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 2023  novembre 15 Mercoledì calendario

Nel nascondiglio di Michelangelo

Questo è un tempio del pensiero. Lo capisci, mente ti fermi a guardare. È il pensiero di un genio, disegnato sui muri, senza immaginare che sarebbe arrivato a noi. Una piccola stanza sotto le Cappelle Medicee, due finestrelle e un pozzo sulla destra, quando scendi i gradini, perché lo chiamavano il lavamani questo posto, come spiega Ludovica Zarrilli, che ci accompagna dentro alle parole che non riusciamo a dire, trasformate dalla mano sapiente di Michelangelo in questi abbozzi di «morbido fulgore», volti, gambe, idee preparatorie. Ci era rimasto tre mesi, nel 1530, fra giugno e ottobre, per sfuggire all’ira di Clemente VII e dei Medici, dopo aver appoggiato la Repubblica. Il passato è un luogo che sbiadisce, ma anche il più stabile: non cambia mai. E qui dentro la sua potenza evocativa è immutata. Sulle pareti ci sono studi di figure intere, ma anche schizzi più o meno sommari di parti anatomiche, profili di volti e corpi ritratti in varie modalità, realizzati con carboncino, gessetti e sanguigna, un’ocra rossa che serviva a fabbricare pastelli per il disegno. Sono pensieri. Progetti. Idee. Il profilo delle gambe in posa seduta sembra essere lo studio per la statua di Giuliano de’ Medici che si trova nella Sagrestia Nuova, proprio sopra questa stanza. Il volto barbuto che appare tra gli schizzi sul muro assomiglia a uno di quelli del gruppo scultoreo del Laocoonte. C’è anche una figura umana che sembra librarsi in volo su una delle pareti. In piedi tra queste quattro mura illuminate adesso dalle luci, ma allora rischiarate appena da due finestrelle affacciate sul Canto dei Nelli, è come se si stesse sbirciando nella mente di Michelangelo. La sua “stanza segreta” è un locale angusto, un rettangolo di dieci metri per tre, con una volta alta non più di due metri e mezzo, che si trova nel complesso delle Cappelle Medicee di Firenze. Ci si accede dalla Sagrestia Nuova del Museo, scendendo per dodici ripidi scalini di pietra, con un poggiamano in ferro al lato destro che ne accompagna il cammino, troppo basso per i giganti che siamo diventati oggi.
Da oggi questo tempio del pensiero è aperto al pubblico. Peccato solo che sia praticamente già tutto prenotato fino a marzo. Francesca De Luca, storica d’arte e responsabile delle Cappelle Medicee, ha definito la stanza «un vero unicum per il suo eccezionale potenziale evocativo», anche perché gli schizzi che contiene sono spesso «tracciati da segni che attestano una grande chiarezza progettuale». Eppure fino agli Anni Cinquanta questo rettangolo di mura era stato usato come deposito di carbonella, prima di rimanere inutilizzato, nascosto dietro a una botola, dove erano stati accatastati mobili e cianfrusaglie. Tutto cominciò nel 1975, come racconta Monica Bietti, che era la direttrice delle Cappelle Medicee fino al 2020 e che ne seguì l’ultimo riassetto estetico, quando l’allora responsabile Paolo Del Poggetto si imbatté casualmente in questo tesoro, mentre cercava di trovare una nuova uscita per il Museo. Alla porta ci hanno rinunciato. Alla stanza no. I gradini di pietra sotto la botola lo avevano condotto in questo deposito abbandonato pieno di carbone. Sulle pareti, però, Del Poggetto e i suoi collaboratori scoprirono disegni a gessetto e carboncino attribuibili proprio a Michelangelo. Un team di esperti passò diverse settimane a rimuovere i due strati di intonaco con gli scalpelli. Terminato il lavoro emersero dozzine di disegni. Del Poggetto concluse che nel 1530 l’artista si sarebbe rifugiato in questa stanza, con la protezione del priore di San Lorenzo Giovanni Fingiovanni, che era un suo caro amico. Trascorse questi tre mesi di semiprigionia a fare il punto della sua vita e della sua arte. Certo, non tutti gli schizzi si possono ricondurre a lui: alcuni profili di volti dal naso adunco molto importante paiono ad esempio troppo amatoriali. Negli altri, però, la sua mano è molto evidente. Come riconosce anche lo storico d’arte William Wallace, docente della Washington University di St. Louis, pur dicendosi scettico sul fatto che Michelangelo avesse potuto vivere lì: era una personalità troppo importante per nascondersi in un luogo così angusto. Secondo lui quei disegni furono completati durante la costruzione della Nuova Sagrestia. Ma Monica Bietti spiega che è «nella logica delle cose che quello fosse stato proprio il nascondiglio di Michelangelo». Lo storico Vasari non fece nomi, ma scrisse che l’artista era stato «protetto da un amico» e che da lui era stato «nascosto». Tutto lascia supporre che l’amico fosse proprio il priore di San Lorenzo.
La stanza segreta, aggiunge Monica Bietti, che ha anche raccontato in un libro per Giunti tutta questa storia, si trova accanto al Palazzo dei Medici, in una posizione perfetta per controllare se qualcosa si stava muovendo contro di lui. «Da lì, inoltre avrebbe potuto scappare facilmente attraverso San Lorenzo e arrivare in via della Forca, servendosi di passaggi interni». Di quella zona lui conosceva tutto, cunicoli e anfratti. Aveva lavorato a lungo per i Medici. E li conosceva tutti benissimo, perché erano cresciuti insieme da quando giocavano tutti nel giardino di famiglia, dove fondarono pure una scuola d’arte, nata come palestra per le esercitazioni di giovani artisti promettenti. Fra i quali, ovviamente, c’era Michelangelo, che aveva 15 anni. Il grande scultore aveva eseguito una testa di fauno vecchio, copiandola da un’opera più antica e per perizia aveva realizzato la bocca aperta anziché chiusa, in modo da mostrare la lingua e i denti. Quando il Magnifico la vide, per burlarlo, lo rimproverò, dicendogli che i vecchi non hanno una dentatura tanto perfetta. Allora Michelangelo, mentre Lorenzo proseguiva il giro del giardino, ruppe un dente e trapanò la gengiva e quando il Magnifico gli ripassò davanti rimase sorpreso dalla prontezza del giovane. Da quel giorno chiese al padre del ragazzo, Ludovico, di poterlo affiliare, come racconta il Vasari, tenendolo presso di sé nel Palazzo di via Larga, dove in effetti visse fino alla morte del suo protettore nel 1492.
Ma adesso i tempi erano diversi. Conosceva bene Clemente VII con il quale giocava da bambino. E conosceva bene suo figlio Alessandro – allora usava così, per i Papi -, che non era un tipo raccomandabile, ma uno capace di tagliarti la testa se gli girava. Meglio stare nascosto e al sicuro, fino a quando le acque non si fossero chetate. Che poteva fare lì dentro fra quelle quattro mura un genio come lui? Disegnare. E pensare. —