Domenicale, 14 novembre 2023
Su Taylor Swift
Dunque c’è questa scena primaria, registrata nelle agiografie ma raccontata anche dalla viva voce di lei medesima, si trova su YouTube. La giovanissima Taylor Swift telefona all’amica X e la invita a fare un giro al centro commerciale (tali erano, tali sono gli spassi, se uno nasce nel paesino di Wyomissing, Pennsylvania) ma l’amica X dice che non ha voglia, ha altri programmi, sarà per un’altra volta. Allora TS prova con l’amica Y, ma anche lei ha altro da fare. Poi prova con l’amica Z, l’amica W ma niente, sono tutte impegnate. Allora TS va al centro commerciale con la mamma, e lì chi t’incontra? Le amiche XYZW in ridente comitiva, che certamente stanno sparlottando di lei.
Così nascono i Robespierre, nella Francia del secolo diciottesimo. Invece TS, che come si sa è nata nel 1989 (1989 era, prima che arrivasse Midnights a bruciare ogni record, il suo album più venduto e amato, nonché il più bello) fa un giro più lungo. Dice ai genitori che tutta la famiglia deve trasferirsi a Nashville, anche nota come music city, dove il suo acerbo talento potrà maturare, dove pullulano i produttori e le case discografiche.
Dio conosce la verità, ha scritto Tolstoj, ma non ha fretta di dirla – che potremmo volgarizzare con le parole di un meme che gira molto in rete e che TS ripete spesso: «il karma esiste». False amiche XYZW, non avete voluto portarla con voi al centro commerciale? E adesso ogni volta che accendete la radio o la tv, ogni volta che ricevete una notifica sul vostro smartphone terzultimo modello, ogni volta che entrate nel centro commerciale di Wyomissing ecco la voce, la faccia, l’aura di Taylor Swift che vi affondano una lama nel cuore.
Ora Taylor Swift è a metà circa del suo tour mondiale intitolato The Eras Tour (le “ere” sono quelle che scandiscono i suoi quasi vent’anni di carriera: ogni era un album); dato che tantissimi vogliono vederla ma solo pochi ci riescono, anche perché i biglietti costano cifre sbalorditive (per San Siro in luglio siamo sui 500 euro per il prato, sugli 800 per la gradinata bassa, mentre per la poltrona Cat 1++, qualsiasi cosa significhi, leggo «13.334 euro», che magari è un refuso ma magari no), dato questo, TS ha pensato di girare un film del concerto e di farlo uscire al cinema per cinque fine settimana. Produce lei, si tiene più della metà degli incassi (già mitologici negli Usa), fissa lei il prezzo del biglietto: per vedere The Eras Tour . Il film, lo scorso sabato, ho sborsato 22 euro.
Adesso spiegherei volentieri distesamente perché è stata una spesa benedetta, ripagata a mille doppi dalla delizia delle quasi tre ore del film-concerto, ma sarebbe inutile, perché chi sa già è già convinto, e chi non sa (e sarà la gran parte dei miei lettori: troppo saggi e indaffarati per perdere tempo con queste cose) difficilmente potrà farsi convincere a parole. Ma certo, essere cresciuti e invecchiati con la radio o il giradischi o Spotify accesi a tutte le ore del giorno aiuta; e forse aiuta anche avere un gusto non direi cattivo ma ineducato in campo musicale: non provare le vertigini per il Tristano e Isotta, pensare boh!? quando ti dicono che in quel passaggio dei Concerti brandeburghesi Bach è stato ispirato dagli angeli.
Come fare, dunque, per rendere l’idea? Il lettore di buona volontà potrà dare un’occhiata in rete a un articolo celebre tra noi swifties uscito qualche mese fa su «Rolling Stone», All 243 of Taylor Swift’s Songs, Ranked di Bob Sheffield: tutte le canzoni di TS messe in una lista dal numero 243 all’1, e tutte munite di commento. Ferve naturalmente la discussione intorno a ogni canzone e ogni posizione della classifica, ma per lo più si riconosce che la prima, All too Well, merita di essere la prima perché è la canzone d’amore perfetta, quella con gli ingredienti esatti delle canzoni d’amore – il cuore spezzato di lei, i bei ricordi delle prime volte, l’amarezza presente – però semplicemente assimilati meglio, musicati meglio, reinventati con dettagli deliziosi, sia nella versione 2012 («Eccoci di nuovo lì in piena notte / che balliamo in cucina alla luce del frigorifero») sia nella versione da dieci minuti uscita un paio d’anni fa perché così hanno preteso i fan (lui che incanta il padre di lei «con battute autoironiche / sorseggiando caffè come se fossi in un late night show»). Suonata dal vivo, al pianoforte, commuoverebbe una pietra.
