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 2023  novembre 15 Mercoledì calendario

Sesso al castello dopo le udienze di Norimberga

Di giorno i crimini nazisti, di notte i bagordi tra pokeristi. È impressionante la routine degli inviati dal mondo a Norimberga per documentare il primo processo a una ventina di gerarchi del Terzo Reich: durante la giornata, i giornalisti sono nell’acquario del tribunale per le udienze; di sera, invece, si trasferiscono in un altro rifugio, il Press Camp, allestito in un castello. Da una bolla all’altra, come in un macabro Grande Fratello Vip, dalla stanza dell’orrore a quella dell’amore. Questo microcosmo surreale va ora in scena nel saggio di Uwe Neumahr, Il castello degli scrittori, edito da Marsilio.
I capitoli seguono la cronologia reale, a partire dall’avvio del processo il 20 novembre 1945 fino alla sentenza del 1° ottobre 1946, con alcune digressioni. I cronisti, quasi 300 nei momenti clou, si trovano di fronte a criminali del calibro di Hermann Göring, Joachim von Ribbentrop, Julius Streicher e Rudolf Hess, tutti “con un’aria borghese e quotidiana”. Inquietante. Poi, nel pomeriggio, gli stessi si affrontano tra di loro, nel “Campo per la stampa” poco fuori dalla città, sventrata e devastata, “un cervello spappolato che sfrigola nel burro”. Il castello – requisito dagli Alleati perché ex sede della Wehrmacht – è quello dei nobili Faber-Castell, i magnati dei lapis, ma a molti pare squallido: “Quante matite ci sono volute per permettere ai Faber di costruire un castello così brutto?”, si chiede Elsa Triolet. Europei e americani sono i più insofferenti: lo storico William Shirer parla di “cibo ripugnante” e “dissenteria” contagiosa che “neanche nel carcere di Sing-Sing”. Viceversa, i colleghi cinesi e russi sono affascinati dalla dimora, mangiano e bevono amabilmente, apprezzano l’ospitalità “curata in ogni dettaglio” e le “incredibili bistecche americane”.
Oltre a vignettisti e interpreti, a Norimberga sono radunate le firme del giornalismo internazionale, non senza screzi: Janet Flanner, inviata dal New Yorker, viene poco dopo sostituita da Rebecca West per aver ritratto Göring in modo troppo affascinante, “più arguto di Machiavelli”. West si segnalerà poi per la “sessualizzazione” del processo, forse condizionata dalla relazione clandestina che lì intrattiene con il giudice Francis Biddle: si riscatta all’ultimo scrivendo un originale ritratto dei tedeschi partendo da un meticoloso e indifferente giardiniere col suo ordinato lager di erbacce. Anche Gregor von Rezzori si dà al poliamore, senza però nasconderlo: “Erano brutti tempi, e io mi comportavo di conseguenza”; così mette incinta due donne contemporaneamente.
Tra gli ospiti di questo Gf Vip in villa – a eccezione degli happy few alloggiati al Gran Hotel, tipo Marlene Dietrich – ci sono John Dos Passos, che firma un malinconico e ingenuo elogio del procuratore capo americano Robert H. Jackson; Martha Gellhorn; volti tv come Walter Cronkite e Walter Lippmann…
Usi e costumi dei castellani: “Gli americani bevono come fossero pagati per farlo”, nota Wolfgang Hildesheimer, “e non è raro che qualcuno venga rimandato indietro perché arriva al delirium tremens”. Alcuni se ne vanno perché non riescono a reggere il peso del processo, soprattutto filmini e foto della Shoah proiettati in udienza; altri, invece, cercano rifugio e consolazione nella carne, nelle braciole come nei corpi: persino l’erede contessa Katharina Faber-Castell intrattiene una liaison con il nazista, alla sbarra perché ex capo della Gestapo, Rudolf Diels. A Norimberga c’è ancora il coprifuoco notturno, tanto vale spassarsela nell’antica e polverosa magione: cene, balli, partite a scacchi, una sala giochi, tavoli da poker e da ping pong, appuntamenti saffici, ancorché proibiti. Il più chiacchierato è quello tra Erika Mann, primogenita di Thomas e allora sposata con il poeta W. H. Auden, e la sua “cara pazzoide” Betty Knox, ex spogliarellista. L’alcol non manca mai, anche per aiutare la socialità tra gli ospiti, ma facilmente si degenera in risse, vandalismo, furti di coperte e cuffiette.
A Norimberga si combatte “la battaglia dei reporter”, tra competizione, invidia e desiderio di scoop. Ferreo, tuttavia, è l’ostracismo dei tedeschi, persino dei più specchiati antinazisti: hanno a disposizione in aula solo sette posti su 250, sono obbligati a mostrare un tesserino giallo (!) ed è “Vietato!” loro l’ingresso al Press Camp: Willy Brandt, futuro cancelliere teutonico, vi accede solo perché corrispondente “norvegese”. Il conflitto tra Est e Ovest è già in corso, mesi prima della “cortina di ferro” di Churchill: i russi vivono isolati in un’ala, hanno il divieto di fare amicizia e sono censurati. La guerra fredda, al castello, è cominciata anzitempo. Ma pure la guerra al freddo e ai bagni sovraffollati; le donne, ad esempio, si lamentano dello “squallore”, dell’appropriazione dei letti e dell’occupazione dei gabinetti: “Le russe adorano muoversi in gruppo anche quando vanno al bagno”. Tempo di uccidere, maltempo di false notizie, pezzi sensazionalistici, spettacolarizzazione, “peep show” giustizialisti: il verdetto sembra “un thriller a buon mercato dal titolo Il caso del veleno nascosto”, ovvero il suicidio di Göring. C’è perfino chi si inventa di essere nelle toilette tedesche insieme con Ernest Hemingway e John Steinbeck o chi scrive un documentato Processo didattico pur non avendo mai messo piede a Norimberga, vedi lo stellato Alfred Döblin. Alla maggior parte dei cronisti in trasferta è chiaro, però, che l’orrore – l’osceno, l’Olocausto – è “indicibile”, impossibile da raccontare. Come dirà Adorno nel 1949: “Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto barbarico”.