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 2023  novembre 15 Mercoledì calendario

Quanto è sbilenco il “melonierato”

Sul premierato si registrano apprezzamenti poco favorevoli anche da intellettuali di primo piano dei partiti al governo, come il professor Pera.
La proposta governativa è costellata di profili poco convincenti.
A) È evidente l’incoerenza tra presidenzialismo, promesso in sede elettorale, e premierato, istituto basilarmente contrario ai principi del primo. In altro contributo sul Fatto, si è chiarito come manchi nel premierato la doppia legittimazione del presidente e dell’organo assembleare, determinabile solo da una doppia votazione, così da garantire il rispetto e la continuità della posizione di entrambi. Le più note forme di presidenzialismo (quello statunitense e quello francese), pur con notevoli differenze, rispondono entrambe al principio della doppia legittimazione popolare. Il premierato, con unica votazione in unica scheda (con vaghe reminiscenze del listone nazionale), si colloca in area ideologicamente contraria: non ammette il dialogo paritario tra presidenza e Parlamento, soggiogando il secondo al primo. Tra promessa elettorale, valutabile con interesse e simpatia, e adempimento, sussiste un’evidente discordanza: come se si promettesse seta e si consegnasse poi tela di sacco.
B) Per alcuni commentatori pure il semipresidenzialismo francese era una novità assoluta e ha funzionato bene sicché anche il premierato potrebbe rivelarsi positivo per la nazione. La riforma di De Gaulle rispondeva, tuttavia, al principio della rappresentanza binaria, proprio del presidenzialismo, declinandone una peculiare modalità e collocandosi perciò nell’ambito delle collaudate tradizioni democratiche dell’occidente. Il che non può affermarsi del premierato. È comunque certo che, data la mancanza di esperienze e dati su quell’istituto, non è possibile misurarne i vantaggi e gli svantaggi: questi ultimi, se prevalenti, ricadranno sul popolo italiano, trasformato in cavia istituzionale. Certo non un buon segnale per il Paese perché non v’è certezza che il sistema funzioni e garantisca una stabile direzione dello Stato (la brevissima esperienza israeliana dimostra il contrario).
C) Ideando in solitaria la riforma e comprimendo le attribuzioni tipiche del Parlamento cui spetterebbe primariamente l’iniziativa di riforma costituzionale, il governo ha agito con scarsa eleganza istituzionale forse nella prospettiva di conseguire futuri vantaggi politici ed elettorali. Il che potrebbe rivelarsi illusorio: approvata la riforma, l’esito di nuove elezioni potrebbe rivelarsi deludente per l’odierna maggioranza, che potrebbe finire, per almeno cinque anni, in quella specie di riserva indiana destinata all’opposizione.
D) Un coro generale di costituzionalisti lamenta la drastica riduzione delle attribuzioni del Presidente della Repubblica, benché qualche modesto imbonitore si arrampichi sugli specchi per negarla. Superfluo discutere di un’impostazione strutturale palesemente contrapposta alla figura, coerente coi principi democratici, di un Presidente con funzioni arbitrali a presidio del sistema, specie se carente di controlli e bilanciamenti concretamente operativi. Quanto agli effetti della modificazione in senso notarile della figura del Capo dello Stato, nella storia nazionale ciò si è verificato solo nel ventennio, con il monarca ridotto al ruolo di mera rappresentanza formale, talora folcloristica, riscattato con la ripresa del supremo potere arbitrale in esito alle decisioni del Gran Consiglio del 25 luglio e finito nella vergognosa fuga dell’8 settembre 1943. Il che non è proprio un viatico beneaugurante.
E) Il premierato ha senso solo se si mantiene la corrispondenza tra l’eletto e la titolarità della Presidenza del Consiglio perché così si rispetta la volontà popolare. La norma anti-ribaltone che consente la nomina a presidente del Consiglio di altro componente della maggioranza al posto dell’eletto sfiduciato implica uno sfacciato tradimento del voto dei cittadini. F) Quanto a sistema e modalità di elezione del premier sembra opportuno trascrivere la proposta governativa: “La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio assegnato su base nazionale garantisca ai candidati e alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei ministri il 55 per cento dei seggi nelle Camere”. La formula usata costituisce una summa di incongruenze e di violazioni delle più elementari regole di scrittura di un testo costituzionale. La prima concerne il richiamo pleonastico ai principi di rappresentatività e governabilità. Si tratta di canoni intrinseci agli ordinamenti democratici così da rendere superflua la loro citazione se non al fine di negarne la quanto meno pari dignità nel testo costituzionale, come qui purtroppo accade: la rappresentatività, infatti, viene mutilata dal premio di maggioranza che favorisce (meglio: pretende di favorire) la governabilità come valore assoluto. La dimostrazione: se, a esempio, la lista vincente consegue il 40% dei suffragi e ottiene il 55% dei seggi parlamentari (ipotesi poco sintonica con gli insegnamenti della Corte costituzionale) è evidente che viene compressa e negata la rappresentatività del 60% dell’elettorato che, in diverse liste, non ha votato per il premier. La proposta governativa non indica poi il sistema elettorale, ma solo il premio di maggioranza per i vincitori. Ora le costituzioni possono pure indicare il sistema elettorale (a esempio quella spagnola impone la rappresentanza proporzionale per le Cortes), ma questo è il limite massimo. In realtà e seppure implicitamente la proposta del premierato suggerisce il sistema elettorale: quello proporzionale perché con il maggioritario (con la variabilità dei risultati di ogni collegio) non sarebbe possibile un premio fisso per una lista. Si deve escludere peraltro un doppio turno, utilizzabile solo con il maggioritario. Viene perciò meno anche la fantasiosa ipotesi del sindaco d’Italia subito smentita dalla non corrispondenza con il modello maggioritario delle elezioni comunali: se Italia Viva vuole accodarsi alla maggioranza cerchi giustificazioni meno peregrine. Il riferimento concreto, infatti, è alla legge c.d. truffa di De Gasperi e all’Italicum di Matteo Renzi, entrambi articolati sul proporzionale. Fa inorridire la costituzionalizzazione di un premio di maggioranza al quale, con legge ordinaria, si può collegare una vittoria proporzionale perfino modestissima: anche con il 30% dei suffragi si potrebbe conseguire il 55% dei posti in Parlamento! Si tratterebbe di un super unicum delle costituzioni di tutto il mondo. Su tale dato controverso e di plateale illegittimità costituzionale è augurabile che il presidente Mattarella fornisca, quale profondo conoscitore della materia, spunti costruttivi alle confuse proposte governative.