Sulla seconda posizione i pareri sono meno concordi, ma comunque la si pensi New Romantics è certamente una delle sue dieci o cinque canzoni migliori nonché – ed è ciò che c’interessa qui – un modo eccellente per capire in tre minuti il cosa, il come e il perché di TS, soprattutto se oltre ad ascoltare la canzone si vede il video con l’intro parlata.
Ci sono le canzoni centrate su un io, e sono la maggior parte; e quelle centrate su un tu, anche loro tantissime. New Romantics è una canzone centrata sul noi, come We Are the Champions dei Queen o Bravi ragazzi di Bosé o Siamo solo noi di Vasco Rossi. Ora, come anche questi pochi titoli bastano a dimostrare, fare centro su noi significa spesso comporre una specie di inno, magari generazionale, e gli inni sono quasi sempre volgari, nella musica e nelle parole (tamarrate come «Facciamo colazione anche con un toast, del resto» o «No time for losers / ’cause we are the champions of the world» dovrebbero chiudere la discussione). New Romantics è molto più raffinata sia nella musica (tutta una citazione dal synth-pop degli anni 80) sia nelle parole. TS ha infatti il dono di saper descrivere la sua eccezionale esperienza di vita in un modo tale da rendere possibile il rispecchiamento a ragazze e ragazzi che quelle esperienze non le hanno fatte né le faranno mai, o solo in forme prive di qualsiasi aura. In New Romantics, questa dialettica tra identificazione (ciò che si è) e proiezione (ciò che si sogna di essere) tocca un equilibrio perfetto: noi, dice la canzone, siamo tutti giovani, annoiati, frenetici, facciamo finta di essere scemi ma sappiamo esattamente cosa stiamo facendo, amori infelici ci spezzano il cuore ma eccoci qui, stasera, a rimettere insieme i pezzi – è raccontarsi che tutto è sotto controllo anche se non lo è per niente, è giocare alle vittime ma da una posizione di forza, e soprattutto insieme: il mondo non ci capisce, ma noi siamo troppo ebbri di noi stessi per dargli troppo peso. Non sono ancora così vecchio da non capire come mai stadi ricolmi di giovani ascoltano fremendo queste pillole di self-help (per questo, come TS dice all’inizio del video: «The fans are the best part of this tour»: di disco in disco, di era in era, il suo fandom – e basta vedere le facce in estasi nei videoclip e nel film, le lacrime – assomiglia sempre di più a una festosa comunità terapeutica).
Nel 2020 si poteva temere che le canzoni di TS prendessero una piega engagée, perché si era giustamente esposta a favore del candidato democratico in Tennessee, e poi aveva scritto Only the Young, una mediocre canzone di quasi-protesta («Quelli sbagliati pensano di avere ragione / stavolta loro sono stati più numerosi»: sempre noi contro loro, ma in chiave politica). Ma per fortuna, per fortuna, almeno per ora, il capolavoro che è Midnights ha riportato il discorso su quello che c’interessa di più e di cui TS sa parlare con più grazia, lei stessa. Certo, dopo gli amori e i disamori adolescenziali, passati i 35, i 40, cosa resterà da dire? Nello star-system s’invecchia serenamente se si è Bowie o Jagger, cioè se si è maschi: per le donne è diverso. La dance non è un’opzione, non è né Donna Summer né Madonna. Primo presidente donna, dopo il secondo mandato di Biden o di Trump? Perché no. Ma la verità è che TS ha qualcosa che gli altri genî del pop non hanno, o non in questa misura: ha un talento sovrumano nella scrittura delle canzoni, e chi è riuscito a raccontare in tre strofe di trenta secondi l’una + ritornello un duplice omicidio (No Body no Crime) o la storia della sua villa sull’Atlantico (The Last Great American Dynasty) difficilmente resterà senza cose da dire