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 2023  novembre 15 Mercoledì calendario

Se il diritto alla vita è nelle mani dei giudici

Poveri bambini, quanti delitti si compiono in vostro nome. E per una volta non sto pensando ai bambini di Gaza, che muoiono sotto le bombe dell’esercito israeliano, né a quelli dei kibbutz, uccisi, bruciati o rapiti dagli assassini di Hamas.
L a guerra è la somma ingiustizia. Ma ci sono anche bambini vittime della giustizia, cioè delle leggi scritte per proteggerli, inventate per difenderne i diritti.
È il caso di Indi Gregory, la bambina di otto mesi alla quale sono stati staccati i sostegni vitali per un’altra di quelle sentenze di morte dei giudici inglesi che vengono sempre motivate «nel superiore interesse del minore». Chi non può guarire, non è più neanche curabile, e così la potestà sul corpicino sofferente viene strappata ai genitori per passarla a un giudice. Mettiamoci per un attimo, se mai fosse possibile, nei panni di quella madre e di quel padre: nasce una figlia, è gravemente malata, la portano in ospedale nella speranza, e da allora non è più la loro bambina, non possono neanche trasferirla in un altro ospedale, non possono nemmeno portarla a casa per lasciarla morire lì. Una vicenda che ricorda il visionario romanzo Annientare di Houellebecq, in cui i familiari di un uomo colpito da ictus devono rivolgersi a dei commandos di guerrieri della libertà, specializzati nel rapire e restituire alle famiglie i malati «intrappolati» dalla tirannia dei protocolli medici.
Eppure da decenni la bioetica ci ha insegnato ad appropriarci della vita come luogo della scelta libera e responsabile. Siamo al paradosso che la cultura democratica si batte per introdurre nei codici la difesa della libertà di morire ma accetta la negazione della libertà di vivere, per quanto terribili e dolorose siano le condizioni di vita. Abbiamo messo fine al paternalismo della professione medica del passato, quando erano i dottori a decidere per noi. Ma lo abbiamo resuscitato per decidere se e quando una vita vale la pena di essere vissuta, anche solo per un giorno, un’ora in più.
Man mano che l’Occidente relativizza i suoi valori, e in nome del pluralismo perde riferimenti etici certi, stiamo delegando sempre più ai giudici il compito di sbrogliare le matasse delle nostre esistenze, così complesse e spesso inestricabili. Una sorta di idolatria del diritto, inversamente proporzionale al declino delle altre forme di disciplina comunitaria, dalla politica alla fede, dal conflitto sociale alla deontologia professionale.
La vicenda di Padova ne è l’ultima testimonianza. Un processo a 37 bambini, o meglio alle loro 33 coppie di mamme omosessuali, che nel corso degli ultimi sei anni si sono registrate al Comune entrambe come genitrici dei figli concepiti all’estero con l’inseminazione eterologa. A norma di legge – dice l’accusa – la «seconda mamma», cioè la madre non biologica, deve cancellare il suo nome, in pratica smettere di essere ufficialmente un genitore. E se ci pensate è davvero paradossale, dopo decenni passati a migliorare le nostre leggi per sanzionare invece i genitori che disertano i loro doveri. Saggiamente ieri la Procura ha chiesto che venga investita di questa contraddizione la Consulta, con una questione di costituzionalità. Come si potrebbe chiamare diritto una norma che impone il rovescio della razionalità e dell’umanità?
Credo che i diritti dei bambini gravemente malati a morire a casa loro, o i diritti dei bambini padovani ad avere all’anagrafe due genitori, siano da considerare così «naturali» da mettere d’accordo la gran parte delle persone di buona volontà. Se la legge degli uomini lo nega, vuol dire che c’è qualcosa di sbagliato.