  novembre 15 Mercoledì calendario

Il patto segreto che governa i cellulari


ROMA – Il disappunto di John Schmidtlein, avvocato di Google, dice tutto. Neanche uno squalo del foro come lui, abituato a misurare le emozioni, è riuscito a trattenere una smorfia quando il testimone – un “suo” testimone – ha rivelato il segreto industriale che nessuno doveva conoscere. “Trentasei per cento”, si è fatto scappare Kevin Murphy, professore di economia chiamato a supportare le ragioni di Google e che invece potrebbe aver fornito all’accusa, il governo degli Stati Uniti, un’arma formidabile. Trentasei per centro: cioè il prezzo dell’accordo che Google ha stretto con Apple, comprando il privilegio di essere il motore di ricerca predefinito sugli iPhone della Mela e retrocedendole in cambio oltre un terzo dei relativi ricavi pubblicitari. Per l’Antitrust americano è la pistola fumante, la prova che Google limita la concorrenza, assicurandosi a suon di miliardi una quantità di traffico e dati impareggiabile. Costruendo una barriera che nessun concorrente può superare.
Uno squarcio dentro il processo economico del secolo, in cui la prima sfida tra pubblica accusa e privata difesa è stata proprio sulla trasparenza, conGoogle che ha lottato per secretare il più possibile. Arriva all’ultima settimana di dibattimento, quando sembrava che le carte fossero già tutte sul tavolo. E invece, in un rocambolesco autogol, va agli atti il valore dell’accordo degli accordi, quello che conduce a Google chiunque acquisti un iPhone. Nei giorni scorsi ilNew York Times aveva rivelato che nel 2021 erano stati retrocessi verso la Mela ben 18 miliardi di dollari. L’infortunio del professor Murphy aggiunge il valore relativo, pure più rilevante: per comprarsi quel privilegio Google rinuncia a oltre un terzo degli incassi.
Difficile dire quali effetti avrà la rivelazione sul processo. La questione da dirimere è intuitiva: Google domina le ricerche online – le nostre vite – perché è il migliore motore di ricerca o perché usa il suo potere per tagliare fuori gli altri? La risposta molto complessa, perché per provare la condotta illecita il governo americano deve dimostrare vari assunti: che la ricerca e la pubblicità sono mercati ben definiti, che Google li domina, che lo fa attraverso pratiche di esclusione. Punti che la società contesta uno ad uno, per esempio dicendo che lo status “di default”di cui gode sugli iPhone o i dispositivi Samsung non impedisce agli utenti di cambiare impostazioni e usare un motore alternativo. Argomento spalleggiato dalla stessa Apple, rivale di Google in molti campi ma qui interessatissima alleata.
Eppure, proprio perché la materia è così intricata, la decisione di Amit Mehta, il giudice chiamato a dirimere e, in caso di colpevolezza, rifare i connotati a Google, potrebbe essere influenzata anche dalle impressioni. E il valore del patto d’acciaio con Apple una certa impressione la fa. Ci vorranno settimane per il verdetto, ma nell’attesa di capire se e come cambierà la geografia del nostro mondo digitale, in cui tutte le strade portano a Google, il processo antitrust degli Stati Uniti contro il motore di ricerca qualcosa ha ottenuto: fare un po’ di luce sui trattati miliardari, spesso segreti, da cui questo nostro mondo è governato.